Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 13/3/2009 n. 6226; Pres. Ianniruberto G.

Redazione 13/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso deposita in data 4 marzo 2004 la s.p.a. Autostrade per l’Italia e la s.p.a. Autostrade proponevano appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Genova, in accoglimento del ricorso proposto da B.M., aveva dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo pieno con decorrenza dal gennaio 1998 sul presupposto che l’originario contratto a tempo parziale aveva avuto esecuzione difforme rispetto al modello contrattuale iniziale, in quanto il B. aveva prestato attività lavorativa per un tempo superiore alla misura massima di 134 ore mensili, stabilita dalla contrattazione collettiva per il rapporto part time.

Dopo la costituzione del contraddittorio, la Corte d’appello di Genova con sentenza del 4 febbraio 2005, in riforma della impugnata sentenza, rigettava le domande proposte in primo grado dal B. e compensava tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso tale sentenza B.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Resistono con controricorso la s.p.a.

Autostrade per l’Italia e la s.p.a Autostrade.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denunzia vizio di motivazione nonchè violazione del D.Lgs. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, convertito con modificazioni dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, in relazione all’art. 3.7 del contratto collettivo del 4 aprile 1995 nonchè all’art. 3, comma 6 del c.c.n.l. del 16 febbraio 2000. Assume al riguardo il ricorrente che la disposizione dettata dal citato articolo ha natura imperativa, desumibile dalla sua inderogabilità e dalle sanzioni amministrative comminate dal comma 14 dello stesso articolo. La presenza poi nel testo normativo della espressione "salvo diversa previsione dei contratti collettivi" non era sufficiente a conferire alla norma suddetta natura dispositiva, per essere la facoltà di diversa regolamentazione affidata a fonte di normazione sia pure di rango secondario (contrattazione collettiva), ma comunque insuscettibile di modifica e/o deroga ad opera delle parti del rapporto di lavoro. Ne conseguiva che, dovendosi il divieto di prestazione di lavoro supplementare, oltre i limiti individuati dal contratto collettivo, reputarsi norma imperativa la sua violazione – come era avvenuto nel caso di specie – non poteva non avere conseguenze sul rapporto di lavoro. Ed infatti nel caso di lavoro part-time, con orario eccedente la somma tra la prestazione minima prevista per l’espletamento del lavoro ed il massimo di lavoro supplementare consentito dalla pattuizione collettiva, si verificava l’automatica conversione ab origine del contratto part time in contratto a tempo pieno. Con il secondo motivo si deduce omissione, insufficienza e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia perchè una corretta e logica valutazione delle circostanze di fatto, del resto pacifiche in causa, avrebbe dovuto condurre a considerare del tutto compatibile la prestazione del B. con quella di un qualunque collega a tempo pieno, nel senso che non poteva escludersi che nei mesi in cui si era protratto il rapporto part time, anche altri dipendenti a tempo pieno potevano avere svolto un orario complessivo uguale a quello di esso ricorrente, tanto vero che in alcun mesi – dei 26 mesi considerati – aveva reso prestazioni "supplementari" al di sopra della soglia dell’orario a tempo pieno. Circostanze queste che mostravano la illogicità delle decisione del giudice del gravame, che sulla base di una errata valutazione dell’effettivo lavoro svolto da esso ricorrente, aveva ritenuto infondata la sua domanda.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione su punti decisivi della motivazione nonchè violazione del principio di effettività e dell’art. 1375 c.c., assumendo al riguardo che una volta accertato che il rapporto lavorativo svolto era, in termini di orario, sostanzialmente equiparabile a quello dei lavoratori a tempo pieno doveva reputarsi fondata la richiesta di trasformazione dell’iniziale contratto part time in contratto a tempo pieno sia per il criterio di buona fede – che deve presiedere alla corretta esecuzione del contratto – sia per la regola secondo cui, al fine del riconoscimento dei diritti dei lavoratori, quello che è decisivo non è il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto lavorativo nella sua concreta attuazione, dalla quale sorgono siffatti diritti.

I tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perchè privi di fondamento.

La Corte d’appello di Genova nel ritenere infondata la domanda del B. – dopo avere precisato che ai fatti di causa non potevano essere applicate ratione temporis il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e le successive modifiche, operate con il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ma la precedente normativa – ha poi osservato che il contratto di lavoro che prevede da parte del lavoratore part time il superamento di un orario lavorativo che supera il massimo consentito dalla contrattazione collettiva integra un illecito contrattuale, ma non consente la "conversione a tempo pieno", in mancanza di norme di legge o contrattuali che tale conseguenza riconoscano.

Sotto altro versante il giudice d’appello ha poi precisato che dalle risultanze di causa non poteva evincersi la formazione di un mutuo consenso a che l’iniziale contratto si trasformasse in contratto a tempo pieno.

E’ opportuno premettere ai fini di un ordinato iter argomentativo che non può essere riesaminato il punto della impugnata decisione in cui viene esclusa la formazione del mutuo consenso alla trasformazione del tipo contrattuale, atteso che tale riesame imporrebbe una rivisitazione delle risultanze processuali ed una rivalutazione di dati fattuali non consentiti in questa sede di legittimità.

Non possono trovare ingresso in questa sede neanche le censure attraverso la quali si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 una violazione di legge, avendo la sentenza del giudice d’appello proceduto ad una corretta applicazione della normativa di cui al D.Lgs. n. 1984 n. 726, art. 5, modificato dalla L. n. 863 del 1984.

Questa Corte ha già statuito – in una fattispecie con profili di analogia con quella in esame – che in tema di lavoro a tempo parziale, la mancata predeterminazione di un orario rigido non comporta l’automatica trasformazione del rapporto part time in rapporto a tempo pieno, nè la nullità della clausola relativa all’orario si estende all’intero contratto, a meno che non si provi che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità; ne consegue che, in tale ipotesi, deve ritenersi perdurante il rapporto di lavoro part time, sia pure senza specificazione dell’orario rigido (cfr. in tali sensi:

Cass. 7 febbraio 1151 n. 1151); e sempre in tale ottica la stessa Corte – dato atto che nè la legge nè il c.c.n.l. prevedono la trasformazione del rapporto di lavoro part time in rapporto a tempo normale qualora il tetto delle ore previste per il tempo parziale venga superato – ha affermato che in tema di lavoro a tempo parziale, pur essendo in astratto possibile la trasformazione del rapporto per fatti concludenti, nonostante la difforme pattuizione iniziale, il superamento del "monte orario" non determina necessariamente detta trasformazione.

Quest’ultima decisione ha poi precisato in motivazione che la suddetta trasformazione può verificarsi per fatti concludenti a causa della continua prestazione di un orario pari a quello previsto per lavoro a tempo pieno e non allorquando una siffatta prestazione sia avvenuta sporadicamente o in rari casi, ed ha infine puntualizzato che in ogni caso la configurabilità dei fatti concludenti deve valutarsi unicamente dal giudice di merito (cfr.

Cass. 11 febbraio 2008 n. 3338).

A conforto di quanto sinora detto non può addursi che i diritti scaturenti dal contratto part time devono considerarsi, alla stregua del disposto del D.Lgs. n. 726 del 1984, art. 5, indisponibili sicchè in caso di sua violazione conseguirebbe la trasformazione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno. A tale assunto può, infatti, obiettarsi che il comportamento illegittimo del datore, consistente nel disattendere con riferimento al tempo lavorativo le prescrizioni della legge e dei contratti collettivi devono ritenersi assoggettate – sulla base del combinato disposto del comma 4 e 14 del citato art. 5 – alle sanzioni amministrative. Non si ravvisano dunque ragioni capaci al fine di disattendere quanto più volte ribadito dai giudici di legittimità che, in ragione del silenzio sia delle legge che della contrattazione collettiva, hanno negato – come si è visto – la trasformazione del contratto a tempo parziale a contratto a tempo pieno nell’ipotesi di superamento del monte ore previsto per il rapporto part time.

Per concludere il ricorso va rigettato per sottrarsi la sentenza impugnata ad ogni censura per essere congruamente motivata, priva di salti logici e per avere fatto corretta applicazione dei principi innanzi ricordati.

Le spese del presente giudizio di cassazione – in considerazione della natura della controversia, delle questioni trattate nonchè del diverso esito avuto dalla controversia nei gradi di merito – vanno interamente compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Redazione