Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 13/3/2009 n. 6224; Pres. Ianniruberto G.

Redazione 13/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 13 dicembre 2002, l’Azienda Sanitaria locale n. (OMISSIS) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, che l’aveva condannato al pagamento a favore di A.A. a titolo di risarcimento danni della complessiva somma di Euro 83.924,25, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria per l’anticipato recesso del contratto di collaborazione esterna stipulato dalle parti.

Ricostituitosi il contraddittorio, la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 20 ottobre 2005 accoglieva l’appello e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, rigettava la domanda proposta da A.A. e compensava le spese di lite.

Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che, nella sussistenza dei presupposti per la configurabilità di un rapporto di parasubordinazione, non si rilevava fondata la richiesta di riconoscimento di compenso, sia pure a titolo di risarcimento danni per anticipata risoluzione del rapporto, perchè l’attività professionale di collaboratore era retribuita mediante la erogazione di compensi ad "accessi", nel limite massimo di due alla settimana, e quindi, alla effettiva prestazione. L’accordo stabiliva una chiara corrispettività tra la prestazione e la corresponsione del compenso sicchè nella vigenza del rapporto la mancanza della prima faceva venir meno la seconda. La ritenuta sinallagmaticità non poteva ritenersi essere venuta meno a seguito della anticipata cessazione del rapporto perchè tale cessazione, se rendeva impossibile adempiere alla prestazione, nello stesso tempo precludeva l’insorgenza dell’obbligo di pagamento del compenso da parte dell’Azienda. Nè per andare in contrario avviso poteva farsi ricorso al criterio equitativo sia perchè tale criterio richiede sempre la prova dell’esistenza del danno sia perchè con specifico riferimento alla fattispecie la previsione dei cinque "accessi" al mese risultava sfornita di ogni elemento di supporto fattuale e non trovava fondamento neppure in atti relativi al periodo di vigenza del rapporto. In altri termini la posizione del dott. A. avrebbe potuto ricevere tutela mediante la prospettazione di eventuali danni – diversi ed ulteriori rispetto alla mancata percezione del compenso – discendenti dalla stipulazione del contratto e dalla sua anticipata risoluzione, quali la perdita di altre occasioni di lavoro o la rinunzia a precedenti incarichi professionali.

Avverso tale decisione A.A. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

L’Azienda Sanitaria n. (OMISSIS) non si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 432 c.p.c nonchè insufficiente motivazione sul punto relativo alla determinazione del danno secondo equità. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che le regole codicistiche introducono un criterio integrativo nelle ipotesi in cui manchino elementi tipizzati per la determinazione del danno, tra le quali rientra anche il caso della liquidazione del danno da illegittima risoluzione del contratto al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.

E la stessa Corte aveva trascurato di considerare che, in caso di inadempimento, va riconosciuto anche la risarcibilità del danno emergente sotto forma di mancate possibilità lavorative perse ed in considerazione di ciò il giudice di primo grado aveva adeguatamente motivato sulle ragioni del ricorso alla valutazione equitativa e sui parametri assunti a riferimento per il risarcimento del danno.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge per il mancato rispetto del limite di cui all’art. 342 c.p.c., lamentando al riguardo che il giudice d’appello nel riformare la parte della sentenza di primo grado che aveva determinato la misura del danno, era andato oltre gli aspetti che gli erano stati devoluti perchè non vi era nell’atto di gravame alcuna specifica censura sulla determinazione del danno secondo equità, sicchè doveva ritenersi che sul punto si era formato il giudicato formale e sostanziale.

Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

Va preliminarmente evidenziato che diversamente da quanto richiesto dal Procuratore Generale nel caso di specie non può essere dichiarata la improcedibilità del ricorso atteso l’indirizzo giurisprudenziale – che va ribadito in questa sede – secondo cui qualora la Corte di Cassazione, riscontrata la nullità della notifica del ricorso, ne abbia disposto la rinnovazione "ex" art. 291 c.p.c., il termine perentorio entro cui deve avvenire il deposito del ricorso nuovamente notificato alla parte è non già quello, previsto dall’art. 369 c.p.c., di venti giorni dalla notificazione del ricorso, bensì quello di venti giorni dalla scadenza del termine assegnato dal giudice per la rinnovazione, secondo la previsione dell’art. 371 – bis c.p.c. (Cass., Sez. Un., 21 luglio 2004 n. 13602). Nel caso di specie nell’udienza del 7 ottobre 2008 questa Sezione Lavoro assegnava ad ************ il termine di 60 giorni per la rinotifica del ricorso, che veniva effettuata il 16 ottobre 2008 mentre il ricorso veniva depositato in cancelleria il successivo 14 novembre, e quindi tempestivamente.

Ciò premesso il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata. Non può dubitarsi, stante il contenuto dello stesso ricorso in Cassazione, che con il gravame proposto dall’ A. veniva contestata integralmente la decisione di primo grado, denunziandosi che la stessa risultava fortemente condizionata da un ragionamento "privo di iter logico e di elementi giuridici", ed assolutamente infondata in fatto ed in diritto. Ne consegue che non appare condivisibile l’assunto che il giudice d’appello, nel negare la sussistenza di danni subiti dal lavoratore, aveva violato il principio del devoluto decidendo questioni e motivi che le parti non avevano inteso portare direttamente alla sua cognizione.

Ciò premesso la decisione impugnata va cassata perchè si presente priva di adeguata motivazione nella parte in cui nega senza un adeguato iter argomentativo la configurabilità di ogni genere di danno a seguito della anticipata risoluzione del rapporto lavorativo. Ed ugualmente carente nella motivazione si mostra la sentenza della Corte territoriale nel punto in cui, senza esaminare e valutare la causale della risoluzione del rapporto, ma basandosi unicamente sull’elemento della corrispettività tra prestazioni, ha finito con raffermare che dalla condotta dell’Azienda sanitaria non potesse in ogni caso derivare in pregiudizio dell’ A. alcun danno (emergente o da lucro cessante), suscettibile di essere liquidato – nella impossibilità di determinarne l’importo – con criterio equitativo.

A tale riguardo va sottolineato come una risoluzione di un rapporto a termine avente ad oggetto prestazioni professionali, che venga risolto prima della sua scadenza, può concretizzare – se il recesso è privo di qualsiasi valida giustificazione, e tanto più nel caso in cui trovi fondamento in motivi illegittimi – un inadempimento contrattuale suscettibile di determinare pregiudizi economici, liquidabili in caso della prova della loro esistenza anche con criteri equitativi. Possibilità questa i cui presupposti sono stati ripetutamente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità in fattispecie che, per riguardare rapporti lavorativi risoluti ante tempus, presentano tratti di indubbia analogia con l’oggetto della presente controversia (cfr. al riguardo: Cass. 28 dicembre 1999 n. 14637, che ha infatti negato in un caso di risoluzione ante tempus di un dirigente, senza giusta causa, la liquidazione equitativa perchè il giudice di merito poteva – diversamente da quanto è possibile nel caso in esame in cui le prestazioni lavorative erano variabili nel numero sino a potere mancare del tutto – fare riferimento al parametro delle retribuzioni pattuite, cui adde: Cass. 10 novembre 2003 n. 16849, che in altra fattispecie di recesso ante tempus da contratto di formazione e lavoro, non sorretto da giusta causa, ha ritenuto illegittimo tale recesso per violazione del termine contrattuale riconoscendo l’obbligo del recedente al risarcimento integrale del danno secondo le regole comuni di cui all’art. 1223 c.c.).

La sentenza va, dunque, cassata ed, alla stregua dell’art. 384 c.p.c., comma 2, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rimessa ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Reggio Calabria, che procederà ad un nuovo esame della controversia facendo applicazione di quanto in precedenza enunciato.

Al giudice di rinvio va rimessa anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rimette la causa alla Corte d’appello di Reggio di Calabria anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Redazione