Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 12/1/2011 n. 547

Redazione 12/01/11
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Il rifiuto di eseguire una delle prestazioni lavorative dovute può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari in quanto non rientrante nell’esercizio del diritto di sciopero.

 

(Omissis)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. IL COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente alla CUB di Genova e provincia, chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Genova di dichiarare antisindacale il comportamento di Poste italiane spa consistente nell’applicazione di sanzioni disciplinari a due portalettere che, in adesione ad una astensione dal lavoro proclamata contro l’accordo collettivo 29 luglio 2004, si erano rifiutati di eseguire le prestazioni aggiuntive previste da tale accordo.

2. Con l’accordo azienda e le organizzazioni sindacali firmatarie del ccnl, avevano stabilito che l’agente di recapito (portalettere), titolare di una "zona" ricompresa all’interno di un’"area territoriale" (costituita dall’accorpamento di un numero di zone da 4 a 7, di massima 6), fa parte di un "team", costituito da tutti gli agenti assegnati alle zone che compongono l’area territoriale. I portalettere che fanno parte di questo "team" sono tenuti a sostituire gli altri agenti titolari di altre zone dell’area territoriale in caso di loro assenza dal servizio, entro un limite individuale mensile di 10 ore e con il limite giornaliero di 2 ore.

Per tali sostituzioni veniva previsto "un importo complessivo pari a 35 Euro, da ripartire tra coloro che partecipano alla sostituzione dell’agente assente". 3. Il giudice del lavoro, con decreto emesso ai sensi dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, respinse il ricorso. Il Cobas propose opposizione, che venne respinta dal Tribunale. Propose quindi appello, anche questo respinto dalla Corte d’Appello di Genova con sentenza pubblicata il 12 dicembre 2006. 4. Il Cobas ricorre per cassazione, articolando tre motivi di ricorso.

5. Poste italiane spa si difende con controricorso.

6. Con il primo motivo il Cobas denunzia la violazione dell’art. 40 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 28 e della L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14 nonchè vizio di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

7. Con il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 1362 ss. cod. civ., in relazione all’accordo collettivo 29 giugno 2004. Vizio di motivazione.

8. Con il terzo motivo il Cobas denunzia violazione dell’art. 2697 cod. civ.. Vizio di motivazione.

9. Per quest’ultimo motivo non è stato formulato il quesito di diritto, nè è stato indicato il fatto controverso e decisivo oggetto del vizio di motivazione. Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile alla controversia in quanto la sentenza è stata pubblicata il 12 dicembre 2006, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

10. Gli altri due motivi devono essere trattati congiuntamente, perchè si sovrappongono in parte e comunque pongono questioni strettamente connesse.

11. La prima questione, in ordine logico sistematico, è quella di stabilire se l’astensione dal lavoro oggetto di questa controversia rientri o meno nel concetto di sciopero. Se il comportamento dei lavoratori che hanno aderito all’astensione proclamata dal Cobas ricorrente è una forma di sciopero, la sanzione disciplinare è illegittima e la sua applicazione costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 28 in quanto lo sciopero è un diritto costituzionalmente sancito e il suo esercizio sospende il diritto al corrispettivo economico, ma rende immune il comportamento da sanzioni. Se, al contrario, non è sciopero, il rifiuto della prestazione costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali e l’applicazione della sanzione disciplinare è legittima.

12. Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali. Peraltro, la stessa dottrina che chiede all’interprete questa attenzione al dato storico-sociologico ed una particolare duttilità ermeneutica, al tempo stesso precisa che non può essere definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti designino come tale.

13. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo: una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita "minima unità tecnico temporale", al di sotto della quale l’attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo.

14. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, riportò entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario (Cass., 28 giugno 1976, n. 2480).

L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore.

15. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E’ il caso del cd. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (Cass., 28 marzo 1986, n. 2214).

16. Il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo non è astensione dal lavoro straordinario, nè astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del cd. sciopero della mansioni, perchè, all’interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l’omissione concerne uno specifico di tali obblighi.

17. L’astensione pertanto non può essere qualificata sciopero e resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di conseguenza, la sanzione disciplinare non è illegittima e il comportamento datoriale non è antisindacale.

18. Questa conclusione non solo è in linea con le coordinate generali prima tracciate, ma anche con la specifica giurisprudenza di legittimità sull’argomento: Cass. 25 novembre 2003, n. 17995, occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di sostituzioni entro l’ambito della cd. areola (antecedente dell’area territoriale nell’organizzazione delle Poste), ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, è "rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore" e "non costituisce esercizio del diritto di sciopero", con la conseguenza che deve escludersi l’antisindacalità della scelta datoriale di applicare una sanzione disciplinare.

19. La seconda questione da affrontare concerne il rapporto con le determinazioni della Commissione di garanzia. Il quesito formulato dal ricorrente è il seguente: "in tema di sciopero nei servizi essenziali ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste italiane, attinente alla libertà di comunicazione, assoggettato alla normativa di regolamentazione, per sciopero deve intendersi ogni forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti, ciò valendo anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva è di esclusiva competenza della Commissione di garanzia che eventualmente prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che, nel caso di specie, l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste italiane costituisce comportamento antisindacale poichè teso a impedire o limitare l’esercizio del diritto di sciopero". 20. Si è già detto del perchè l’astensione in esame non costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi che la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non è condivisibile, perchè non può definirsi sciopero ogni astensione sindacale che comporti una riduzione del servizio. Nè, invero, lo sciopero si caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti.

Questo può essere un effetto collaterale, ma non è elemento costitutivo dello sciopero; molti scioperi non danneggiano gli utenti.

21. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente invero richiama l’espressione usata dalla Commissione di garanzia nel provvedimento del 7 marzo 2002 allegato al ricorso, che peraltro non si occupa delle astensioni contro l’accordo sulle aree territoriali, che del resto è del 2004, bensì in generale gli scioperi dei dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia.

22. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che "la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti". Ed aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro straordinario.

23. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l’utenza, siano o non siano qualificabili come sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l’esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni prima esaminate. L’intervento della Commissione di garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, nè, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro.

24. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’associazione ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in 45,00 Euro, nonchè 4.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

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