Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 14/8/2007 n. 17676; Pres. Ciciretti S., Est. Lamorgese A.

Redazione 14/08/07
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In tema di infortuni sul lavoro, lo sforzo fisico al quale possono essere equiparati stress emotivi e ambientali, costituisce la causa violenta ex art. 2 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 che determina la lesione.

 

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 23 aprile 2001 S.R. e i figli L. e F.F. adivano il Tribunale di Isernia, chiedendo che per la morte del loro congiunto F.G., avvenuta a seguito di infarto del miocardio, fosse dichiarata la dipendenza da causa di servizio, con la condanna dell’Inail alle prestazioni economiche di legge.

Nella resistenza dell’Istituto, il Tribunale, con sentenza del 20 novembre 2003, accoglieva la domanda e condannava l’ente previdenziale convenuto a costituire in favore dei ricorrenti la rendita vitalizia a decorrere dal giorno successivo al decesso.

La decisione, appellata dall’Inail, era riformata dalla Corte di appello di Campobasso con pronuncia depositata il 22 luglio 2004.

Il giudice del gravame, premesso che i ricorrenti avevano basato la loro pretesa sulla esistenza della malattia professionale e che questa si differenzia rispetto alla infermità per causa di servizio in considerazione del diverso grado di incidenza dei fattori lavorativi, riteneva – condividendo il parere del consulente tecnico di ufficio, il quale aveva concluso per la ricollegabilità dell’evento a causa di servizio – che la morte, avvenuta lontano dal luogo di lavoro e immediatamente dopo la giornata di riposo settimanale, non poteva essere ricondotta, sotto il profilo causale, alla attività lavorativa espletata.

Per la cassazione di questa sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.

L’Inail ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c. e deduce che "pur avendo l’appellante eccepito la carenza di legittimazione passiva e la genericità della domanda soltanto in secondo grado, la Corte di appello, incurante delle doglianze dell’appellato non ha rigettato tale eccezione sia pur argomentando sulla loro infondatezza".

La censura è inammissibile. Ritenuto con interpretazione non sottoposta a censura, che la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti era rivolta ad ottenere la condanna dell’Inail alla corresponsione della rendita da malattia professionale da cui era affetto il loro congiunto e dante causa, il giudice di merito l’ha rigettata non per difetto della titolarità in capo all’ente previdenziale del rapporto dedotto in giudizio, ma per l’inesistenza del nesso causale fra attività lavorativa e patologia cardiaca. In tal modo la questione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’appellante è stata risolta negativamente, per implicito, dalla Corte territoriale, e i ricorrenti, non essendo stati soccombenti sul punto, non possono avere alcun interesse ad impugnare la sentenza di appello per la anzidetta affermazione.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3. Erroneamente il giudice del gravame ha concluso che il consulente tecnico di ufficio aveva ravvisato la dipendenza della morte da causa di servizio, escludendo la malattia professionale, in quanto l’ausiliare nella relazione in atti aveva evidenziato che la infermità era stata contratta nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni, come appunto richiede la norma denunciata.

Il terzo motivo, nel denunciare vizio di motivazione, critica la sentenza impugnata perchè ha accolto l’impugnazione dell’Inail, così trascurando la formulazione della domanda introduttiva del giudizio, diretta, come pure quella in via amministrativa, ad ottenere il riconoscimento della malattia professionale, e le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, il quale aveva ascritto la morte del dipendente a "causalità di servizio", nel senso cioè di collegamento dell’evento all’attività lavorativa.

Questi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto si riferiscono alla eziologia lavorativa della patologia, non possono essere accolti, anche se deve rilevarsi l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nel ritenere che la patologia in relazione alla quale era stata richiesta la rendita costituiva una malattia professionale, secondo pure la specificazione datane dai richiedenti.

Si deve infatti osservare che, in base all’accertamento compiuto in sentenza, la morte del F.G. fu determinata da un infarto acuto, e secondo l’evoluzione giurisprudenziale tale evento, in quanto caratterizzato da rapidità e concentrazione della causa, va inquadrato, sempre che sìa riconducibile sotto il profilo eziologico all’attività lavorativa, come infortunio sul lavoro, e non come malattia professionale, la quale è invece connotata da una causa con sviluppo lento.

In tema di infortuni sul lavoro si è affermato che lo sforzo fisico, al quale possono essere equiparati stress emotivi e ambientali, costituisce la causa violenta, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 2, che determina con azione rapida e intensa la lesione (Cass. 23 dicembre 2003 n. 19682; Cass. 29 agosto 2003 n. 12685; Cass. 26 ottobre 2000 n. 14085, ove si è precisato, con riferimento ad analoga fattispecie di evento che aveva colpito il lavoratore, mentre si trovava nel proprio domicilio, che al fine di determinare se a un infarto cardiaco – il quale di per sè rappresenta una rottura dell’equilibrio nell’organismo del lavoratore concentrata in una minima misura temporale e quindi integra una "causa violenta" – sia riconoscibile un’eziologia lavorativa, occorre accertare se l’attività lavorativa, non necessariamente caratterizzata da sforzi particolari, abbia esercitato il ruolo di elemento causale, anche se concorrente con preesistenti fattori patologici, e se sussista tra la stessa attività e l’evento una contiguità temporale).

Tuttavia l’errore di diritto compiuto dal giudice del merito, al quale spetta la qualificazione dell’evento tutelato dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, se cioè infortunio sul lavoro o malattia professionale (Cass. 21 dicembre 2001 n. 16138), non da luogo alla cassazione della sentenza, essendo il dispositivo conforme a diritto, e si deve procedere soltanto alla correzione della motivazione nei termini di cui innanzi.

Relativamente al nesso causale fra attività lavorativa ed evento, la sentenza impugnata ne ha ritenuto la insussistenza, riportandosi al parere del consulente tecnico di ufficio e richiamando, sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa Corte (di cui ha citato le pronunce, 23 maggio 2001 n. 7050 e 18 marzo 1997 n. 2372), la diversa incidenza causale del fattore lavorativo fra il beneficio dell’equo indennizzo e la prestazione della rendita da malattia professionale.

E pur affermando le condizioni di stress da lavoro per il F. G. – questi doveva assicurare quale responsabile dell’ufficio e malgrado le deficienze di organico nel reparto da lui diretto, l’efficienza del servizio – il medesimo giudice ha però sottolineato le condizioni fisiche del lavoratore, il quale presentava dislipidemia e ipertensione arteriosa, e la circostanza che l’evento letale era avvenuto ben al di fuori delle occupazioni lavorative, e cioè nella propria abitazione e immediatamente dopo il giorno di riposo settimanale, così concludendo per l’impossibilita di ritenere che quelle condizioni lavorative fossero state "assolutamente predominanti nella produzione di situazione critica a livello cardiaco sfociata nel decesso".

Tale giudizio sulla incidenza del fattore lavorativo come condizione indispensabile nella causazione dell’evento non risulta adeguatamente censurata dai ricorrenti, i quali si sono limitati ad affermare che dalla consulenza tecnica espletata risultava la dipendenza dell’infarto da "causalità di servizio", trascurando però che la dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione sufficiente per il riconoscimento del beneficio dell’equo indennizzo, non ha rilievo decisivo ai fini della decisione, in quanto non coincide, così come ha più volte evidenziato la giurisprudenza di questa Corte, con il presupposto richiesto per l’attribuzione della diversa prestazione a carico dell’Inail della rendita per malattia professionale o da infortunio sul lavoro (v. oltre alle due decisioni innanzi citate 7050/01 e 2372/97, fra più recenti: Cass. 26 agosto 2005 n. 17353, Cass. 19 agosto 2005 n. 17053, Cass. 14 luglio 2004 n. 12997, Cass. 20 dicembre 2002 n. 18204).

Nè i ricorrenti hanno riportato le parti della relazione della consulenza tecnica di ufficio, che varrebbero ad avvalorare l’assunto della diversa e più incisiva influenza del fattore lavorativo sulla insorgenza dell’infarto che aveva colpito il loro congiunto.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 152. disp. att. c.p.c., i ricorrenti, sebbene soccombenti, restano esonerati dal pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Redazione