Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 18/1/2011 n. 1072

Redazione 18/01/11
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Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Crotone, ritualmente notificato, P.A.M., in proprio e nella qualità di erede legittima di B.S., dipendente della società "****************** e *********", deceduto il 6.7.1991 a seguito di infortunio sul lavoro verificatosi il 2.7.1991 (nel quale aveva trovato la morte anche l’altro dipendente G.P.) nel corso della effettuazione, presso la stabilimento industriale "Nuovo Pastificio S. Antonio Biagio Lecce s.p.a.", di un ponte elettrico di collegamento tra due serbatoi, a causa dell’esplosione dell’olio combustibile contenuto in uno dei serbatoi predetti, chiedeva la condanna della società datoriale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., al risarcimento di tutti i danni conseguenti all’evento verificatosi, la liquidarsi iure proprio e iure successionis.

Disposta la chiamata in garanzia, su istanza della società convenuta, della compagnia Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., con sentenza in data 18.10.2006 il Tribunale adito condannava la ******** s.a.s. e la terza chiamata, quest’ultima nei limiti del massimale assicurativo, al pagamento, in favore di P.G., nella qualità di erede di P.A.M., deceduta nelle more dell’espletamento del giudizio, della somma di Euro 158.200,00 a titolo di danno non patrimoniale iure proprio, Euro 164,00 a titolo di danno da invalidità temporanea iure successionis, Euro 693.020,00 a titolo di danno biologico iure successionis, Euro 175.269,00 a titolo di danno morale iure successionis, oltre agli interessi legali dalla data dell’evento sul capitale devalutato ed annualmente rivalutato in base agli indici Istat.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società ****************** e ********* lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

Proponeva altresì appello incidentale la ******à Reale Mutua Assicurazioni riproponendo le censure mosse dalla società datoriale e sollevando autonoma censura in relazione alla statuizione con la quale, sebbene condannata al risarcimento nei limiti del massimale di polizza, era stata condannata altresì al pagamento degli interessi, oltre tale limite.

E proponeva infine appello incidentale P.G., nella predetta qualità di erede di P.A.M., chiedendo la condanna di controparte al risarcimento del danno patrimoniale iure proprio e del danno esistenziale derivante dalla lesione del diritto costituzionalmente garantito alla integrità dei rapporti familiari.

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in data 10.7.2008, rigettava gli appelli proposti dalla società datoriale e dalla compagnia di assicurazioni e, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla P., condannava le controparti al pagamento della ulteriore somma di Euro 100.000,00 a titolo di danno esistenziale, oltre agli interessi legali.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la ****************** s.r.l. (già ****************** e *********) con nove motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la P..

La Compagnia di assicurazione non ha svolto alcuna attività difensiva.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
Col primo motivo di ricorso la società lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c..

In particolare osserva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la responsabilità della società datoriale per l’evento verificatosi sotto il profilo che l’assunto della stessa, secondo cui non sarebbe stata a conoscenza della presenza di olio combustibile all’interno del serbatoio nel quale si era verificata l’esplosione, si appalesava non sostenibile atteso che la presenza di tale olio costituiva un dato fattuale senz’altro noto, essendo il serbatoio comunque utilizzato dal pastificio Lecce per l’attività produttiva, ed anche necessario ai fini della verifica della corretta realizzazione del ponte di collegamento fra i due serbatoi; e pertanto la condotta della società integrava la violazione della norma di cui all’art. 2087 c.c. non risultando che la stessa avesse predisposto le opportune cautele nell’esecuzione dell’attività, sino al limite della sospensione della prestazione per mancanza delle previste condizioni di sicurezza.

Rileva per contro la ricorrente che dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, occorrendo che l’evento sia sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati; di talchè incombe al lavoratore l’onere di fornire la prova della concreta conoscenza, o quanto meno conoscibilità, da parte del datore di lavoro, del fatto o della situazione da cui l’evento dannoso trae origine, al fine di verificare che lo stesso rientri nell’ambito nella sfera di controllo del datore predetto, altrimenti verrebbe a configurarsi una sorta di responsabilità oggettiva ricomprendendo nella previsione dell’art. 2087 c.c. la prevenzione di rischi del tutto ignoti o affatto ipotetici.

Col secondo motivo di ricorso la società lamenta carenza o contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dall’accertamento in ordine alla concreta conoscenza, o prevedibilità, in capo al datore, del fatto da cui origina l’evento dannoso nonchè dall’accertamento in ordine alla circostanza se la causa scatenante l’evento rientrasse o meno nella sfera di controllo e di concreta prevedibilità del datore di lavoro.

In particolare la ricorrente, premesso che la presenza di olio combustibile nel serbatoio in questione costituiva un fatto decisivo e controverso ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ha rilevato l’esistenza di un salto logico nella motivazione dei giudice di appello tra la premessa (il fatto che il serbatoio sarebbe stato utilizzato dal pastificio Lecce per l’attività produttiva) e la conseguenza (il fatto che la società ricorrente sapesse, o dovesse sapere, della presenza dell’olio combustibile nel serbatoio da collegare a quello di nuova istallazione).

Col terzo motivo di ricorso la società lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 2087 e 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. in tema di successione e quantificazione del danno biologico e morale terminale in un caso di evento letale susseguito a breve distanza dall’infortunio.

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di quantificare il risarcimento della danno biologico iure successionis nell’importo spropositato di Euro 693.020,00, disattendendo il principio posto dalla Suprema Corte secondo cui ai fini del risarcimento del danno biologico in caso di infortunio seguito da morte assume preminente rilievo il trascorrere di un lasso di tempo apprezzabile fra il sinistro e l’evento letale, dando per contro rilievo alla situazione di massima sofferenza fisica e psichica in cui il B. era venuto a trovarsi nei pochi giorni (dal 2 luglio al 7 luglio 1991) intercorsi fra l’incidente e la morte, così pervenendo al risarcimento del suddetto danno biologico per intero, nella misura del 100%, come se il lavoratore fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita.

Col quarto motivo di ricorso la società lamenta carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo, rappresentato dalla rilevanza ai fini della determinazione dell’entità del danno biologico terminale da risarcire dell’arco temporale intercorrente tra fatto lesivo ed evento letale.

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale, pur ritenendo che il criterio del lasso di tempo apprezzabilmente decorso tra il sinistro e l’evento letale si appalesa in astratto condivisibile, ha peraltro disatteso siffatto criterio pervenendo al diverso risultato del risarcimento per intero del danno biologico solo sulla base dell’asserita intensità delle sofferenze patite dal lavoratore nel pur breve periodo di quattro giorni; di talchè sul punto la motivazione della sentenza si appalesava quanto meno carente.

Col quinto motivo di ricorso la società lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., anche in relazione all’art. 1223 c.c..

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale, dopo aver liquidato il danno biologico di natura psichica come un danno consolidato, aveva proceduto altresì alla liquidazione del danno morale, sul presupposto della accentuata ed intensa sofferenza psichica patita dal B. derivante dalla consapevolezza della sua condizione, operando in tal modo una duplicazione dello stesso risarcimento, mentre per contro siffatta sofferenza psichica doveva ritenersi siccome rientrante nell’area del danno biologico.

Col sesto motivo di ricorso la società lamenta carenza di motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, costituito dalla rilevanza del contemporaneo riconoscimento del risarcimento del danno biologico iure successionis in sede ed ai fini della liquidazione del danno morale iure successionis.

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva omesso ogni motivazione in ordine alla possibilità di cumulare le predette voci risarcitorie.

Col settimo motivo di ricorso la società lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2059 e 2697 c.c..

Rileva in particolare la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla P., aveva liquidato in favore della stessa il danno esistenziale, quantificato nella misura di Euro 100.000,00, sotto il profilo che la lesione incideva su interessi di livello costituzionale, conseguenti alla perdita del rapporto parentale, atteso che il decesso del figlio aveva fatto venir meno, nei confronti della stessa, l’intangibilità degli affetti familiari, la solidarietà nell’ambito della famiglia, la possibilità di esplicazione della persona umana nella società familiare. In tal modo peraltro la Corte territoriale aveva proceduto ad una duplicazione del danno non patrimoniale, avendo il Tribunale già riconosciuto in favore della P. il risarcimento del danno morale ex art. 2059 c.c. (danno morale soggettivo) inteso come prezzo per il patema d’animo transeunte, considerato che il B. era l’unico figlio convivente della predetta. Ciò comportava, alla stregua dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di cui alla sentenza n. 26972/08, una violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., stante l’attribuzione di autonoma dignità risarcitoria al danno esistenziale congiuntamente al danno morale soggettivo iure proprio in favore del congiunto della vittima.

Con l’ottavo motivo di ricorso la società lamenta carenza o contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalle circostanze in ipotesi rilevanti ai fini del riconoscimento, in favore del congiunto della vittima di un fatto illecito con effetti letali, che già aveva ottenuto in primo grado il riconoscimento del danno morale soggettivo, di un’ulteriore posta risarcitoria relativa a profili di asserito danno esistenziale.

Ciò in quanto si appalesa contraddicono assumere uno stesso referente fattuale – la condizione del B. di unico figlio della P. – per riconoscere due distinte poste risarcitorie, tanto più nella prospettiva della necessaria unitarietà del riconoscimento e del risarcimento del danno alla persona; dovendosi ritenere altresì una vistosa carenza di motivazione sotto il profilo degli elementi di prova del predetto danno, che non possono essere individuati e negli stessi termini apprezzati ai fini di una distinta posta risarcitoria.

Col nono motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1277, 1282 e 1284 c.c..

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la censura relativa al computo degli interessi, atteso che gli interessi su una somma attribuita a titolo di risarcimento dei danni da fatto illecito non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per capitale e rivalutata sino al momento della decisione, posto che in tal modo si finirebbe per attribuire al creditore un valore cui non ha diritto; ciò in quanto gli interessi non costituiscono un debito di valore, ma un criterio di commisurazione del danno da ritardo nel conseguimento di una somma di denaro che, all’epoca del fatto, non era quella rivalutata e solo progressivamente aveva raggiunto l’ammontare liquidato dalla sentenza di condanna, dovendo pertanto gli interessi essere riconosciuti dalla data di pubblicazione della sentenza e non da quella dell’evento letale. l primi due motivi del ricorso, che il Collegio ritiene di dover esaminare unitariamente in quanto strettamente connessi, non sono fondati.

Osserva il Collegio che la responsabilità del datore di lavoro in materia di infortuni è fondata sul disposto dell’art. 2087 c.c., in base al quale l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; la norma suddetta impone pertanto al datore di lavoro un obbligo generale di diligenza; nel sistema della tutela delle condizioni di lavoro prevista dal legislatore, la disposizione di cui all’art. 2087 c.c. ha una funzione integratrice della normativa che prevede le singole misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, ponendo a carico del datore di datore un obbligo generale di garanzia delle condizioni di sicurezza del lavoro. Ciò non determina l’insorgere di una ipotesi di responsabilità oggettiva, tuttavia non è circoscritta alla violazione di specifiche regole di esperienza o di regole tecniche, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare, in relazione alle effettive modalità e condizioni di lavoro, l’integrità psicofisica del lavoratore, in considerazione altresì della possibilità di conoscenza di tutti quegli elementi che, in relazione alla fattispecie concreta, possono incidere sulla sicurezza del lavoratore.

Alla stregua di quanto sopra non può dubitarsi che la Corte territoriale abbia correttamente ritenuto la violazione del predetto art. 2087 c.c. ed abbia coerentemente e compiutamente motivato in ordine alla responsabilità della società datoriale, avendo rilevato come la presenza di olio combustibile nel serbatoio già in uso costituiva un dato fattuale assolutamente noto, essendo il detto serbatoio comunque utilizzato dal pastificio Lecce per l’attività produttiva, ed anche necessario, al fine di verificare la corretta realizzazione del ponte di collegamento fra il serbatoio già in uso e quello di nuova istallazione. E pertanto correttamente ha ritenuto che non potesse dubitarsi della piena conoscenza e consapevolezza da parte della società della presenza in uno dei due serbatoi, e precisamente in quello già in uso al pastificio Lecce, di olio di combustibile; donde la responsabilità per violazione della disposizione di cui all’art. 2087 c.c. per non avere la società predetta, nonostante siffatta conoscenza e consapevolezza, provveduto a rendere edotti i lavoratori addetti alla saldatura del ponte fra i due serbatoi, delle particolari cautele da osservare nell’esecuzione dell’attività fornendoli di attrezzature adeguate allo scopo e predisponendo sul luogo quanto necessario per eventuali emergenze, sino al limite della sospensione della prestazione in mancanza delle necessarie condizioni di sicurezza.

Di conseguenza nessuna violazione o falsa applicazione di norme può ravvisarsi nella fattispecie, nè alcun salto logico di motivazione.

I suddetti motivi del ricorso non possono pertanto trovare accoglimento.

Del pari infondati si appalesano il terzo e quarto motivo del ricorso che il Collegio ritiene, parimenti, di dover trattare in maniera unitaria.

Innanzi tutto osserva il Collegio che l’evento morte non rileva di per sè ai fini del risarcimento, atteso che la morte (e cioè: la perdita della vita) è fuori dal danno biologico, poichè il danno alla salute presuppone pur sempre un soggetto in vita; ma è altrettanto vero che nessun danno alla salute è più grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura del 100%, con l’ulteriore fattore "aggravante", rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno biologico terminale è più intenso perchè l’aggressione subita dalla salute dell’individuo incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già subita, atteso che anche questa capacità recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera (cioè non "migliora") nè si stabilizza, ma degrada verso la morte; quest’ultimo evento rimane fuori dal danno alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la "progressione" verso di esso, poichè durante detto periodo il soggetto leso era ancora in vita (in tal senso, Cass. sez. 3^, 23.6.2006 n. 3766).

Posto ciò ritiene il Collegio di dover aderire al principio secondo cui, in caso di lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dell’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima (Cass. sez. 3^, 14.2.2007 n. 3260; Cass. sez. 3^, 2.4.2001 n. 4783, che in maniera incisiva fa riferimento alla "presenza di un danno "catastrofico" per intensità a carico della psiche del soggetto che attende lucidamente l’estinzione della propria vita").

Ritenuta pertanto l’irrilevanza del lasso di tempo intercorrente fra il sinistro e l’evento letale, osserva il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha posto in rilievo che il giudice, nel caso ritenga di applicare i criteri di liquidazione tabellare o a punto, deve procedere necessariamente alla cd. "personalizzazione" degli stessi, costituita dall’adeguamento al caso concreto atteso che, siccome più volte ribadito da questa Corte, la legittimità dell’utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori è pur sempre fondata sul potere di liquidazione equitativa del giudice.

E la liquidazione del quantum, se supportata da una motivazione congrua e coerente sul piano logico, e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia, è sottratta a qualsiasi censura in sede di legittimità.

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale, nel confermare la statuizione sul punto del primo giudice, ha rilevato, riportandosi agli esiti della consulenza medico legale effettuata, che il B., nei quattro giorni precedenti il decesso, aveva "subito un danno psichico totale per la presenza di una sofferenza e di una disperazione esistenziale di tale intensità da determinare nella percezione del defunto un danno catastrofico", in una situazione di "attesa lucida e disperata dell’estinzione della vita".

Alla stregua di quanto sopra i suddetti motivi di gravame non possono trovare accoglimento.

Sono per contro fondati il quinto ed il sesto motivo di gravame.

Ed invero il danno biologico, consistente nel danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce una categoria ampia ed ornnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi alla salute concretamente patiti dal soggetto, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione al soggetto del risarcimento sia per il danno biologico, inteso per come detto quale danno alla salute, che per il danno morale, inteso, nel caso di specie, quale intensa sofferenza psichica. Non può invero dubitarsi che quest’ultima fattispecie di danno costituisce necessariamente una componente del primo, atteso che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza psichica. E quindi, ove siano dedotte sofferenze di natura psichica, si rientra nell’ambito del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca, costituisce componente (Cass. SS.UU., 11.11.2008 n. 26972).

E parimenti fondati si appalesano il settimo ed ottavo motivo del ricorso.

Ed invero, alla stregua del suddetto principio della inammissibilità della duplicazione delle poste risarcitorie, rileva il Collegio che, una volta riconosciuto alla P., iure proprio, il risarcimento del danno morale, per la perdita dell’unico figlio convivente della stessa, appare di tutta evidenza che la liquidazione di una ulteriore somma a titolo di danno esistenziale per il venir meno del rapporto parentale, avente incidenza su interessi di rilievo costituzionale, costituisce una duplicazione del predetto danno morale soggettivo riconosciuto alla madre sostanzialmente con la medesima motivazione.

Infatti, per come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la predetta sentenza n. 26972/08, "determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato".

E’ infine infondato l’ultimo motivo del ricorso.

Ed invero il risarcimento dei danni da fatto illecito si configura quale debito di valore non avendo ad oggetto sin dall’origine una somma di denaro. Correttamente pertanto la Corte territoriale, dopo aver quantificato il danno alla data della decisione, ha proceduto alla determinazione degli interessi legali a decorrere dalla data della verificazione del fatto lesivo, ma procedendo alla "devalutazione" a tale data del capitale, per poi rivalutarlo annualmente secondo gli indici Istat, applicando quindi gli interessi dalla data di verificazione dell’evento sul predetto capitale "devalutato", con le successive rivalutazioni annuali; deve escludersi pertanto che si sia verificata alcuna duplicazione degli interessi medesimi.

In conclusione il ricorso della società deve essere parzialmente accolto, limitatamente al quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di gravame; di conseguenza, in relazione ai suddetti motivi, deve cassarsi la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda di P.G. volta al pagamento del danno esistenziale, quantificato nell’impugnata sentenza, nella misura di Euro 100.000,00, e del danno morale iure successionis, quantificato in sentenza nella misura di Euro 175.296,00; va nel resto confermata l’impugnata sentenza.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo al solo parziale accoglimento del ricorso proposto dalla società ******** s.r.l., per dichiarare interamente compensate tra la stessa e la resistente P. G., le spese relative al presente giudizio di cassazione, ferme restando le statuizioni sulle spese relative a giudizio di merito. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione va per contro operata nei confronti della ******à Reale Mutua di Assicurazioni, non avendo la stessa svolto alcuna attività difensiva, dovendosi anche nei confronti della predetta confermare la liquidazione delle spese relative ai giudizi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso; cassa parzialmente la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di P.G. volta al pagamento del danno esistenziale, quantificato nell’impugnata sentenza nei a misura di Euro 100.000,00, e del danno morale iure successionis, quantificato in sentenza nella misura di Euro 175.296,00; conferma nel resto l’impugnata sentenza. Compensa tra la società ricorrente e la resistente P.G. le spese relative al presente giudizio di cassazione; nulla per le spese relative al suddetto giudizio nei confronti della ******à Reale Mutua di Assicurazioni; conferma le statuizioni sulle spese relative al giudizio di merito.

Redazione