Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 18/3/2009 n. 6552; Pres. Battimiello B.

Redazione 18/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con distinti ricorsi, successivamente riuniti, A.A., Am.An. e F.S. convenivano la Caremar spa dinanzi al Tribunale di Napoli ed impugnavano il licenziamento loro intimato per soppressione dell’officina cui erano addetti e pretesa impossibilità di diverso utilizzo. Previa costituzione ed opposizione della Caremar, il Tribunale rigettava la domanda attrice. Proponevano appello gli attori ed evidenziavano anzitutto che in un precedente giudizio da loro intentato nei confronti del datore di lavoro il giudice non aveva affatto dichiarato legittimi i licenziamenti "de quibus", licenziamenti tra l’altro non ancora posti in essere; nè in quella sede era stato affrontato il problema del "repechage", problema che invece si poneva nel presente processo, nel quale l’istruttoria aveva dimostrato la possibilità di impiegare essi attori in compiti diversi da quello di addetti all’officina sociale. Del resto, la stessa Caremar aveva loro offerto la possibilità di reimpiego, sia pure in mansioni inferiori, purchè essi rinunciassero al precedente giudizio. Con nota 10.10.1995 la Caremar si era impegnata a non mutare le modalità di svolgimento del rapporto, onde risultava violata la regola di buona fede: tale impegno era stato assunto ufficialmente in sede di Prefettura ed era stato tradito.

2. Si costituiva in appello la Caremar per ribadire la legittimità dei licenziamenti e l’impossibilità di "repechage" in mansioni equivalenti; mentre il tentativo di assegnare gli attori a mansioni inferiori era stato oggetto di un giudizio che si era concluso sfavorevolmente per la convenuta.

3. La Corte di Appello di Napoli riformava la sentenza di primo grado ed accoglieva le domande attrici. Questa, in sintesi, la motivazione della sentenza di appello:

– le parti hanno fatto riferimento ad una precedente sentenza tra loro intervenuta, la quale aveva per oggetto il demansionamento;

– in quella sede non era possibile vagliare i presupposti del licenziamento, perchè questo non era ancora stato intimato; e del resto le condizioni del licenziamento vanno vagliate con riferimento alla data del recesso, e non a data diversa ed anteriore;

– nel caso in esame, si verifica una circostanza nuova, vale a dire il consenso dei lavoratori a svolgere mansioni inferiori;

– in diverse pronunce la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il patto di demansionamento se finalizzato ad evitare il licenziamento e tale patto è stato ritenuto valido anche se stipulato mediante un accordo aziendale;

– ciò comporta che il "repechage" non va ricercato soltanto in mansioni equivalenti, ma anche rispetto a mansioni inferiori;

– si aggiunga che con verbale di accordo 18.1.1996 la Caremar si era impegnata a salvaguardare i livelli occupazionali inerenti all’officina, salvaguardando i posti di lavoro anche con mansioni inferiori (controllo in banchina dell’imbarco delle autovetture, pulizia del piazzale del molo).

4. Ha proposto ricorso per Cassazione la spa Caremar, deducendo cinque motivi. Resistono con controricorso gli attori. La Caremar ha presentato memoria integrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Si premette che il ricorso per Cassazione non risulta affetto da nullità / inammissibilità come eccepito dai controricorrenti: esso è autosufficiente, in quanto riporta i termini essenziali del fatto e dello svolgimento della controversia. I motivi sono illustrati con riferimento a precise violazioni di legge e vizi di motivazione, dei quali va saggiata la fondatezza.

6. Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 1325 e 1428 c.c., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: il giudice ha errato nel dichiarare la "nullità" dei licenziamenti, trattandosi di fattispecie in cui non ricorrono i presupposti della nullità nè dell’inefficacia.

7. Il motivo è infondato. Trattasi di questione prevalentemente nominalistica. A prescindere dalla identità delle conseguenze che la L. n. 300 del 1970, art. 18, ricollega al licenziamento nullo, annullato ed inefficace, appare evidente che la Corte di Appello ha inteso non "dichiarare nullo" il licenziamento, ma annullarlo, con le conseguenze economiche che ne derivano.

8. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 2103 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione: la sentenza di appello viola l’onere della prova, perchè la Caremar ha provato sia la soppressione dell’unità produttiva cui gli attori erano addetti, sia l’impossibilità di "repechage". Erroneamente la Corte di Appello ha invece ritenuto sussistere il consenso dei lavoratori ad espletare mansioni inferiori, circostanza questa non provata. In ogni caso, non spetta al datore di lavoro l’onere di provare l’impossibilità di riutilizzo del lavoratore in mansioni inferiori. La giurisprudenza in tema di art. 2103 c.c., attiene alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo, come ad esempio in tema di sopravvenuta infermità del lavoratore o di impossibilità di prestare le precedenti mansioni.

9. Replicano sul punto gli attori che il patto di demansionamento è contenuto, quanto meno, nell’accordo citato dalla sentenza di appello e richiamano la loro rinuncia a far valere la precedente sentenza anche sotto il profilo risarcitorio.

10. Il motivo è fondato. La Corte di Appello accerta che si è verificato un "fatto nuovo", vale a dire gli attori hanno rinunciato a far valere il demansionamento e lo hanno anzi accettato; ciò sembra mettere in evidenza un atteggiamento alquanto ondivago degli attori, i quali dapprima agiscono per la tutela della professionalità e successivamente ad essa rinunciano; ma rimane la circostanza, acclarata dal giudice, che il "fatto nuovo" è posteriore alla data del licenziamento e ad esso sopravvenuto. Di ciò "infra".

11. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 2103, 2697, 1321 e 1326 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c., nonchè difetto di motivazione: il giudice di appello non chiarisce dove, quando, in che modo gli attori avrebbero accettato mansioni inferiori; viceversa i licenziamenti sono stati intimati per la constatata indisponibilità degli attori a ricoprire mansioni inferiori. Inoltre risulta insussistente la disponibilità di posti di lavoro con qualifica inferiore.

12. Il motivo è fondato. Il principio di diritto applicabile è quello enunciato dalla sentenza di questa Corte 5.4.2007 n. 8596, la quale fa il punto sul giustificato motivo oggettivo: "La disposizione dell’art. 210 c.c., sulla regolamentazione delle mansioni del lavoratore e sul divieto del declassamento di dette mansioni va interpretata – stante le statuizioni di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 25033 del 2006, ed in coerenza con la ratio sottesa ai numerosi interventi in materia del legislatore – alla stregua della regola del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti l’esternalizzazione dei servizi o la loro riduzione a seguito di processi di riconversione o ristrutturazione aziendali, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retribuivo, non si pone in contrasto con il dettato codicistico, se essa rappresenti l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo". Con sentenza 13.8.2008 n. 21579 questa Corte di Cassazione ha poi ritenuto (con riferimento ad un caso in cui era stato licenziato un impiegato ed era stata successivamente assunta altra unità lavorativa con qualifica pure di impiegato, ma di livello inferiore) che la prova inerente al "repechage" va fornita rispetto anche ad una possibile dequalificazione concordata, specie se il lavoratore dimostra che tale soluzione è stata impedita da ostacoli frapposti dal datore di lavoro al patto di demansionamento, con un comportamento contrario a buona fede: nella specie, licenziato un lavoratore utilizzato come impiegato di concetto, era stata assunta una impiegata d’ordine la quale era stata adibita alle stesse mansioni espletate dal lavoratore licenziato.

13. Quindi, verificatosi il caso che il datore di lavoro proceda ad un licenziamento per riduzione dell’attività lavorativa, egli deve provare il giustificato motivo oggettivo e l’impossibilità di "repechage", che avrà come riferimento le mansioni equivalenti a quelle espletate dal lavoratore licenziato e, se il lavoratore ha accettato la dequalificazione come "extrema ratio", anche le mansioni inferiori. Ma il presupposto di tutto questo è che il lavoratore abbia accettato le inferiori mansioni, ossia il patto di demansionamento sia intervenuto prima del licenziamento. Le condizioni le quali legittimano il licenziamento per giustificato motivo obiettivo devono sussistere ed essere verificate alla data del licenziamento stesso e non possono consistere in fatti o manifestazioni di volontà sopravvenuti. Nel caso in cui il lavoratore abbia agito in giudizio per far valere il demansionamento, il consenso alla dequalificazione non può essere ritenuto esistente e va anzi escluso.

14. Col quarto motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 2103 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2909 c.c., art. 1362 c.c. e ss., in relazione all’accordo 18.1.1996, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: il richiamo al citato accordo è utilizzato dalla Corte di Appello come supporto "ad colorandum". Viene comunque impugnata l’interpretazione dell’accordo: rispetto alla data del 18.1.1996, i licenziamenti sono stati intimati il 6.7.1999. I livelli occupazionali sono stati salvaguardati. La mansioni inferiori non sono state accettate.

15. Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei motivi che precedono.

16. Col quinto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme già citate a proposito dei motivi che precedono, nonchè vizio di motivazione: la sentenza è errata là dove ritiene accertato che non sussistesse il giustificato motivo di licenziamento secondo le ragioni addotte dalla Caremar. Le posizioni lavorative degli attori sono venute meno, nessuna altra posizione equivalente si rinviene nell’intero contesto aziendale, nessuna nuova assunzione è stata effettuata. La manutenzione ordinaria a bordo viene svolta dal personale navigante; la manutenzione straordinaria viene affidata a ditte esterne; le mansioni di guardiano e di centralinista telefonico non esistono.

17. Il motivo è fondato. Valgono le considerazioni svolte a proposito dei motivi che precedono. Il principio è il seguente: quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilità di "repechage" va fatta con riferimento a mansioni equivalenti; ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di "repechage" va fornita anche con riferimento a tali mansioni; ma occorre in quest’ultimo caso che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l’illegittimità dello stesso demansionamento.

18. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata ed il processo va rinviato alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le statuizioni circa le spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Redazione