Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 12/3/2009 n. 6017; Pres. Ianniruberto, G., Est. Vidiri, G.

Redazione 12/03/09
Scarica PDF Stampa

In base alla legge n. 68 del 1999, la precisazione della qualifica del lavoratore disabile nella richiesta di avviamento per collocamento obbligatorio indica le capacità tecnico-professionali necessarie all’inserimento nell’organizzazione aziendale.

 

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 29 marzo 2004 la s.p.a. BaldassiniTognozzi-***************************** proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, emessa tra tale società ed S. A., con la quale era stato dichiarato l’obbligo legale della convenuta di assunzione del ricorrente e la condanna al pagamento a suo favore del risarcimento del danno, pari a tutte le mensilità della retribuzione spettante in base al secondo livello del contratto nazionale di lavoro e sino alla data della sentenza stessa, oltre interessi e rivalutazione. Il primo giudice infatti aveva accolto la domanda dello S., volta a fare accertare l’obbligo di assunzione da parte della società a seguito della richiesta di avviamento dalla stessa formulata.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 6 ottobre 2005, in riforma della impugnata sentenza, rigettava la domanda attrice e respingeva altresì la domanda di restituzione della somma corrisposta al lavoratore in ottemperanza a quanto disposto nella sentenza del primo giudice.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la società, affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso lo S., che spiega anche ricorso incidentale, incentrato su quattro motivi.

La società a sua volta ha depositato controricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Ai sensi dell’art. 335 c.p.c., i ricorsi proposti avverso la stessa sentenza vanno riuniti.

2. Con il primo e secondo motivo del ricorso principale la società deduce vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 416 c.p.c., comma 3. Deduce a tale riguardo la società che, al fine di domandare la restituzione di quanto pagato allo S., aveva nell’atto di gravame dedotto ed allegato il fatto dell’avvenuto pagamento in ottemperanza alla sentenza del primo grado. A fronte di tale condotta la Corte d’appello di Roma aveva errato nell’affermare che essa società dovesse dare prova dell’avvenuto pagamento attraverso documenti, in quanto il fatto allegato nel ricorso in appello non era stato contestato da controparte sicchè doveva ritenersi non abbisognevole di prova.

Con il terzo motivo la società deduce inoltre che la Corte territoriale – nella ipotesi di ritenuta insufficienza di prova pur in mancanza di contestazione di controparte – aveva sempre il poteredovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio acquisito al processo, al fine di superare l’incertezza sul fatto costitutivo del diritto rivendicato. Da ultimo la ricorrente denunzia con il quarto motivo vizio di motivazione con riferimento alla statuizione sulle spese di giudizio non potendosi addurre a sostegno della disposta compensazione il rigetto dell’appello incidentale da essa proposto e, quindi, la soccombenza reciproca, atteso la erroneità sul punto della decisione del giudice d’appello.

3. Con il ricorso incidentale lo S. da parte sua denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 9, assumendo che esso ricorrente risultava avviato con la stessa qualifica richiesta dalla società in sede di prospetto informativo ed era iscritto – come risultava dal suo tesserino – al collocamento disabili sia come “manovale” che “come autista”. La richiesta di avviamento inviata dalla datrice di lavoro alla Provincia aveva poi fatto riferimento ai posti di lavoro e alle mansioni per lavoratori disabili come operai edili, ed in particolare ad operai specializzati con qualifiche di muratore, di autista di mezzi edili, di betonierista. Pertanto del tutto legittimamente la Provincia di Roma, valutata la corrispondenza tra le qualifiche richieste dalla società e quella posseduta dal ricorrente, aveva provveduto ad avviarlo con provvedimento del 17 dicembre 2001. Addebita inoltre alla impugnata sentenza di avere dato una insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’interpretazione del contratto collettivo del settore edile in relazione alla qualifica posseduta, perchè non veniva spiegata in modo esauriente la pretesa mancata corrispondenza tra qualifica richiesta dalla datrice di lavoro e qualifica effettivamente posseduta dal lavoratore avviato, essendosi limitato il giudice d’appello ad osservare che le qualifiche richieste dalla società per il loro grado di specializzazione rientravano nel terzo livello del contratto collettivo mentre la qualifica posseduta dal disabile avviato al lavoro rientrava nel primo livello. In altri termini, le qualifiche richieste dalla società convenuta in primo grado non prevedevano una determinata specializzazione, come sostenuto nella sentenza impugnata, ma risultavano come qualifiche generiche, ricomprese in diversi livelli di inquadramento della contrattazione collettiva, le quali si differenziavano tra loro per il maggior grado di esperienza acquisita dal singolo lavoratore. Per quanto riguardava specificamente la dizione “muratore” era, poi, evidente che la stessa fosse generica e di fatto ricompresa in livelli diversi, anche inferiori e con esperienza e specializzazione minori; in effetti la genericità attribuita dalla contrattazione collettiva di settore alla suddetta qualifica di “muratore” dimostrava che le relative mansioni potevano essere in concreto agevolmente svolte da chi, come esso ricorrente, rivestiva la qualifica di “manovale edile”. Rimarca infine il ricorrente una insufficiente motivazione della decisione della Corte territoriale sulla questione della corrispondenza tra la qualifica di autista di autobus da esso posseduta e quella di autista di mezzi edili, evidenziando sul punto che la Corte d’appello di Roma erroneamente aveva ritenuto di non valutare detta corrispondenza per l’impossibilità di prendere in considerazione elementi ulteriori rispetto a quelli risultanti dall’atto di avviamento.

4. Il ricorso incidentale, da esaminarsi per primo per evidenti ragioni logiche, va rigettato perchè privo di fondamento.

4.1. L’esigenza di seguire un ordinato iter argomentativo impone alcune preliminari considerazione sulla L. 2 marzo 1999, n. 68, che – sostituendo la precedente disciplina dettata dalla L. 2 aprile 1968, n. 482 e dalle successive modifiche – ha regolato su basi nuove la materia del “diritto al lavoro dei disabili”.

4.2. Come è stato puntualmente osservato da più parti, il legislatore ha con questa legge inteso trovare un nuovo e più giusto equilibrio tra le aspirazione dell’invalido ad un posto di lavoro – che sia confacente alla proprie professionalità – e l’interesse della impresa ad un inserimento realmente proficuo dei lavoratori nella compagine aziendale.

Si è così introdotto un sistema che non vede nel disabile un soggetto avente diritto ad un posto in virtù di un intervento meramente assistenziale dello Stato, che sia volto ad addossare alle imprese la responsabilità finale della doverosa tutela di alcuni cittadini, ma che in una ottica diversa individui nel disabile una risorsa per la stessa impresa assicurandogli nello stesso tempo una giusta collocazione in azienda funzionalizzata, nel pieno rispetto della sua personalità, ad attestarne le sue capacità professionali e la effettiva utilità delle sue prestazioni lavorative. In tale assetto normativo – originato dalla necessità di coordinare due valori di rilevanza costituzionale (quello volto alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi del diritto all’eguaglianza tra i cittadini ed al perseguimento di un posto confacente alle capacità professionali di ogni lavoratore, da un lato; e quello rivendicato dalle imprese all’esercizio di una attività imprenditoriale improntata ad una libera iniziativa, dall’altro) – trova piena spiegazione la definizione data nella L. n. 68 del 1999, art. 2, al c.d. collocamento mirato, consistente in “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”.

4.3. E dei valori portanti della L. n. 68 del 1999, sono espressione anche le disposizioni dei primi due commi dell’art. 9 della suddette legge che, in tema di richieste di avviamento, statuiscono che: “i datori di lavoro devono presentare agli uffici competenti la richiesta di assunzione entro sessanta giorni dal momento in cui sono obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili” (comma 1), e che “in caso di impossibilità di avviare i lavoratori con la qualifica richiesta, o con altra concordata con il datore di lavoro, gli uffici competenti avviano lavoratori di qualifiche simili, secondo l’ordine di graduatoria e previo addestramento o tirocinio da svolgere anche attraverso le modalità previste dall’art. 12” (comma 2).

4.4. Tale disciplina segna un radicale cambiamento, per quanto attiene alla richiesta di avviamento, rispetto a quella precedente, che nulla prevedeva circa il suo contenuto sotto il profilo della categoria o della qualifica di cui il lavoratore da assumere doveva essere provvisto, sicchè nella realtà fattuale – legittimata anche dagli approdi giurisprudenziali e dottrinali in materia – non risultava affatto vincolante per gli uffici di collocamento una eventuale e più dettagliata indicazione da parte del datore di lavoro di qualifiche e mansioni, che per essere correlate ad una effettiva disponibilità dell’impresa fossero volte a soddisfarne concrete esigenze organizzative.

Ne conseguiva quindi che il datore di lavoro non poteva esimersi dallo assumere un lavoratore che non apparteneva alla categoria da esso indicata, anche se lo stesso era sprovvisto della qualifica utile e necessaria a ricoprire il posto di lavoro disponibile nell’assetto organizzativo che l’impresa stessa si era data. Dal che potevano scaturire effetti negativi oltre che per il datore di lavoro anche per lo stesso assumendo in ragione del concreto pericolo che l’obbligo di assunzione – del tutto sganciato da una specificazione nella richiesta dell’assumendo della qualifica e delle mansioni che dovevano essere dallo stesso svolte – poteva di fatto, in alcuni casi, tradursi in un ingiusto vulnus delle capacità professionali del disabile per costringerlo a ruoli non adeguati, mentre in altri casi poteva far sorgere situazioni di insicurezza per la sua stessa incolumità e per quella degli altri lavoratori oltre che per la integrità degli impianti.

4.5. Con riferimento a tale situazione, che aveva alimentato anche un notevole contenzioso – ricollegabile sia alla oggettiva difficoltà delle imprese ad assumere lavoratori sprovvisti di una qualifica e di una professionalità per esse di qualche utilità sia alla frequente insoddisfazione dei disabili per una collocazione mortificante anche perchè non di rado avvertita come un peso da sopportare per non essere di alcuna effettiva utilità – emerge in maniera chiara la rilevanza della nuova disciplina nella parte in cui attribuisce al datore di lavoro di lavoro la facoltà di precisare la qualifica professionale che intende far coprire al lavoratore che verrà avviato al lavoro.

5. Ma il thema decidendum della presente controversia impone anche ulteriori considerazioni in merito alla portata da assegnarsi al termine “qualifica” di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 9.

5.1. Ed infatti le specifiche finalità sottese al disposto di quest’ultima norma e la lettera della stessa L. n. 68, art. 2 – nella parte in cui fa riferimento a strumenti che permettano di valutare adeguatamente le persone con disabilità “nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto”, nonchè ad “analisi di posti di lavoro …. e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi di lavoro” – portano ad escludere una opzione ermeneutica volta ad assegnare al termine “qualifica”, di cui al comma secondo del summenzionato art. 9, una portata astratta ed indefinita, rendendo di contro doverosa una interpretazione che – in conformità delle linee guida della vigente normativa sul lavoro dei disabili – assegni al suddetto termine un significato più concreto, da intendersi cioè come specificazione delle capacità tecnico-professionali – di cui deve essere provvisto l’assumendo – che siano richieste per la sua collocazione lavorativa. Soluzione questa che – oltre ad accreditarsi sulla base della considerazione che la domanda di avviamento non possa, in ragione delle esigenze da soddisfare, che risultare attualizzata dalla effettiva e specifica situazione aziendale nell’ambito della quale deve collocarsi la posizione lavorativa del disabile – trova sul piano normativo riscontro anche nell’art. 10 della legge in esame.

5.2. Tale norma, infatti – nel regolare, come detta la sua rubrica, il “rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti”, e nello statuire, al comma 1, che ai lavoratori assunti a norma della presente legge si applica “il trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi”, e nel rimarcare ancora, al comma 2, che “Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni” – conforta l’assunto in precedenza esplicitato secondo cui in un sistema di c.d. avviamento mirato, che sia funzionalizzato a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi del lavoratore disabile e del datore di lavoro, deve assegnarsi il dovuto rilievo alle specifiche, variegate e speculari caratteristiche dell’area produttiva in cui si opera, ed in relazione alle quali va parametrato il trattamento oltre che economico, anche normativo, del lavoratore disabile.

5.3. Nè di certo può essere trascurato il rilievo che un ancoraggio della richiesta e dell’avviamento del disabile alle concrete mansioni che egli andrà a svolgere nell’azienda sulla base della sua capacità tecnico-professionale finisce per accrescere i margini di garanzia per la sua intregità psico-fisica, agevolando l’applicazione dell’articolato apparato normativo – incentrato in primo luogo sui D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242, attuativi della direttiva della Comunità europea 12 giugno 1989 n. 391 e di altre direttive ad essa collegate – volto alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Motivo questo che non è certo estraneo alla disposizione della L. n. 68 del 1999, art. 9, comma 2, nella parte in cui condiziona l’obbligo del datore di lavoro di assumere il lavoratore, che sia in possesso di una qualifica “simile” a quella di cui alla richiesta, a condizione che sia rispettato l’ordine di graduatoria e sia operato il necessario “addestramento o tirocinio da svolgere anche attraverso le modalità previste dall’art. 12”.

6. Tutto quanto sinora esposto fornisce a questa Corte le necessarie coordinate per valutare la correttezza su piano logico-giuridico delle decisione impugnata.

6.1. Nell’accogliere il gravame proposto dalla società BaldassiniTognozzi e nel ritenere infondata la domanda dello S., la Corte d’appello di Roma ha osservato – per la parte che ancora interessa in questa sede – che la società nella richiesta di avviamento aveva indicato, quali posti disponibili per i lavoratori disabili, di cui alla L. 12 marzo 1999, n. 68, quelli relativi a mansioni di operai specializzati con la qualifica di gruista, carpentiere, muratore, escavatorista, autista mezzi edili, ferraiolo, betonierista. Ha rilevato ancora che la richiesta datoriale era esplicitamente riferita agli operai specializzati, e che la relativa declaratoria del contratto collettivo nazionale degli edili, contemplata nel terzo livello, esemplifica quanto al “muratore” che per tale deve intendersi l’operaio che esegue i lavori dettagliatamente descritti nelle pattuizioni collettive (quali tra l’altro costruzione di pilastri, colonne, lesene, arcate, intonacature speciali ed altre simili operazioni). Una tale qualificazione professionale non era riferibile allo S. che, nella autorizzazione della Provincia di (OMISSIS) alla assunzione, era stato definito manovale edile e nel tesserino di iscrizione al collocamento come manovale comune;

qualifica quest’ultima contemplata nel primo livello del suddetto contratto collettivo, inferiore di ben due livelli all’operaio specializzato, che era stato oggetto della richiesta della società.

6.2. Ha poi precisato la Corte territoriale sotto altro versante che neanche la qualifica di autista di autobus rivendicata dall’avviato al lavoro corrispondeva a quella di operaio specializzato del settore edile richiesta dalla società, atteso che nel (OMISSIS) livello del relativo contratto collettivo erano inclusi gli autisti di mezzi edili quali i conduttori di macchine semoventi tipo bulldozer, scraper, finitrici, motorgreder, ruspe e simili, nonchè i betonieristi per i quali era prevista, oltre che la conduzione del mezzo, anche l’esecuzione di lavori di ordinaria nonchè di straordinaria amministrazione, ivi compresa la riparazione con la sostituzione di mezzi di ricambi; operazioni queste estranee alla capacità richiesta per gli autisti di autobus, come lo S..

6.3. Ha concluso quindi il giudice d’appello che la domanda dello S. non poteva trovare accoglimento per non essere stato rispettata la normativa prescritta per l’avviamento al lavoro, che vincola il datore di lavoro all’assunzione solo con riferimento ad una richiesta che trovi riscontro nell’atto autorizzativo all’avviamento.

7. Corollario di quanto ora detto è il rigetto del ricorso incidentale dello S., avendo la sentenza impugnata interpretato il disposto della L n. 68 del 1999, art. 9, in termini corretti in una controversia che, per la rilevanza delle questioni trattate, induce questa Corte, in ragione del disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 1, e dei compiti di nomofilachia devoluti al giudice di legittimità, ad enunciare il seguente principio di diritto: “La ratio della L. 2 marzo 1999, n. 68, art. 9 – che attribuisce al datore di lavoro la facoltà di indicare nella richiesta di avviamento la qualifica del lavoratore disabile da assumere a copertura dei posti riservati in un sistema di c.d. avviamento mirato – va ravvisata nel consentire, mediante il riferimento ad una specifica qualifica, la indicazione delle prestazioni richieste dal datore di lavoro sotto il profilo qualitativo delle capacità tecnicoprofessionali di cui il lavoratore avviato deve essere provvisto, al fine di una sua collocazione nell’organizzazione aziendale, che sia utile all’impresa e che nello stesso tempo, per consentire l’espletamento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto, non si traduca in una lesione della sua professionalità e dignità. Ne consegue che il datore di lavoro può legittimamente rifiutare l’assunzione non soltanto di un lavoratore con qualifica diversa, ma anche di un lavoratore con qualifica “simile” a quella richiesta, in mancanza di un suo previo addestramento o tirocinio da svolgere secondo le modalità previste dalla stessa L. n. 68 del 1999, art. 12″.

8. Con riferimento al ricorso principale della società vanno invece accolti il primo ed il secondo motivo, con i quali la società stessa lamenta che il giudice d’appello non ha ritenuto fondata la sua domanda di restituzione della somma allo S. versata a seguito di quanto disposto dalla sentenza di primo grado. Ed invero, la motivazione dei giudici d’appello risulta sul punto,da un lato insufficiente, e, dall’altro, errata dal momento che detti giudici hanno rigettato la richiesta formulata dalla società con la sola affermazione che essa non “ha fornito alcuna prova documentale di tale pagamento”, mostrando in tal modo anche di non ritenere possibile che l’effettuazione di tale pagamento potesse essere attestato in altro modo, potendosi, ad esempio, evincersi anche a seguito della condotta processuale delle parti od in applicazione del principio di non contestazione dei fatti allegati in giudizio.

9. L’accoglimento dei suddetti motivi del ricorso principale portano all’assorbimento degli altri.

10. Per concludere, va accolto il primo e secondo motivo del ricorso principale e vanno dichiarati assorbiti gli altri, mentre va rigettato il ricorso incidentale.

10.1. In relazione ai motivi accolti del ricorso principale la sentenza impugnata va cassata ed, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, essendo necessari ulteriori accertamenti la causa va rimessa ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

10.3. Al giudice di rinvio va rimessa la statuizione anche sulle spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Redazione