Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 13/10/2008 n. 25047; Pres. De Luca M.

Redazione 13/10/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza ora denunciata, la Corte d’appello di Brescia – in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto l’opposizione, proposta dall’Azienda sevizi municipalizzati (A.S.M.) S.p.a. di Brescia, avverso decreto ingiuntivo, per il pagamento di contributi di malattia (e somme aggiuntive), in favore dell’INPS, ed aveva revocato, per l’effetto, il decreto ingiuntivo opposto – condannava l’Azienda al pagamento dei contributi pretesi dall’Istituto (nella misura risultante dal decreto ingiuntivo) – in base al rilievo che non rileva, in contrario, la circostanza che la stessa Azienda era tenuta, per contratto collettivo, a corrispondere l’intera retribuzione ai propri dipendenti (senza distinzione di qualifica) per i periodi di assenza per malattia, con esonero conseguente dell’Istituto dalla erogazione della indennità di malattia – mentre riduceva la misura delle sanzioni civili (stabilita dal decreto ingiuntivo).

Avverso la sentenza d’appello, l’Azienda sevizi municipalizzati (A.S.M.) S.p.a. di Brescia propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi ed illustrato da memoria.

L’intimato INPS resiste con controricorso e propone, contestualmente, ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello principale, in quanto proposti, separatamente, contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Con il primo motivo del ricorso principale – denunciando (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2697 c.c.; artt. 635, 115, 116, 414, 416 c.p.c.) – l’Azienda sevizi municipalizzati (A.S.M.) S.p.a. di Brescia censura la sentenza impugnata – per averla condannata al pagamento dei contributi di malattia, nonostante la propria obbligazione di corrispondere l’intera retribuzione ai propri dipendenti per i periodi di assenza per malattia (in forza di contratto collettivo nazionale), sebbene l’INPS non avesse assolto l’onere di provare il presupposto di fatto, specificamente e tempestivamente contestato, legittimante la pretesa contributiva dell’Istituto.

Con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) l’Azienda ricorrente censura, nel merito, la sentenza impugnata – sotto profili diversi – per averla condannata al pagamento dei contributi di malattia, nonostante la propria obbligazione di corrispondere l’intera retribuzione ai propri dipendenti per i periodi di assenza per malattia (in forza di contratto collettivo nazionale).

Con il settimo motivo – denunciando (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 91 c.p.c.) – l’Azienda ricorrente chiede, previa cassazione della sentenza impugnata, la condanna dell’INPS alla rifusione delle spese di tutti i gradi del giudizio.

Il ricorso principale è fondato.

L’accoglimento – che ne consegue – assorbe, all’evidenza, il ricorso incidentale dell’INPS, che – supponendo il rigetto del ricorso principale – investe la statuizione concernente la misura delle sanzioni civili per omissione contributiva.

3. Nelle more del giudizio di cassazione, infatti, è sopravvenuta la disposizione (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), che sancisce testualmente:

"La L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate peri periodi anteriori alla data del 1 gennaio 2009".

E la disposizione interpretata (della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, Costituzione dell’Ente "Mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori) sancisce, a sua volta, testualmente:

"L’indennità non è dovuta quando il trattamento economico di malattia è corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro e da altri enti in misura pari o superiore a quella fissata dai contratti collettivi ai sensi del presente articolo. Le prestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore a quella della indennità saranno integrate dall’ente sino a concorrenza".

Ne risulta, quindi, imposto – mediante norma di interpretazione autentica, come tale retroattiva – il significato della disciplina nella soggetta materia (e, segnatamente, della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, cit.) – disatteso dalla sentenza impugnata, ma – condiviso dal ricorso principale.

Infatti i datori di lavoro – che, per contratto collettivo di diritto comune, abbiano corrisposto, come nella specie, il trattamento economico di malattia ai propri dipendenti, con esonero conseguente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) dalla erogazione della indennità di malattia – non sono tenuti a versare all’Istituto la contribuzione – pretesa, appunto, in questo giudizio – relativa alla medesima indennità.

Tanto basta per accogliere il ricorso principale e per dichiarare assorbito – come pure è stato anticipato – il ricorso incidentale, che – supponendo, invece, l’obbligo contributivo, negato dalla norma di interpretazione autentica – investe la statuizione concernente la misura delle sanzioni civili per la relativa omissione contributiva.

Infatti la stessa norma di interpretazione autentica (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) – manifestamente – non risulta in contrasto con la costituzione.

4. Intanto non è decisivo verificare se la norma in esame abbia carattere effettivamente interpretativo – e, come tale, abbia efficacia retroattiva – ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, in quanto – secondo la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale (vedine, per tutte, le sentenze n. 274 del 2006, 376 del 2004, 374 del 2002, 419 del 2000, 229 del 1999; ordinanza n. 263 del 2002) – il principio generale di irretroattività (di cui al l’art. 11 disp. gen.) risulta costituzionalizzato – soltanto con riferimento alla materia penale (siccome stabilito dall’art. 25 Cost.) – mentre – in ogni altra materia – il legislatore ordinario può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica – che, tra più significati plausibilmente espressi dalla disposizione interpretata, ne impongano uno – sia disposizioni innovative con efficacia retroattiva.

In entrambi i casi, tuttavia, la retroattività deve trovare giustificazione adeguata sul piano della ragionevolezza – del cui difetto costituisce soltanto un indizio la eventuale distorsione della funzione della legge di interpretazione autentica, per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva (vedi Corte cost. n. 155 del 1990, 397 del 1994, nonchè n. 376 del 2004, cit.) – nè deve risultare, comunque, in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

5. Pertanto non rileva – ai fini della legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convenuto in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) – la circostanza che ne risulti imposto un significato della disposizione interpretata (della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2), affatto diverso rispetto a quello che ne era stato proposto dalla giurisprudenza.

A tale proposito, infatti, la Corte costituzionale (sentenza n. 47 del 2008) ha, recentemente, ribadito testualmente:

"Ora, la L. n. 138 del 1943, art. 6, dispone, al secondo comma, che l’indennità di malattia non è dovuta dall’ente previdenziale nel caso in cui il datore di lavoro corrisponda al dipendente malato la retribuzione. Questa Corte ha già dichiarato manifestamente inammissibile l’identica questione sollevata su tale norma, poichè questa nulla dispone in merito all’obbligo contributivo del datore di lavoro, con la conseguenza che la sollecitata dichiarazione di illegittimità non risolverebbe il dubbio di costituzionalità sollevato dal rimettente (ordinanza n. 241 del 2006). La medesima considerazione vale nel presente caso.".

6. Ciononostante, tuttavia, la retroattività trova, nella specie, giustificazione adeguata sul piano della ragionevolezza – in quanto la norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) "consegue all’affermazione di un principio solidaristico da parte delle sezioni unite della Corte di cassazione" (così, testualmente, la relazione al disegno di legge di conversione) – nè pare, comunque, in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

A tale proposito, infatti, le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 10232 del 2003) – sia pure a sostegno di conclusione, affatto diversa rispetto a quella (ora) proposta dalla norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) condividono la "opinione comunemente ricevuta che il fondamento della previdenza sociale stia nel principio di solidarietà, onde il concetto di sinallagma, ossia di equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema".

E la Corte costituzionale (sentenza n. 47 del 2008, cit.) – parimenti a sostegno della medesima conclusione, in funzione, peraltro, dello scrutinio di costituzionalità – ritiene, a sua volta, che "l’ampia discrezionalità della quale gode il legislatore nel conformare, anche in attuazione del principio di solidarietà, gli oneri della contribuzione previdenziale, nel caso in esame è stata dunque esercitata in modo non irragionevole".

Coerentemente, la norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convenuto in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) intende esercitare la stessa discrezionalità del legislatore – "nel conformare, anche in attuazione del principio di solidarietà, gli oneri della contribuzione previdenziale" – in modo diverso ma, parimenti, "non irragionevole".

7. E’ lo tesso principio di solidarietà – che risulta perseguito, per quanto si è detto, dalla norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) – ad escluderne, manifestamente, la illegittimità – anche – in riferimento ad altro parametro costituzionale (art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo: sul punto, vedi, per tutte, Cass. n. 677 del 2008 ed, in senso contrario nelle conclusioni, ordinanza n. 22260 del 2008, alle quali si rinvia, anche per il riferimento di precedenti giurisprudenziali ulteriori).

E’ ben vero, infatti, che i principi della certezza del diritto, della parità delle parti ed, in genere, dell’equo processo (di cui all’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo) si oppongono alla "ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, mediante l’emanazione di leggi retroattive in materia civile che influiscano sui processi pendenti" – secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (vedine, per tutte, le sentenze 29 marzo 2006, ******** c. Italia; 21 giugno 2007, Scm Scanner de l’Ouest Lyonnais c. Francia; 10 giugno 2008 ******* c. Italia) – ma sono fatte salve, tuttavia, sia l’ipotesi della sussistenza di motivi imperiosi di interesse generale – quale ratio della norma retroattiva – sia l’ipotesi della ingerenza della norma medesima su processi pendenti, che non siano stati instaurati contro lo stato – ma contro soggetti diversi – o che, comunque, non ne impongano l’esito, in senso favorevole allo stato medesimo.

Ora il principio di solidarietà – perseguito dalla norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.) – costituisce, indubbiamente, uno di quei motivi imperiosi di interesse generale, che giustificano, per quanto si è detto, la retroattività della norma medesima.

Parimenti a sostegno della legittimità costituzionale (in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, della costituzione) della norma di interpretazione autentica in esame (di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convenuto in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.), concorre, tuttavia, la ingerenza della stessa norma su processi pendenti, come nella specie, contro soggetti diversi dallo stato – quale, appunto, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) – e, comunque, l’imposizione – che ne risulta – dell’esito dei processi medesimi, in senso favorevole alla controparte privata.

Tanto basta per accogliere il ricorso principale – perchè fondato – e per dichiarare assorbito – come pure è stato anticipato – il ricorso incidentale.

8. Pertanto – previa riunione – deve essere accolto il ricorso principale e dichiarato assorbito quello incidentale.

Per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata – in relazione al ricorso accolto – e la causa decisa nel merito (art. 384 c.p.c., comma 1, ultima ipotesi) – in quanto non sono necessari all’uopo accertamenti di fatto ulteriori – accogliendo l’opposizione a decreto ingiuntivo – proposta dall’attuale ricorrente principale – e revocando il decreto ingiuntivo opposto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi (art. 92 c.p.c.) – quali, essenzialmente, l’applicazione dello ius superveniens (di cui del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, cit.), nonchè il contrasto tra le decisioni di merito – per compensare tra le parti le spese dell’intero processo (art. 385 c.p.c., comma 2).

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi; Accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; Cassa la sentenza impugnata – in relazione al ricorso accolto – e decide la causa nel merito, accogliendo l’opposizione a decreto ingiuntivo – proposta dall’attuale ricorrente principale – e revocando, per l’effetto, il decreto ingiuntivo opposto; Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Redazione