Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 17/2/2009 n. 3776; Pres. Mercurio E.

Redazione 17/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Giudice del lavoro di Siracusa, L.S. esponeva di essere stato iscritto nelle liste di mobilità dal 1 agosto 1995 al 30 novembre 1997, ma che l’INPS gli aveva corrisposto la relativa indennità solo fino al 30 dicembre 1995. Deducendo che il lavoro a tempo determinato prestato per il periodo dal 4 gennaio 1996 al 22 febbraio 1996 presso la ditta G. Maltauro di (omissis) non era incompatibile con l’iscrizione nelle suddette liste e che non ricorreva l’ipotesi prevista dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 9, lett. d), posto che l’INPS aveva sicuramente ricevuto d’ufficio la comunicazione dell’inizio del rapporto di lavoro a tempo determinato innanzi indicato, chiedeva la condanna dell’Istituto al pagamento della somma di L. 19.800.000.

La domanda era rigettata con sentenza del Tribunale di Siracusa del 10 giugno 2002, poi confermata dalla Corte di appello di Catania con la pronuncia ora impugnata.

Nel disattendere l’impugnazione, la Corte di merito ha rilevato la decadenza del L. dal diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità, sia perchè espatriato sia perchè non aveva adempiuto all’obbligo tassativamente imposto dalla norma, di effettuare, nel termine previsto dalla legge, la dovuta comunicazione all’INPS della sua assunzione a tempo determinato al fine di consentire all’ente previdenziale gli eventuali controlli, non potendosi considerare equipollente la comunicazione che sarebbe stata fatta all’Istituto dall’Ufficio del Lavoro.

Per la cassazione della sentenza il lavoratore soccombente ha proposto ricorso, cui l’INPS ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è articolato in due motivi. Il primo, nel denunciare, unitamente vizio di motivazione e travisamento del fatto, violazione e/o falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7 e L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 37, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto l’espatrio del L. in (omissis) soltanto in base alla mancanza di annotazione sulla copia del libretto di lavoro, dell’espletamento di attività lavorativa in Italia, e per avere considerato l’allontanamento del lavoratore dall’Italia motivo di decadenza dal diritto alla sua iscrizione nelle liste di mobilità.

Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione della cit. L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 9, comma 1, lett. d) nonchè vizio di motivazione. Sostiene che per l’assolvimento dell’obbligo, previsto dalla norma denunciata, di comunicazione del reperimento di altra occupazione è sufficiente che essa sia fatta prima della liquidazione delle somme per indennità di mobilità: nella specie nessun importo era stato corrisposto al ricorrente a tale titolo dopo il 31 dicembre 1995, per cui, considerata la ratio della disposizione in esame – intesa ad evitare 4 l’attribuzione al lavoratore di importi non dovuti e la conoscenza da parte dell’INPS della nuova occupazione del L., tanto che tempestivamente aveva disposto la sospensione del pagamento della detta indennità – non poteva essere dichiarata la decadenza dello stesso dal diritto al trattamento di mobilità.

Ritiene il Collegio di dover esaminare quest’ultimo motivo rispetto all’altro, in quanto, se ritenuta la operatività della cancellazione dalla lista di mobilità – con la conseguente decadenza dal diritto alla relativa indennità, a seguito della omessa preventiva comunicazione, da parte del lavoratore alla competente sede dell’INPS, dell’attività di lavoro subordinato a tempo parziale, ovvero a tempo determinato (ipotesi per le quali è prevista la possibilità per il lavoratore di conservare la iscrizione nella suddetta lista, ai sensi della medesima L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 6) – resta assorbita la censura concernente l’insufficiente indagine sull’affermato espatrio del lavoratore per motivi di lavoro, quale concorrente causa di cancellazione dalla lista di mobilità.

Il citato art. 9, prevede che "il lavoratore è cancellato dalla lista di mobilità e decade dai trattamenti e dalle indennità di cui all’art. 7, art. 11, comma 2, e art. 16, quando……d) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede dell’INPS del lavoro prestato ai sensi dell’art. 8, comma 6".

A sostegno della censura svolta, il lavoratore richiama due precedenti pronunce di questa Corte sulla interpretazione della disposizione in esame, intervenute con riferimento nel testo anteriore alla modifica introdotta dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 4, comma 38, convertito nella L. 8 novembre 1996, n. 608, (che ha sostituito le parole "preventiva comunicazione" con la frase "comunicazione entro cinque giorni dall’assunzione"), precisamente la sentenza n. 8127 del 27 luglio 1999 e la n. 14725 del 14 novembre 2000.

Quest’ultima – concernente una particolare fattispecie, in cui una lavoratrice, reintegrata a seguito di provvedimento giudiziale nel posto di lavoro dopo essere stata collocata in mobilità, aveva in seguito svolto attività lavorativa a tempo parziale e, definita transattivamente la lite con il precedente datore di lavoro, aveva, successivamente alla transazione, richiesto la liquidazione dell’indennità di mobilità per il periodo posteriore – si limita a ritenere che il lavoro a tempo determinato o parziale non determina la cancellazione del lavoratore sospeso dalla lista di mobilità, ma soltanto la sospensione del trattamento previdenziale dell’indennità di mobilità per le giornate di lavoro prestato.

Da tale orientamento il Collegio deve dissentire, non prendendo affatto in esame l’inadempimento allo specifico onere imposto dalla norma della preventiva comunicazione.

La prima pronuncia ha invece considerato detto onere, ritenendo che, in considerazione della ratio della norma, diretta ad evitare la contemporanea fruizione da parte del lavoratore della retribuzione derivante dalla nuova occupazione e del trattamento di mobilità, l’anteriorità della comunicazione deve essere valutata con riferimento alla erogazione della prestazione da parte dell’INPS, "nel senso di tempestività della stessa (comunicazione) nei limiti di una ragionevolezza temporale escludente profili dolosi" (v. in motivazione Cass. 8127/99), per cui è sufficiente ad escludere la cancellazione dalla lista di mobilità prevista dalla lett. d), che il lavoratore dia comunicazione dell’assunzione del nuovo lavoro anteriormente alla liquidazione riferita al periodo di reimpiego.

Tale indirizzo deve ritenersi superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte. Con riferimento all’analogo onere imposto dal D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, comma 5, convertito nella L. 20 maggio 1988, n. 160, che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto al trattamento di integrazione salariale ai cassaintegrati, si è precisato che è il medesimo lavoratore personalmente tenuto a dare preventiva comunicazione all’INPS dello svolgimento di attività lavorativa, e qualora non abbia a tanto provveduto, sono poste esclusivamente a suo carico le conseguenze sanzionatorie previste per il caso di inosservanza (decadenza dal diritto al trattamento di integrazione salariale), sicchè è da escludere che sia equipollente analoga comunicazione rivolta all’INPS dal datore di lavoro con finalità diverse da quelle sottese dalla legge all’imposizione dell’onere a specifico carico del lavoratore (cfr. Cass. 6 novembre 1999 n. 12386, 14 marzo 2001 n. 3690, 20 marzo 2001 n. 3949, 4 maggio 2001 n. 6296).

L’indirizzo ora riferito è da preferire a quello citato di Cass. 8127/99 in considerazione del tenore della norma che esige una "comunicazione preventiva", perchè questa è da riferire al nuovo rapporto di lavoro parziale o a tempo determinato che andrà ad instaurarsi durante la fruizione dell’indennità di mobilità, proprio per consentire all’Istituto previdenziale i necessari controlli. non solo per evitare frodi da parte dell’assicurato, ma anche per l’applicazione dei benefici contributivi previsti dalla medesima L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 2, in favore dei datori di lavoro che procedano all’assunzione a termine dei lavoratori in mobilità.

A conferma di questo orientamento può richiamarsi anche la nuova disciplina introdotta dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 4, comma 38, convertito nella L. 8 novembre 1996, n. 608, che in luogo della preventiva comunicazione ha disposto la comunicazione entro i cinque giorni dall’assunzione.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, ed essendo circostanza pacifica in atti che il L. non fece alcuna comunicazione all’INPS del rapporto di lavoro per il periodo indicato, il ricorso deve essere rigettato, restando assorbito il primo motivo.

Nulla per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla modifica introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, modifica qui non applicabile, trattandosi di procedimento iniziato con ricorso introduttivo del giudizio depositato in data anteriore all’entrata in vigore di quella modifica (Cass. 11 agosto 2004 n. 15614).

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

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