Corte di Cassazione Civile sez. VI 3/12/2010 n. 24614

Redazione 03/12/10
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Svolgimento del processo
1. E’ stata depositata in cancelleria nel giugno 2010 la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

"FATTO: Viene proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ricorso per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Messina, del 2 luglio – 17 settembre 2009, che ha accolto parzialmente i tre ricorsi in riassunzione di precedenti processi, iniziati dinanzi a Corte d’appello incompetente da R.G., legale rappresentante della s.r.l. Air Sistem con sede in (omissis), nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per ottenere l’equo indennizzo, ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, per i danni non patrimoniali conseguenti alla durata irragionevole di tre processi dalla società instaurati con distinti ricorsi alla Commissione tributaria competente, il primo del 18 maggio 1999 avverso l’accertamento di un reddito imponibile ai fini IRPEG di circa L. 26.000.000, superiore a quello dichiarato per l’anno 1993, con una sanzione di L. 13.577.000, concluso l’8 giugno 2006 in appello con sentenza della Commissione tributaria regionale dell’8 giugno 2006 che aveva accolto il ricorso e il secondo, iniziato il 30 settembre 1994, con ricorso riunito ad altro della stessa data, l’uno contro un avviso di rettifica dell’ufficio delle II.DD. di Messina che aveva disconosciuto per il 1991 crediti della contribuente, chiedendo il pagamento delle imposte relative e irrogando la pena pecuniaria di L. 42.630.000 e l’altro relativo a redditi del 1992, con pena pecuniaria di L. 92.622.000.

La Corte di merito, con il decreto di cui in epigrafe, notificato dalla società al Ministero il 1 ottobre 2009, ha respinto un terzo ricorso relativo a un altro processo tributario avente ad oggetto sanzione pecuniaria, dichiarato inammissibile in ragione del fatto che in esso mancavano sanzioni analoghe ad accuse penali ed ha accolto la domanda di equo indennizzo relativa ai predetti due ricorsi, ritenendo parificabile il processo sulle pesanti sanzioni irrogate a quello da accusa penale di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; nel primo caso si è ritenuta irragionevole una durata di anni due, per la quale erano liquidati Euro 2000, pari ad Euro 1.000,00 annui, e nel secondo si è liquidato un indennizzo di 1.000,00 Euro annui per i sei anni computati come irragionevoli, con indennizzo equo di Euro 6.000.00, condannando il Ministero a pagare per equo indennizzo Euro 8000,00 e i due terzi delle spese del grado di merito.

Nel suo ricorso in cassazione di tre motivi, il Ministero dell’Economia deduce: 1) la violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 1 e 3 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente cita i vari principi di diritto enunciati da questa Corte, a iniziare dalla sentenza n. 11350 del 17 giugno 2004, per la quale anche il processo tributario, quando abbia ad oggetto sanzioni particolare gravi può rilevare ai fini della durata irragionevole e dell’equo indennizzo ovvero se sia relativo a materia civile non investendo la determinazione del tributo ma solo aspetti a questo consequenziali (il ricorso cita in tal senso Cass. 15 luglio 2008 n. 19367). Nel caso erroneamente si sono ritenute valutabili sanzioni liquidate in base alle imposte evase ai fini della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, senza considerare che il computo di tale sanzioni è connesso a quello del tributo evaso, che esprime la potestà impositiva dello Stato ed è al di fuori dei processi oggetto dell’art. 6 della convenzione; 2) omessa motivazione su fatto controverso che nel processo presupposto era il tributo evaso e l’imponibile su cui calcolarlo e solo per effetto di tale computo determinava l’entità della sanzione da irrogare. Il ricorrente richiama le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo che qualificano come di natura penale una sanzione per il tipo e il grado della sua severità, che la fa rientrare nella sfera penale, con un esame del giudizio presupposto che chiarisca la natura afflittiva delle sanzioni irrogate che, nella motivazione del decreto impugnato, manca invece totalmente. 3) violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, essendosi la Corte di merito discostata dai parametri sopranazionali che, in sede di legittimità, si sono di recente fissati in Euro 750,00 per i primi tre anni da elevare ad Euro 1.000,00 per gli anni successivi (Cass. n. 21840/09), mentre nel caso l’indennizzo annuale è stato mantenuto sempre a livelli mediamente più alti.

Secondo il controricorrente il giudizio della Corte di merito sul carattere affittivo analogo a quello penale delle sanzioni applicate è incensurabile in cassazione, con infondatezza del 1 motivo, ritenendo irrilevanti le censure sulla liquidazione dell’indennizzo connesse alla più recente giurisprudenza di legittimità su tale punto decisivo.

DIRITTO – Il relatore ritiene che il primo motivo di ricorso è manifestamente fondato, in base al presupposto della costante giurisprudenza della Cassazione citata in ricorso e precisata comunque di recente (cfr. Cass. ord. n. 8980/2009), chiarendosi che non è da ritenere regolato dall’art. 6 della Convenzione l’attesa che derivi dall’accertamento da parte della commissione tributaria adita della base imponibile del tributo, in quanto coinvolge lo stesso potere impositivo dello Stato, al di fuori dei diritti e doveri di carattere civile del cittadino e della fondatezza dell’accusa penale che viene a lui rivolta e quindi non inquadrabile in unna attività processuale.

Di regola la misura della sanzione pecuniaria irrogata e annullata è connessa, come accaduto nel caso, a quella del tributo evaso e delle imposte dovute (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7); anche nel caso di specie non vi erano sanzioni accessorie nè pene pecuniarie ma erano irrogate sanzioni in proporzione alle imposte evase, e la particolare gravità di esse è collegata dalla corte di merito solo alla loro misura o entità, con una valutazione di parifica alla accusa penale, che non ha senso in rapporto ad accertamenti o rettifiche che si collegano di certo al solo potere impositivo dello Stato italiano.

In sostanza nel caso non vi è la contestazione di una accusa penale ma solo l’accertamento amministrativo di una evasione fiscale, che l’accertamento oggetto del processo tributario fa configurare, potendo venire meno anche per un eventuale esercizio dei poteri dell’amministrazione tributaria errato, con conseguente immediata revoca delle sanzioni tributarie, strettamente connesse al potere impositivo dello Stato, su cui al cittadino lo Statuto del contribuente garantisce ogni tutela, non potendosi però individuare in una controversia del tipo di quella esaminata nel processo il presupposto dei rapporti civili e penali cui fa, riferimento l’art. 6 della convenzione, per cui il contribuente sanzionato debba necessariamente rientrare tra i soggetti che hanno diritto ad una durata ragionevole del processo su altre situazioni civili (sui soggetti legittimati ad agire, cfr. Cass. 10303/2010).

Manifestamente fondato è quindi il primo motivo del ricorso che censura il decreto per avere affermato l’assoggettamento del processo tributario presupposto, relativo ad un accertamento e a una rettifica della base imponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria con ogni sanzione pecuniaria conseguente, ad una accusa penale da cui difendersi, solo in rapporto alla somma pretesa come sanzione ritenuta gravosa per la società controricorrente; tale conclusione comporta assorbimento dei residui due motivi di ricorso. In conclusione, si chiede che, in rapporto alla manifesta fondatezza del primo motivo di ricorso e all’assorbimento degli altri due motivi, il Presidente voglia fissare l’adunanza in camera di consiglio per la decisione ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5".

Motivi della decisione
1. Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione del consigliere relatore del 22 giugno 2010 e la soluzione da essa proposta.

2. Il ricorso quindi è manifestamente fondato nel suo primo motivo e resta assorbito nel resto; pertanto, il decreto deve essere cassato in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa può decidersi nel merito, con rigetto della domanda di equa riparazione e spese del grado di merito a carico della società soccombente.

3. Le spese del giudizio di cassazione, per il principio della soccombenza restano anche esse a carico della controricorrente e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito nel resto;

cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta la domanda di equa riparazione da irragionevole durata dei processi tributari di cui in motivazione e condanna la Airsystem s.r.l. a pagare al Ministero ricorrente le spese dell’intero giudizio, che liquida, per il giudizio di merito, in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), di cui Euro 500,00 (cinquecento/00) per diritti e, per la presente fase di legittimità, in Euro 1300,00, oltre alle spese prenotate a debito per ciascuno dei gradi.

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