Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 12/1/2011 n. 548

Redazione 12/01/11
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Il COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente alla CUB di Cremona e provincia, chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Cremona di dichiarare antisindacale il comportamento di Poste italiane spa consistente nell’applicazione di sanzioni disciplinari ad alcuni portalettere che, in adesione ad una astensione dal lavoro proclamata contro l’accordo collettivo 29 luglio 2004, si erano rifiutati di eseguire le prestazioni accessorie (ogni prestazione accessoria comunque denominata) a partire dal 25 ottobre 2005 per 27 giorni; astensione proseguita per periodi successivi per 21 mesi.

2. Con l’accordo l’azienda e le organizzazioni sindacali firmatarie del ceni, avevano stabilito che l’agente di recapito (portalettere), titolare di una "zona" ricompresa all’interno di un’"area territoriale" (costituita dall’accorpamento di un numero di zone da 4 a 7, di massima 6), fa parte di un "team", costituito da tutti gli agenti assegnati alle zone che compongono l’area territoriale. I portalettere che fanno parte di questo "team" sono tenuti a sostituire gli agenti titolari di altre zone dell’area territoriale in caso di loro assenza dal servizio, entro un limite individuale mensile di 10 ore e con il limite giornaliero di 2 ore. Per tali sostituzioni veniva previsto "un importo complessivo pari a 35 Euro, da ripartire tra coloro che partecipano alla sostituzione dell’agente assente". 3. Il giudice del lavoro con decreto emesso ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav. respinse il ricorso. Il Cobas propose opposizione, che venne respinta dal Tribunale. Propose quindi appello, anche questo respinto dalla Corte d’Appello di Brescia con sentenza pubblicata il 7 aprile 2007. 4. Il Cobas ricorre per cassazione, articolando tre motivi di ricorso.

5. Poste italiane spa si difende con controricorso e propone ricorso incidentale basato su di un unico motivo. Sono state depositate memorie da entrambe le parti.

6. Con il primo motivo del ricorso principale il Cobas denunzia la violazione dell’art. 40 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 28 e di una serie di articoli della legge sullo sciopero nei servizi essenziali (L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14), nonchè vizio di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

7. Il secondo motivo attiene ad un vizio di "insufficiente o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio"; fatto così indicato: "lo sciopero oggetto di causa, così come storicamente proclamato ed attuato". 8. Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 seg. c.c., in relazione all’accordo collettivo 29 giugno 2004 in materia di regolamentazione delle "aree territoriali"; art. 2697 c.c.; art. 40 Cost.. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

9. Con il ricorso incidentale Poste italiane spa denunzia che la sentenza della Corte di Brescia nel rigettare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata da Poste contro il Cobas ricorrente, avrebbe violato o falsamente applicato la L. n. 300 del 1970, art. 28 e dell’art. 100 c.p.c..

10. Il primo motivo da esaminare è proprio quest’ultimo proposto con il ricorso incidentale, perchè pone una questione che, se decisa nel senso indicato da Poste, risolverebbe in radice la controversia.

11. Il quesito di diritto, formulato a conclusione dell’esposizione, è il seguente: "Se un sindacato che non ha operato (o quanto meno, non ha dimostrato di aver operato) su buona parte del territorio nazionale possa agire in giudizio ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav.").

12. Il motivo non è fondato.

13. L’art. 28 riconosce legittimazione ad agire agli "organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse". Deve trattarsi pertanto di organismo locale di una "associazione sindacale nazionale". 14. La sentenza della Corte di Brescia afferma correttamente il principio di diritto secondo il quale un sindacato ha legittimazione ad agire ai fini dell’art. 28 a condizione che possa essere ritenuto "nazionale". Nell’applicare questo principio di diritto la Corte ha valutato il quadro probatorio, costituito dalla documentazione prodotta dal sindacato. La Corte a tal fine ha considerato la dimensione nazionale del sindacato sul piano della "struttura, organizzazione ed azione". La valutazione si basa pertanto sulla applicazione di un criterio che tiene conto non solo dell’articolazione strutturale, ma anche dell’attività del sindacato. Riscontrata una diffusione nazionale tanto sul piano della organizzazione, quanto sul piano dinamico dell’attività, la Corte ha ritenuto integrato il requisito del carattere nazionale dell’associazione. Il principio di diritto affermato dalla Corte è conforme alla norma; la valutazione in concreto concerne il merito e, in assenza di vizi della motivazione, non può essere oggetto di nuova formulazione in sede di giudizio di legittimità. 15. Più complesso è l’esame dei motivi del ricorso principale.

16. Le questioni esaminabili sono due, in quanto le altre censure sono inammissibili. In particolare è proposto in modo inammissibile il secondo motivo concernente un vizio di motivazione in cui non si individua un fatto controverso e decisivo per il giudizio, come invece richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5. Inammissibile è inoltre parte del terzo motivo perchè non vi è quesito in relazione alla pretesa violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova; non vi è quesito in relazione alla asserita violazione degli artt. 1362 e seg. c.c., censura che peraltro è aspecifica in quanto tra i molteplici criteri fissati da tali norme non si precisa quali sarebbero stati violati e in che modo. Infine, sempre con riferimento al terzo quesito, il vizio di motivazione richiamato in rubrica non viene illustrato nella esposizione. Non si specifica qual è il fatto su cui la motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria, perchè è decisivo e controverso, in cosa consistono l’insufficienza e la contraddittorietà. 17. Sfrondato dalle parti inammissibili, il ricorso pone due questioni, peraltro di grande rilievo.

18. La prima questione, in ordine logico sistematico, è quella posta con il terzo motivo, che il ricorrente conclude con il seguente quesito di diritto: "laddove un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero". 19. La questione è di fondo. Se il comportamento dei lavoratori che hanno aderito alla astensione proclamata dal Cobas ricorrente è una forma di sciopero, la sanzione disciplinare è illegittima e la sua applicazione costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 28, in quanto lo sciopero è un diritto costituzionalmente sancito e il suo esercizio sospende il diritto al corrispettivo economico, ma rende immune il comportamento da sanzioni. Se, al contrario, non è sciopero, il rifiuto della prestazione costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali e l’applicazione della sanzione disciplinare è legittima.

20. Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali. Peraltro, la stessa dottrina che chiede all’interprete questa attenzione al dato storico-sociologico ed una particolare duttilità ermeneutica, al tempo stesso precisa che non può essere definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti designino come tale.

21. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo: una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita "minima unità tecnico temporale", al di sotto della quale l’attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo.

22. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, riportò entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario (Cass., 28 giugno 1976, n. 2480).

L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore.

23. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E’ il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (Cass., 28 marzo 1986, n. 2214).

24. Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Brescia ha accertato e motivato il perchè l’astensione "non ha avuto per oggetto il lavoro straordinario, nè prestazioni individuabili e suscettibili di essere rifiutate in via autonoma rispetto alla prestazione ordinaria normalmente retribuita". 25. Il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo, pertanto, non è astensione dal lavoro straordinario, nè astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del c.d. sciopero della mansioni, perchè, all’interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l’omissione concerne uno specifico di tali obblighi.

26. L’astensione pertanto non può essere qualificata sciopero e resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di conseguenza, la sanzione disciplinare non è illegittima e il comportamento datoriale non è antisindacale.

27. Questa conclusione non solo è in linea con le coordinate generali prima tracciate, ma anche con la specifica giurisprudenza di legittimità sull’argomento: Cass. 25 novembre 2003, n. 17995, occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di sostituzioni entro l’ambito della c.d. areola (antecedente dell’area territoriale nell’organizzazione delle Poste), ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, è "rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore" e "non costituisce esercizio del diritto di sciopero", con la conseguenza che deve escludersi l’antisindacalità della scelta datoriale di applicare una sanzione disciplinare.

28. La seconda questione da affrontare concerne il rapporto con le determinazioni della Commissione di garanzia. Il quesito formulato dal ricorrente è il seguente: "in tema di sciopero nei servizi essenziali ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste italiane, attinente alla libertà di comunicazione, assoggettato alla normativa di regolamentazione, per sciopero deve intendersi ogni forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti, ciò valendo anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva è di esclusiva competenza della Commissione di garanzia che eventualmente prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che, nel caso di specie, l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste italiane costituisce comportamento antisindacale poichè teso a impedire o limitare l’esercizio del diritto di sciopero". 29. Si è già detto del perchè l’astensione in esame non costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi che la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non è condivisibile, perchè non può definirsi sciopero ogni astensione sindacale che comporti una riduzione del servizio. Nè, invero, lo sciopero si caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti.

Questo può essere un effetto collaterale, ma non è elemento costitutivo dello sciopero; molti scioperi non danneggiano gli utenti.

30. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente invero richiama l’espressione usata dalla Commissione di garanzia nel provvedimento del 7 marzo 2002 allegato al ricorso, che peraltro non si occupa delle astensioni contro l’accordo sulle aree territoriali, che del resto è del 2004, bensì in generale gli scioperi dei dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia, 31. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che "la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti". Ed aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro straordinario.

32. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l’utenza, siano o non siano qualificabili come sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l’esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni prima esaminate. L’intervento della Commissione di garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, nè, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro.

33. Anche il ricorso principale, al pari del ricorso incidentale, deve quindi essere rigettato. Tale conclusione impone la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese.

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