Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 10/5/2010 n. 11250

Redazione 10/05/10
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Svolgimento del processo. – Con ricorso al Tribunale di Siracusa, depositato il 30.9.1999, *********** , premesso di aver lavorato, in qualità di maitre, alle dipendenze della stessa società denominata prima "*********" e poi "************", con sede in Siracusa, esponeva di essere stato licenziato in data 10.12.1998 per giustificato motivo soggettivo. In particolare, precisava che, in data 27.11.1998, aveva ricevuto contestazione disciplinare con la quale gli era stato addebitato che da oltre un mese contravveniva "all’obbligo di prestazione dell’attività lavorativa non presentandosi sul luogo di lavoro per assumere servizio"; che con lettera di giustificazioni aveva respinto l’addebito siccome infondato rilevando che, al contrario, egli era stato "sospeso verbalmente" dalla società sin dal 19.10.1998; che con telegramma del 22.10.1998 aveva richiesto la immediata riassunzione, cosi manifestando la sua disponibilità lavorativa; che con successivo telegramma del 25.1.1999 aveva impugnato il licenziamento. Deduceva che tale licenziamento era da ritenersi illegittimo o nullo per violazione dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori, in primo luogo perché il fatto contestato non era specificato, ed in secondo luogo per la mancata affissione del codice disciplinare. Assumeva inoltre che non era vero che egli si fosse assentato per oltre un mese, al contrario, su iniziativa unilaterale della società, era stato "tenuto in riposo" dal 21 al 27 luglio 1998, e successivamente in ferie dal 27 luglio al 16 agosto 1998; dal 6 agosto al 26 settembre era stato in malattia, come da certificati medici allegati e, alla scadenza, era stato nuovamente collocato in ferie, già sospese per la malattia. Rilevava che qualche giorno prima del temine del periodo feriale aveva contattato telefonicamente la direzione dell’Hotel comunicando la propria intenzione di riprendere servizio, ma sia in quella occasione, sia nel corso di un successivo incontro, la risposta era stata del tutto evasiva ed egli aveva, pertanto, provveduto a spedire alla società un telegramma con il quale richiedeva la immediata riassunzione al lavoro. Tale richiesta era peraltro priva di riscontro ed anzi la società datoriale aveva provveduto in data 10.12.1998 ad intimare il licenziamento, che per le ragioni sopra esposte, doveva considerarsi del tutto ingiustificato.
Chiedeva, pertanto, che il Giudice adito volesse dichiarare la nullità, illegittimità o inefficacia del licenziamento in questione, ordinando la sua immediata reintegrazione nel posto di lavoro, e volesse condannare la detta società al risarcimento del danno in misura pari a tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra.
Istauratosi il contraddittorio, la società convenuta contestava, con articolate argomentazioni, le deduzioni del ricorrente.
Con sentenza in data 18.12.2001 il Tribunale, giudice del lavoro, di Siracusa rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello il P. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo raccoglimento delle pretese avanzate con il ricorso introduttivo.
Ripristinatosi il contraddittorio, l’H. G. s.r.l. (già ************) contestava quanto dedotto dall’appellante con il proposto gravame, di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 13-19 ottobre 2005, l’adita Corte di Appello di Catania rigettava il gravame.
A sostegno della decisione osservava che la mancata affissione del codice disciplinare era irrilevante tenuto conto del tipo di infrazione disciplinare, non corrispondente ad un’esigenza peculiare dell’azienda, riguardando i doveri previsti dalla legge ed, in particolare, a quelli imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato; inoltre, la contestazione non era generica, come invece dedotta dal ricorrente.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre *********** con due motivi.
Resiste la H. G. s.r.l. con controricorso.

Motivi della decisione. – Con il primo motivo di ricorso, il P. , denunciando errata interpretazione applicazione dell’art. 7 comma 1 L. 300/70, lamenta che il licenziamento operato dalla H. G. s.r.l. in data 10.12.1998 sarebbe nullo per la mancata preventiva affissione del codice disciplinare presso l’albergo ove egli lavorava.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando "falsa applicazione dell’art. 1 L. 604/66 in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per errata applicazione dell’art. 2697 c.c.", lamenta che il Giudice a quo abbia disatteso la proposta domanda, pur non avendo il datore di lavoro dato la prova delle ragioni poste a base del licenziamento.
Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni è privo di fondamento.
Va anzitutto puntualizzato che – secondo il consolidato orientamento di questa Corte – l’affissione del codice disciplinare costituisce requisito essenziale per la validità del licenziamento (o comunque della applicazione della sanzione disciplinare) soltanto quando questo costituisca la sanzione per l’infrazione ad una disposizione corrispondente ad una esigenza peculiare dell’azienda, non quando l’infrazione riguardi doveri previsti dalla legge o comunque appartenenti al patrimonio deontologico di qualsiasi persona onesta, ovvero dei doveri imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato. Ne discende che da tale forma di pubblicità si può prescindere allorché il lavoratore si sia reso autore di comportamenti rispetto ai quali la fonte del recesso datoriale è direttamente reperibile nella legge, ovvero allorché l’illiceità della violazione, per l’evidente contrasto con la coscienza comune e con le regole fondamentali del vivere civile, possa essere conosciuta ed apprezzata dal lavoratore senza bisogno di previo avviso (ex plurimis, Cass. 9.3.1995, n. 2762; Cass. 30.8.2000, n. 11430; Cass. 10.11.2000, n. 14615; Cass. Sez. Lav. 16.5.2001; Cass. 14,5.2002, n. 6974).
A tale orientamento, la Corte territoriale si è espressamente voluto adeguare, osservando come nella specie si fosse in presenza di una violazione di doveri imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato, protrattasi per un considerevole lasso di tempo, il cui disvalore e la cui rilevanza non potevano non essere conosciuti ed apprezzati dal lavoratore senza bisogno di previo avviso mediante l’affissione del codice disciplinare.
Ha aggiunto, dando riscontro agli ulteriori rilievi del P. , che non valeva in contrario osservare che, nel caso di specie, si sarebbe trattato di violazione della normativa posta esplicitamente dal CCNL di settore, prevedendo lo stesso la sanzione del licenziamento per l’assenza del lavoratore superiore a cinque giorni; ciò in quanto tale norma poneva un limite minimo, al di sotto del quale il datore di lavoro non poteva procedere al licenziamento, senza, peraltro, considerare la decisiva circostanza che la contestazione datoriale non faceva riferimento alla suddetta norma della contrattazione collettiva ma argomentando dal fatto che l’assenza del P. si era protratta per considerevole lasso di tempo, poneva in evidenza che il detto dipendente aveva contravvenuto per oltre un mese all’obbligo di prestazione lavorativa con conseguente violazione dell’art. 2094 c.c. e grave inadempimento degli obblighi contrattuali.
Quanto poi al preteso mancato assolvimento, da parte della società, dell’onere probatorio, sulla stessa incombente, circa la sussistenza delle ragioni poste a base del licenziamento, il Giudice a quo ha ampiamente motivato, osservando come il primo Giudice avesse correttamente ritenuto giustificato il provvedimento espulsivo, sulla base della considerazione che il P. non si era attivato, una volta terminato il periodo di ferie, per riprendere la sua attività, e disconoscendo ogni rilevanza al telegramma del 22.10.1998 in quanto inviato a società diversa da quella datoriale.
Né, in proposito, valeva il rilievo del P. di essere stato sempre alle dipendenze della S. e di non aver mai saputo del proprio passaggio dalla S. alla S. H., deponendo, in senso contrario: a) le buste paga prodotte, a decorrere dal febbraio 1998, recanti tutte l’indicazione della "************" quale datrice di lavoro, b) i bonifici per l’accredito di detti stipendi risultanti richiesti dalla "************", c) la corrispondenza intrattenuta dalla società datoriale con il ricorrente risultante vergata su carta intestata alla "************", viale (…) di Siracusa. D’altronde dalla visura presso la C.C.I.A.A. prodotta dall’appellata emergeva – precisa ancora la Corte di merito – la diversità della società predetta rispetto alla "*********", di talché non poteva dubitarsi della separata e distinta soggettività giuridica delle due società in questione.
Da ciò conseguiva che il telegramma in data 22.10.1998 inviato dal P. alla "*********". alla via (…) di Siracusa, con cui il predetto ribadiva la sua disponibilità lavorativa e chiedeva la immediata riammissione al lavoro, nessuna efficacia poteva spiegare nei confronti della S. H. s.r.l. trattandosi di comunicazione inoltrata a società diversa dalla società datoriale.
Coerente appare, dunque, la conclusione secondo cui, non risultando dalla documentazione in atti che il P. avesse diffidato o messo in mora il datore di lavoro sollecitando la sua riammissione in servizio al termine delle ferie, stante la gravità del comportamento in questione – nel quale era da ravvisarsi una grave inadempienza della obbligazione fondamentale posta a carico del lavoratore, consistente nella mancata prestazione dell’attività lavorativa -, doveva ritenersi senz’altro giustificata, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, l’adozione del provvedimento solutorio da parte della società datoriale.
Non ravvisandosi nell’iter argomentativo adottato dalla Corte di Catania le denunciate violazioni, il ricorso deve essere rigettato.
La peculiarità della esaminata vicenda induce a compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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