Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 20/2/2007 n. 3928; Pres. De Luca, M., Est. De Matteis, A.

Redazione 20/02/07
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L’avvocato dipendente di ente pubblico ha diritto al rimborso della spesa sostenuta per il pagamento della quota annuale di iscrizione all’albo degli avvocati, elenco speciale. Si tratta di spesa sostenuta nell’interesse dal datore di lavoro, dal momento che l’iscrizione all’albo speciale consente l’esercizio della professione forense esclusivamente a favore dell’ente. Il criterio discretivo tra retribuzione e rimborso spese risiede nell’interesse soggettivo alla spesa: costituisce retribuzione il rimborso delle spese di trasporto casa-ufficio che tutti i lavoratori sono tenuti a sopportare, costituisce rimborso spese il rimborso del costo di uno specifico viaggio di trasferta; così è retribuzione il pagamento delle spese di vestiario comune, rimborso spese quello di tute specifiche richieste dalle condizioni di lavoro; se la spesa nell’interesse del datore di lavoro copre parzialmente una spesa propria del lavoratore, vi può esser concorso nella spesa.

 

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 18 dicembre 2000 C.N., avvocato dipendente dell’Inail, ruolo legale, ha chiesto al Tribunale di Torino di dichiarare che il pagamento delle quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati, effettuato dal ricorrente, costituisce spesa sostenuta nell’interesse del datore di lavoro; conseguentemente di condannare l’Inail a rimborsare al ricorrente l’importo di L. 4.305.000, per gli anni 1984- 2000, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle date dei singoli pagamenti al saldo.

Il Tribunale adito, nella resistenza dell’Inail, con sentenza 11 luglio 2001 n. 4549, ha accolto la domanda, nei limiti della eccepita prescrizione decennale, ritenendo che la spesa della quale l’avv. C. chiede il rimborso deve essere ricondotta alle spese sostenute nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Con sentenza 5/10 marzo 2003 n. 338 la Corte d’Appello di Torino ha respinto l’appello dell’Inail, confermando la ratio decidendi del primo giudice.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Inail, con due motivi.

L’intimato si è costituito con controricorso, resistendo.

La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite in considerazione dell’arco temporale della pretesa, attinente ad un rapporto di pubblico impiego svoltosi nel periodo anteriore e posteriore al 30 giugno 1998.

Con sentenza 10 luglio 2006 n. 15613 le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario per l’intero arco temporale della pretesa, rilevando che l’accoglimento, da parte del primo giudice, della eccezione di prescrizione proposta dal convenuto Istituto costituisce una decisione di merito che presuppone l’affermazione implicita dalla giurisdizione del giudice ordinario.

Non avendo l’Inail impugnato tale statuizione con l’atto di appello, nè avendo l’avv. C. proposto appello incidentale sul punto, sulla giurisdizione del giudice ordinario per l’intero arco temporale della pretesa, così implicitamente affermata, si è formato il giudicato interno.

Restituiti gli atti a questa Sezione Lavoro per l’ulteriore corso, entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Istituto ricorrente articola la propria difesa su due linee: a) quella sviluppata con il primo motivo, secondo cui le spese in questione sarebbero incluse nella indennità prevista dal D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43, art. 14, comma 17; b) quella oggetto del secondo motivo, secondo cui, anche a prescindere dalla disposizione citata, la spesa in questione sarebbe nell’interesse dello stesso lavoratore, in quanto requisito soggettivo necessario per l’esercizio della professione forense.

Le due tesi vanno esaminate separatamente.

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43, art. 14, comma 17 (art. 360 c.p.c., n. 3); nonchè omesso esame di un punto decisivo della controversia, motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), e contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la materia controversa non è regolata da norma di legge, che il ricorrente individua viceversa in quella sopra indicata, la quale avrebbe la funzione di assicurare anche il rimborso (“forfetario ed abbondante”) della spesa rivendicata dal C..

Il motivo, che parte dal presupposto, rivendicato da controparte, che comunque di spesa si tratti, contrasta con la corretta esegesi della disposizione di legge invocata.

Questa (comma 17) è inserita in un articolo (il 14), intitolato “nuovi stipendi”, del D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 2 agosto 1989 concernente il comparto del personale degli enti pubblici non economici). Dopo aver disciplinato partitamene in numerosi commi gli aumenti stipendiali, il comma 16 disciplina le indennità di coordinamento, precisando che esse non rivestono carattere stipendiale. Quindi il comma 17, che interessa la controversia, dispone: “Agli appartenenti alla decima qualifica funzionale, ramo legale, è attribuita a decorrere dal 1 luglio 1990 una indennità annua lorda di L. un milione, 2 milioni e 3 milioni in ragione dei livelli di iscrizione agli Albi professionali, rispettivamente, di procuratore legale, di avvocato e di avvocato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori. Tali indennità non rivestono carattere stipendiale”.

Già il contesto nel quale è inserita la norma, dedicata esclusivamente, come da rubrica, agli stipendi, è un elemento indiziario, anche se non determinante, dati i noti limiti della intitolazione della norma a fini interpretativi.

Non è neppure determinante la qualifica dell’emolumento come indennità, potendo questo termine comprendere sia una componente remunerativa del maggior impegno o disagio, sia una componente restitutoria delle maggiori spese (vedi ad es. indennità estero – ex plurimis Cass. 3 novembre 2000 n. 14388; ed indennità di trasferta, il cui carattere misto, sancito fin dal D.Lgs.Lgt. 1 agosto 1945, n. 692, art. 1, comma 2, è stato costantemente affermato ed è ora disciplinato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48, commi 5 e 6, come sostituito dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 3).

Ma proprio dalle norme da ultimo citate risalta la differenza strutturale e previsionale della disciplina positiva della indennità cd. di toga, fissata dal D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43, art. 14, comma 17, il quale prevede un regime tributario per la sua totalità (“indennità annua lorda”) incompatibile con il rimborso spese.

Significativa infine la precisazione finale che tale indennità costituisce un elemento distinto dallo stipendio, identica a quella del comma 16 (indennità di coordinamento), sicuramente di carattere retributivo.

Anche la giurisprudenza amministrativa interpreta la norma in esame nel senso che la cd. indennità di toga da essa prevista costituisce una posta remuneratoria fissa e continuativa, seppure non stipendiale (Consiglio di Stato, sez. 6^, 6 maggio 2002 n. 2463, idem 26 giugno 2003 n. 3832); in effetti non avrebbe senso tale distinzione e precisazione, ove dovesse riconoscersi alla indennità in questione una funzione parzialmente restitutoria.

Si deve perciò passare al secondo, più sottile, motivo di ricorso, con cui il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 segg. cod. civ., contesta in sostanza che le somme di cui il C. pretende il rimborso possano essere considerate spese nell’esclusivo interesse del datore di lavoro; sostiene che esse, viceversa, sono nell’interesse dello stesso lavoratore, il quale senza di esse non potrebbe svolgere l’attività dedotta in contratto.

Anche questo motivo non è fondato.

Secondo un orientamento risalente, il criterio discretivo tra retribuzione e rimborso spese risiede nell’interesse soggettivo alla spesa (Cass. 23 settembre 1966 n. 2385, Cass, 2 luglio 1980 n. 4198);

ma tale criterio va ulteriormente precisato: a) l’interesse soggettivo va valutato in relazione alla spesa specifica, e non può risiedere nel vitale ma generico interesse della persona a realizzare qualsiasi condizione richiesta e necessaria a fini occupazionali; b) esso va ancora individuato in relazione alla spesa specifica per il singolo datore di lavoro, in relazione alle condizioni lavorative comuni a tutti i lavoratori, anche distinti per categorie.

Nella giurisprudenza esemplificativamente citata vi è già tale distinzione: costituisce retribuzione il rimborso delle spese di trasporto casa-ufficio che tutti i lavoratori sono tenuti a sopportare, costituisce rimborso spese il rimborso del costo di uno specifico viaggio di trasferta (Cass. 2385/1966 cit.); così è retribuzione il pagamento delle spese di vestiario comune, rimborso spese quello di tute specifiche richieste dalle condizioni di lavoro (Cass. 5 novembre 1998 n. 11139, in tema di oneri del lavaggio degli indumenti in aziende di nettezza urbana; Cass. 28 maggio 2004 n. 10367, in tema di rimborso spese telefoniche necessaria per assolvere all’obbligo di reperibilità); se la spesa nell’interesse del datore di lavoro copre parzialmente una spesa propria del lavoratore, vi può esser concorso nella spesa (Cass. 20 novembre 2003 n. 17639, in tema di vestiario uniforme obbligatorio per autisti azienda municipalizzata di trasporto pubblico). Cass. 11139/1998 cit. è particolarmente significativa, perchè, anche se sotto il profilo degli obblighi di sicurezza, pone a carico del datore di lavoro il costo di tutte le condizioni specifiche necessarie per l’espletamento dell’attività lavorativa.

Nel nostro caso sono nell’interesse della persona le spese per gli studi universitari e l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense; una volta questa acquisita, le spese necessarie per l’esercizio della professione nell’interesse esclusivo del datore di lavoro anno per anno non attengono più, come si esprime il ricorrente, all’acquisizione dello “”status”.

A questi criteri si è attenuto il giudice del merito, il quale, con valutazione a lui demandata, ha affermato che l’iscrizione all’albo speciale consente l’esercizio della professione forense esclusivamente a favore dell’Inail.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in Euro 32,00 oltre Euro duemilacinquecento per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 32,00 oltre Euro duemilacinquecento per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione