Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 2/3/2009 n. 5034; Pres. Ianniruberto G.

Redazione 02/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, accoglieva la domanda proposta da D.L. avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento collettivo comunicatogli in data 15/12/2000 dalla ******à Alenia Marconi System SPA dalla quale era stato assunto, come invalido civile, in data (OMISSIS) e per l’effetto, dichiarando inefficace il licenziamento, ordinava la sua reintegrazione nel posto di lavoro con tutte le conseguenze economiche e previdenziali di cui all’art. 18, dello statuto dei lavoratori.

I giudici di appello ponevano a fondamento della propria decisione il rilevo che la procedura c.d. di mobilità era viziata in quanto la comunicazione alle OO.SS. di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, non era idonea a soddisfare le esigenze di esaustività e chiarezza delineate dal citato art. 4, comma 3, difettando "l’indicazione dei singoli profili professionali in esubero, dei reparti di appartenenza o delle mansioni concretamente interessate dalla procedura di ridimensionamento in collegamento con le ragioni della crisi" e quella di cui al comma 9, dello stesso articolo non rispondeva all’esigenza "d’indicazione puntuale delle modalità con cui erano stati applicati i criteri di scelta" in quanto pur essendo delineato "quale unico criterio applicato quello della prossimità alla pensione, s’introducono ulteriori elementi di valutazione correlati alle esigenze tecnico produttive dei singoli reparti" rendendo "ancor più grave l’omissione iniziale riguardante i profili professionali e la collocazione aziendale dei lavoratori interessati dalla procedura di mobilità" e difetta quindi "una concreta comparazione tra i lavoratori prepensionati e non risulta sia stata formata alcuna graduatoria con indicazione dell’età, dell’anzianità aziendale e lavorativa, delle mansioni, dei reparti, ecc, indispensabile al fine di effettuare un raffronto tra i dipendenti numericamente indicati come licenziabili".

Avverso tale sentenza la società in epigrafe ricorreva in cassazione sulla base di due motivi di censura illustrati da memoria, cui resisteva il lavoratore intimato che, in via subordinata, chiedeva ex art. 384 c.p.c., comma 2, la conferma della sentenza impugnata sotto il profilo, ritenuto implicitamente assorbito dalla Corte di appello, della violazione del criterio di scelta della pensionabilità non sussistendo le condizioni soggettive per poter essere ammesso al pensionamento durante il quadriennio di permanenza nelle liste di mobilità.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la società in epigrafe deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, art. 3, nonchè omessa o contraddittoria motivazione.

Assume in proposito che la sentenza impugnata ha, in punto di comunicazione alle RSU di apertura della procedura, erroneamente interpretato la denunciata norma e non ha adeguatamente tenuto conto di quanto specificamente affermato in detta comunicazione. Rileva al riguardo che non è emersa alcuna circostanza dedotta da controparte e provata che le OO.SS. non abbiano avuto piena consapevolezza dei fatti trattati e siano quindi state fuorviate nella conclusione dell’accordo e richiama, quanto alla rilevanza del raggiungimento dell’accordo ed alla necessità della prova dell’incompletezzaa (Cass. nn. 9015/03 e 4228/03). Ribadisce, la società ricorrente, che grava sul lavoratore l’onere di provare che le OO.SS. siano state fuorviate e riafferma il principio che nessuna presunzione di errore è insita nel fatto che manchino alcune indicazioni, richieste dalla legge, nella comunicazione. Allega, poi, che la comunicazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte del merito, contiene le informazioni prescritte dalla legge e si riporta al riguardo anche alle valutazioni della sentenza di primo grado e a Cass. n. 9015/03.

Contesta, inoltre, l’affermazione, contenuta nella impugnata sentenza, inerente la stretta interdipendenza tra indicazione dei profili professionali e modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta di cui alla successiva comunicazione L. n. 223 del 1991, art. 4, ex comma 9. Ribadisce la correttezza del richiamo all’unico criterio selettivo della maturazione dei requisiti per il godimento della pensione durante il periodo di mobilità.

Con la seconda censura la società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, nonchè omessa e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo.

Assume che la sentenza impugnata è erronea laddove ha ritenuto la necessità, nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, della concreta comparazione dei lavoratori pensionabili e di una graduatoria con indicazione dell’ età, anzianità, mansioni, reparti ecc. rilevando che nell’accordo era stato stabilito un unico criterio, ossia quello della maturazione del diritto a pensione fatte salve le competenze professionali necessarie allo sviluppo dell’azienda. Nè la legge, precisa la ricorrente, esige la indicazione di come ciascun lavoratore sia stato in concreto individuato. Nè risulta provato un comportamento discriminatorio nei confronti del lavoratore D..

I motivi, che in quanto strettamente connessi vanno tratti congiuntamente, sono infondati.

Ritiene, infatti, il Collegio di dare continuità giuridica al principio, di recente riaffermato da questa Corte nella materia di cui trattasi, secondo il quale in tema di procedure di mobilità e di licenziamento collettivo, la comunicazione alle r.s.a. di inizio della procedura ha sia la finalità di far partecipare le organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del personale, sia di rendere trasparente il processo decisionale datoriale nei confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda; la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti; tale vizio non è ex se sanato dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale e dalle indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare, ed il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (Cass. n. 15479/07).

Va, altresì, riaffermato il principio, di cui alla sentenza/168/09, secondo il quale in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione.

Del resto, questa Corte (sent. 14679/00) aveva già sancito che le eventuali insufficienze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità non perdono rilievo per il solo fatto che sia stato poi stipulato un accordo di mobilità, giacchè gli adempimenti imposti dal citato art. 4, sono intesi a garantire la trasparenza delle scelte aziendali e l’effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una corretta e completa informazione preventiva (così anche Cass. n. 4228/00 V. nonchè Cass. n. 9743/01 per la quale l’inefficacia del licenziamento – che ricorre in caso di omissione della comunicazione per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria nonchè all’Ufficio provinciale del lavoro, contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza e di tutti gli altri elementi prescritti dall’art. 4, comma 3, della citata legge – non è "sanata" dall’accordo sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare.

Così come aveva affermato che in tema di procedura di mobilità, la previsione, di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 8, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con cui da inizio alla procedura, "deve dare una "puntuale indicazione" dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione, le sue modalità applicative, in modo che la stessa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perchè lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva, sostenendo che, sulla base del comunicato criterio di selezione, altri lavoratori – e non lui – avrebbero dovuto essere collocati in mobilità o licenziati (Cass. n. 15377/04 e nello stesso senso, successivamente, Cass. nn. 20455/06, 23275/07 e 21138/08).

Nè questo giudice di legittimità ha mancato di sottolineare che in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità al pensionamento, purchè esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro (Cass. nn. 21541/06, 5/06, 12781/03 e 13962/02).

Risulta, inoltre, superato dalla giurisprudenza di questa Corte l’indirizzo secondo il quale poichè il lavoratore non è destinatario della comunicazione di avvio della procedura e non è abilitato a partecipare all’esame della situazione di crisi e a proporre soluzioni della stessa, non può far poi valere in giudizio, a propria tutela, in ogni caso, l’inadeguatezza della comunicazione dovendo, invece, a tal fine provare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale (Cass. 4228/00).

Questa Corte, infatti, con sentenza n. 13196/03, pienamente condivisa dal Collegio, ha affermato che il lavoratore è legittimato a far Valere la incompletezza della informazione perchè la comunicazione rituale, completa della mancanza di alternative ai licenziamenti, rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che se mancante è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. "L’ottica della decisione da cui si dissente prescinde, invece",si è osservato nella citata sentenza, "dalla inscindibile connessione esistente fra completezza della informazione e ruolo assegnato al sindacato assegnando rilievo alla incompletezza della procedura solo ove essa si traduca in un comprovato nocumento per il lavoratore laddove – per le ragioni che si sono dette – la regolarità di tale procedura rappresenta un momento ineludibile affinchè il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi. La decisione in questione – svalutando la funzione della procedura e di conseguenza il ruolo del sindacato – finisce per collocare le irregolarità della stessa nell’ambito delle nullità innocue categoria che contraddice il già evidenziato ruolo del sindacato".

Applicando siffatti principi al caso di specie va, innanzitutto, rilevato che correttamente i giudici di appello hanno valutato la completezza delle informazioni contenute nella comunicazione alle OO.SS a prescindere dalla deduzione e prova da parte del lavoratore di elementi atti a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale.

Hanno poi, altresì ritenuto, e correttamente, che il raggiungimento dell’accordo sindacale a seguito dell’informazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, non fosse di per sè sanante la eventuale carenza delle relative indicazioni ed hanno accertato la insufficienza della comunicazione difettando "l’indicazione dei singoli profili professionali in esubero, dei reparti di appartenenza o delle mansioni concretamente interessate dalla procedura di ridimensionamento in collegamento con le ragioni della crisi", precisazione questa tanto più necessaria (Cfr. sentenza 168/2009 cit.) nella specie, considerate le ragioni carattere tecnico – organizzative poste a base del licenziamento collettivo, così che – al fine di valutare la coerenza tra progetto iniziale e decisione finale – appare più logico che siano maggiormente specificate le posizioni lavorative e le articolazioni aziendali sulle quali la riorganizzazione dovrà incidere.

Si tratta, del resto, di una valutazione di fatto, devoluta al Giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè la società ricorrente non ha denunciato la violazione di criteri di ermeneutica contrattuale ma si è limitata a dedurre il vizio di motivazione senza però indicare le lacune argomentative, ovvero le illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure i punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti risolvendosi la sua critica in una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d’Appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.

Trova infine, riscontro nella richiamata giurisprudenza di legittimità, il rilievo conferito dalla Corte del merito, in sede di esame della comunicazione, di cui L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, al difetto di "una qualsiasi graduatoria", pur nell’ambito del criterio adottato, chiarificatrice delle scelte operate dall’azienda coerentemente motivato sulla base della accertata negoziata interdipendenza tra criterio della prossimità al pensionamento ed "esigenze tecnico – organizzative e produttive individuate nei singoli reparti interessati dal ricorso alla mobilità".

Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o obbiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 23,00, oltre Euro 3.000,00 per onorario, spese, IVA e CPA.

Redazione