Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 13/1/2009 n. 501; Pres. Senese S.

Redazione 13/01/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Catanzaro confermava la statuizione resa dal Tribunale di Vibo Valentia, che aveva accolto la domanda proposta dall’avv. I.R. per la declaratoria di illegittimità della delibera della Cassa di Previdenza Forense del 24 novembre 1999, con cui erano stati corretti i redditi degli anni 1987 e 1988, posti a base della pensione liquidata al medesimo avvocato, con ricalcolo in diminuzione della pensione medesima. Con la stessa sentenza era stata dichiarata parimenti illegittima la richiesta di restituzione di una parte della pensione erogata.

Il primo Giudice aveva osservato che la L. n. 576 del 1980, art. 20, prevede che la Cassa, ai fini del controllo sui redditi comunicati da ciascun iscritto, possa chiedere la documentazione comprovante la corrispondenza tra questi e le dichiarazioni dei redditi e del volume d’affari solo con riferimento agi ultimi dieci anni, e da tale disposizione aveva inferito che detto controllo sia soggetto alla prescrizione decennale.

La Corte territoriale negava che le norme riguardanti il rapporto contributivo tra la Cassa e l’iscritto fossero di ordine pubblico, di talchè il diritto della prima a correggere la liquidazione della pensione fosse da considerare imprescrittibile, sul rilievo che la Cassa è fondazione di diritto privato, come tale soggetta all’applicazione dell’istituto della prescrizione. Negava pertanto che la Cassa avesse il potere di correggere in ogni momento i propri errori, affermando che detto potere di controllo e correzione sarebbe consentito solo entro un ambito temporale definito, come peraltro ritenuto da questa Corte a proposito dell’analogo potere della stessa Cassa di procedere alla revisione dell’iscrizione per gli iscritti in relazione ai quali difetti il requisito della continuità professionale (Cass. n. 10164/1999). Nè la prescrizione si poteva far decorrere dal momento di effettiva conoscenza dei dati reddituali trasmessi dall’anagrafe tributaria, in quanto il diritto alla correzione della pensione già liquidata poteva essere fatto valere sin dal momento dell’erronea liquidazione, e dunque ancor prima di detta comunicazione. Neppure poteva ravvisarsi il dolo del debitore idoneo a sospendere il decorso della prescrizione, giacchè le dichiarazioni dell’avvocato, sulla cui base la pensione era stata liquidata, erano bensì inesatte – riferendosi al reddito lordo e non, come la legge prescrive, a quello netto – ma difettava qualsiasi prova per ritenere che ciò fosse il frutto di una condotta ingannatrice o fraudolenta.

Avverso detta sentenza la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense propone ricorso per quattro motivi. Resiste l’avv. I. con controricorso, illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rigettata la eccezione di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., dal momento che lo stesso non è stato depositato oltre il termine di venti giorni. Il deposito fu infatti effettuato il 29 luglio 2005, mentre il ricorso era stato notificato a mezzo posta con raccomandata, spedita l’8 luglio precedente ma, ricevuta solo il giorno 14 dello stesso mese: ed è quest’ultima la data da prendere in considerazione per stabilire la tempestività del deposito.

E’ stato infatti affermato (Cass. n. 14742 del 26 giugno 2007 e n. 27596 del 2006) che "Il principio sancito dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario) trova applicazione limitatamente alla verifica della tempestività della notifica dell’atto, ma non anche con riguardo alla questione relativa alla tempestività del deposito del ricorso ex art. 369 c.p.c.. Sicchè, in ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale del ricorso per cassazione, il termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto, previsto dall’art. 369 c.p.c., a pena di improcedibilità, decorre dalla data di consegna del plico al destinatario.

2. Deve, dunque, procedersi all’esame dei motivi di ricorso.

2 – a) Con il primo motivo, assumendo violazione della L. n. 576 del 1980, art. 2, comma 2, art. 1428 c.c., e art. 2934 c.c., comma 2, nonchè difetto di motivazione e violazione degli artt. 36 e 38 Cost., si censura la sentenza per avere negato che le norme riguardanti il rapporto contributivo previdenziale sono di ordine pubblico: al contrario, trattandosi di norme imperative di ordine pubblico, vi sarebbe il potere dell’Amministrazione di annullare d’ufficio, in sede di autotutela, il provvedimento di ammissione al pensionamento che risultasse ab origine adottato in contrasto con la normativa vigente, com’era nella specie, in cui la pensione era stata liquidata sulla base di un reddito professionale (parzialmente) inesistente. Non diversamente, del resto, da quanto previsto per il caso di contributi versati (e di pensione liquidata) sulla base di un reddito professionale prodotto in situazione d’incompatibilità, ipotesi nella quale la Cassa può in ogni tempo neutralizzare i periodi d’iscrizione corrispondenti a quelli nei quali si è verificata l’incompatibilità.

Comunque, e già prima, il principio affermato nella sentenza impugnata potrebbe trovare applicazione nelle ipotesi di errore di liquidazione della pensione da parte dell’ente previdenziale ma non certo nelle ipotesi in cui – come nella specie – vi sarebbe stata una condotta fraudolenta o comunque colpevole dell’assicurato. Il motivo, nei vari profili di censura in cui si articola, è infondato, anche se la parte di motivazione in diritto della sentenza, contro la quale si articola la censura principale, dev’esser precisata e parzialmente corretta.

Va subito sgombrato il campo dalla censura da ultimo riportata secondo cui il principio di diritto criticato – a tutto concedere – non si applicherebbe all’ipotesi di errore determinato da condotta fraudolenta o comunque colpevole dell’assicurato. La sentenza impugnata, infatti, ha escluso che la dichiarazione, da parte dell’avv. I., del reddito lordo anzichè netto sia frutto di condotta fraudolenta o comunque colpevole. E contro tale statuizione nessuna censura viene avanzata dal ricorrente che si limita invece a postulare, ignorando detta statuizione, che il comportamento del professionista sia stato fraudolento o colpevole. Per tale profilo, dunque, la censura è inammissibile.

Il nucleo centrale del motivo, peraltro, si appunta contro l’affermazione della corte territoriale che ha, in sostanza, ritenuto che il potere di correzione della liquidazione della pensione da parte della Cassa si prescriva nel termine di dieci anni dal momento della liquidazione stessa,posto che la stessa Cassa è una fondazione diritto privato e, dunque (parrebbe di capire), le norme sul relativo rapporto contributivo non sarebbero imperative. L’affermazione è criticata dalla Cassa che fa valere la natura pubblicistica del rapporto contributivo – previdenziale, regolato da norme imperative che danno luogo a posizioni indisponibili alle quali si applicherebbe l’art. 2934 c.c., comma 2.

Al riguardo la Corte osserva che la natura di ente di diritto privato della Cassa non può essere messa in dubbio (v. testualmente D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 1, comma 2, e elenco A allegato al detto decreto), ma che del pari innegabile è la natura pubblica dell’attività dalla stessa svolta (v. testualmente D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 1, cit.), confermata dalla vigilanza del Ministero del lavoro e previdenza sociale su di essa, dalla presenza nel collegio sindacale di rappresentanti della predetta Amministrazione pubblica (art. 3, comma 1, D.Lgs. cit.) ed infine dalla sottoposizione della sua gestione al controllo della corte dei conti (art. 3, comma 5, D.Lgs. cit.).

Tali dati normativi, richiamati il primo dalla corte territoriale ed il secondo dal ricorrente, a sostegno delle rispettive e contrapposte tesi, non valgono peraltro a risolvere la questione della prescrittibilità o meno del diritto della Cassa a rettificare la liquidazione della pensione (in ogni momento, secondo l’ente ricorrente; nei limiti del decennio, secondo la sentenza impugnata). Ciò in quanto, nel rapporto previdenziale di diritto pubblico, la disciplina in materia di prescrizione stabilita dal codice civile si applica con gli adattamenti e le modificazioni imposti dalle speciali norme al riguardo dettate nei singoli ordinamenti previdenziali di cui si tratta, com’è reso palese in particolare dalle disposizioni in tema di prescrizione del diritto dell’ente previdenziale ai contributi previdenziali: nessuno dubita infatti che un siffatto diritto non sia disponibile da parte dell’Ente creditore e tuttavia la legge ne prevede espressamente la prescrittibilità, in deroga all’art. 2934 c.c., comma 2. Ed anzi, la L. n. 335 del 1995, (art. 3, commi 9 e 10) ha disposto l’abbreviazione dei relativi termini facendo prevalere, sull’interesse pubblico alla regolare provvista contributiva, l’interesse alla certezza dei rapporti giuridici, fattore di trasparenza ed efficienza amministrativa.

La soluzione della questione in esame va dunque ricercata nell’ambito delle disposizioni relative ai singoli ordinamenti previdenziali, diversi gli uni dagli altri non soltanto quanto al carattere, pubblico o privato, dei rispettivi enti gestori ma anche, e sia pure in parte in dipendenza di tale carattere, quanto alle disposizioni disciplinanti i singoli poteri e le rispettive modalità di esercizio. Viene al riguardo in rilievo la L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 1, a tenore del quale " Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni specoli per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonchè la pensione sociale, di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione".

Trattasi di disposizione la cui disciplina l’ente ricorrente – che pur non invoca la norma sopra trascritta – vorrebbe applicata al caso di specie. In contrario è da osservare che la dettagliata elencazione che il testo legislativo puntigliosamente esibisce delle gestioni pensionistiche alle quali si applica la regola che esso enuncia, unitamente alla considerazione che trattasi di gestioni tutte affidate ad ente con personalità di diritto pubblico, induce a ritenere il carattere speciale della suddetta regola e la sua non estensibilità ad altre gestioni, specie se affidate ad enti con personalità di diritto privato. Conforta tale conclusione non soltanto l’assenza di un’analoga disposizione nell’ordinamento della Cassa di previdenza forense ma, soprattutto, la presenza in tale ordinamento di disposizione che, per un’ipotesi di erronea attribuzione di pensione, prevede termini assai brevi per la rettifica di periodi d’iscrizione, e relative posizioni contributive, viziati dal difetto del requisito della continuità dell’esercizio professionale (v. L. n. 319 del 1975, art. 3, così come modificato dalla L. n. 876 del 1980, art. 22, penultimo comma). Le sezioni unite civili di questa Corte, nel ribadire che il potere di revisione attribuito alla Cassa dalla norma appena citata può essere esercitato solo con riferimento al quinquennio precedente e non già, come la Cassa pretendeva, in ogni tempo, hanno avuto occasione di precisare che la soluzione da esse ritenuta trova una conferma, e non una smentita, nell’inesistenza di limiti temporali all’accertamento di situazioni di incompatibilità correlate allo svolgimento dell’attività professionale, le quali, ai sensi della L. del 1975, art. 2, comma 3, precludono sia l’iscrizione alla Cassa sia la valutazione dei periodi corrispondenti ai fini dell’attribuzione di prestazioni previdenziali (cfr. S.U. n. 13289/2005); per tale via ribadendo che il criterio della rettificabilità senza limiti temporali della posizione previdenziale – contributiva dell’iscritto in tanto può esser ritenuto in quanto specificamente previsto da una puntuale disposizione. Ora, di una siffatta disposizione, riferita all’ipotesi – che qui viene in esame – di errore nella misura dei contributi accreditati, l’ordinamento della Cassa di previdenza forense non presenta traccia; che anzi un’indicazione in senso contrario alla tesi della Cassa è rinvenibile nella disposizione della L. n. 876 del 1980, art. 20, cit., a mente del quale l’Ente ha, facoltà di controllare, all’atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra, le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni. Il che depone per una prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto all’esigenza di far valere, senza limiti di tempo, la esatta corrispondenza della posizione contributiva – previdenziale alle regole disciplinanti la sua configurazione; a differenza di quanto invece previsto dalla L. n. 88 del 1989, citato art. 52, a proposito delle gestioni affidate all’INPS. La diversa natura giuridica degli enti gestori non è certo, estranea a tale differente disciplina, che – per l’ente di gestione con personalità di diritto privato – esalta il criterio dell’efficienza affidata alla responsabilità e diligenza del gestore, facendo salva per lo stesso la possibilità di rettifica in ogni tempo solo in presenza di fondamentali interessi pubblici quali quelli sottesi al divieto di esercizio professionale in regime d’incompatibilità (L. n. 319 del 1975, art. 2, comma 3, cit.);

Nè contro la soluzione qui ritenuta sembra possa trarsi argomento dall’art. 17, comma 8, della più volte citata L. n. 876 del 1980, a mente del quale "la Cassa ha diritto in ogni momento di ottenere dai competenti uffici delle imposte dirette e dell’IVA le informazioni relative alle dichiarazioni e gli accertamenti definitivi concernenti tutti gli avvocati e i procuratori nonchè i pensionati". La specificazione in ogni tempo, dalla quale si pretenderebbe inferire che "in ogni tempo" la Cassa può adottare i provvedimenti che quelle informazioni fonderebbero, è – all’evidenza – riferita al solo potere di richiedere informazioni e non anche al distinto potere d’incidere sul rapporto giuridico del quale è parte l’iscritto; essa trova la propria ragione nell’esigenza di consentire alla Cassa stessa di esercitare senz’alcun limite temporale i propri poteri di vigilanza sul corretto svolgimento del rapporto e quindi non solo al momento del pensionamento, come potrebbe desumersi dalla L. n. 876 del 1980, art. 20, già citato, ma già in costanza di rapporto e finanche dopo il pensionamento, fermo peraltro rimanendo il limite temporale per l’incisione – sulla scorta delle informazioni così ottenute – sul rapporto previdenziale.

In conclusione, il motivo dev’essere rigettato, con parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata, per la parte che lo concerne, nei sensi sopra indicati.

2 – b) Il secondo motivo del ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 876 del 1980, art. 2, comma 2, art. 17, comma 8, artt. 1147, 1175, 1430, 2941 e 2935 c.c., nonchè vizio di motivazione.

Si sostiene, innanzitutto, che erroneamente la prescrizione è stata fatta decorrere dalla data di liquidazione della pensione anzichè da quella posteriore (24.4.1998) nella quale la Cassa ha ricevuto dall’anagrafe tributaria i dati reddituali dell’avv. I.. La censura è priva di fondamento. Il dies a quo della prescrizione, a tutela della certezza dei rapporti, è costituito dalla liquidazione della pensione, che è l’atto su cui incide la rettifica. La data nella quale la Cassa ha acquisito gli elementi sui quali fondare la rettifica stessa è in funzione della diligenza della stessa Cassa ed è del tutto irrilevante nel rapporto con l’iscritto. Nè può configurarsi un’ipotesi d’impedimento all’esercizio del diritto in una circostanza che la Cassa avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza (la discrepanza tra reddito dichiarato al lordo e reddito netto non abbisognava di alcun controllo fiscale impropriamente evocato dal ricorrente).

Sotto un diverso profilo si sostiene, per un verso, che il comportamento omissivo dell’iscritto avrebbe comportato la sospensione del decorso della prescrizione e, per altro verso, che tale sospensione deriverebbe dal comportamento doloso dello stesso iscritto. Anche tale censura è infondata: per un verso, essa riproduce la censura preliminarmente disattesa nell’esame del primo motivo; per altro verso, configura un’omissione là dove invece si è trattato di un inesatto adempimento dell’obbligo di comunicazione, che non vale certo ad integrare una causa di sospensione della prescrizione.

2 – c) Il terzo motivo denuncia ancora violazione della L. n. 876 del 1980, artt. 2 e 17, e art. 2941 c.c., unitamente a vizio di motivazione ripetendo la tesi della sospensione della prescrizione per effetto del dolo dell’avv. I., per tale via riproponendo le infondate censure già disattese supra sub 2 – a).

2 – d) Il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 876 del 1980, artt. 2, 17 e 19, artt. 2935 e 2946 c.c., nonchè vizio di motivazione assumendo che, comunque, la prescrizione non poteva considerarsi compiuta per l’anno 1988, posto che i relativi redditi sono stati dichiarati nell’anno 1989. La censura, di non agevole comprensione, non tiene conto che il potere di rettifica, il cui esercizio manifestatosi con provvedimento in data 24.11.1999 è stato ritenuto precluso per effetto della compiuta prescrizione, si appunta sul provvedimento di liquidazione della pensione adottato in data 21.7.1989; con riferimento a tale data – nella quale si è tenuto conto anche dei redditi dichiarati e comunicati per l’anno 1988 – è stato correttamente calcolato il decorso della prescrizione, sì che del tutto inconferenti si rivelano le considerazioni relative alla circostanza che i redditi del 1988 sarebbero stati dichiarati nel 1989.

In conclusione il ricorso dev’esser rigettato. La complessità della materia, il rigetto dell’eccezione d’improcedibilità del ricorso, e l’assenza di precedenti specifici giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio.

Redazione