Corte di Cassazione Civile sez. V 5/6/2008 n. 14847; Pres. Papa E.

Redazione 05/06/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La C.T.P. di Caserta accoglieva il ricorso proposto dagli eredi di T.P. avverso avviso di accertamento emesso nei confronti del predetto ai fini Irpef e Ilor per l’anno 1991.

La C.T.R. Campania rigettava l’appello proposto dall’Ufficio delle Entrate di Caserta, rilevando che la sentenza impugnata era supportata da precisi riscontri normativi e giurisprudenziali.

Rilevavano altresì i giudici d’appello che il decesso del contribuente appena iniziata la verifica (e perciò la mancanza della sua firma in calce al relativo verbale) avrebbero dovuto indurre l’Ufficio ad integrare gli accertamenti della Guardia di Finanza con elementi probatori idonei a confermare che le somme depositate presso gli istituti di credito provenivano esclusivamente dall’attività professionale del T., mentre l’Ufficio si era limitato e richiamare il verbale di accertamento, inidoneo a costituire esclusiva fonte di prova, posto che dall’esame dei conti correnti emergeva una perfetta corrispondenza tra la voce "dare" e la voce "avere", rendendo evidente che il T. aveva l’abitudine di far transitare sui suoi conti anche denaro non proprio e redditi terziari non identificati.

Secondo i giudici d’appello, occorreva considerare inoltre che, secondo gli eredi, alcune poste del conto erano riferibili all’attività politica espletata dal ******** e per la quale egli doveva rendere conto al partito, ed inoltre che, essendo egli in comunione legale dei beni col coniuge, erano imputabili al T. solo la metà delle somme rinvenute sui conti correnti, al netto delle operazioni concernenti l’interscambio di assegni a titolo gratuito e l’organizzazione del partito nel quale il defunto militava.

Concludevano i giudici d’appello rilevando che non risultava fornita la prova dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria.

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate; resistono con controricorso M.F. e T.D., la prima in proprio e nella qualità di erede di T.P., il secondo solo nella qualità.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2697 c.c., nonchè D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 22 ss., art. 41 ss., art. 51 ss., art. 81 ss., oltre che vizi di motivazione, i ricorrenti rilevano che la sentenza fonda su argomentazioni mai dedotte nel ricorso introduttivo nè successivamente deducibili.

In particolare, nel suddetto ricorso introduttivo non risulterebbe alcun accenno ad attività extraprofessionali del T., tali da far presumere che le somme sui suoi conti potessero essere riferibili a terzi, nè ad una riferibilità per metà dei conti in esame al coniuge in comunione di beni, argomento peraltro inadeguato, secondo i ricorrenti, perchè anche la moglie del T. era destinataria dell’avviso impugnato e quindi parte ricorrente in proprio, oltre che nella qualità di erede.

Secondo i ricorrenti, inoltre, la sentenza impugnata ometterebbe di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo alla sufficienza delle risultanze bancarie ad assumere il valore di presunzione,. immotivatamente affermando che il p.v.c. non poteva costituire esclusiva fonte di prova della maggiore pretesa tributaria e che il T. poteva essere ritenuto titolare delle somme di cui ai conti correnti in esame solo per metà e solo al netto delle somme concernenti il partito e l’interscambio di assegni a titolo gratuito, senza che la parte avesse mai dimostrato quali e quante fossero tali somme, o che esse fossero di pertinenza altrui o che la stretta corrispondenza tra versamenti e prelievi fosse prova dell’alterità delle somme.

Infine, secondo i ricorrenti, i giudici d’appello avrebbero erroneamente affermato che l’amministrazione doveva provare la provenienza esclusiva delle somme sui conti dall’attività professionale del contribuente, laddove, secondo la normativa vigente, sono imponibili tutti i redditi, di qualunque natura, anche diversi da quelli di lavoro (e inclusi perfino i proventi da attività illecite). Le censure esposte sono fondate.

E’ innanzitutto da chiarire che, secondo la univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in tema di accertamento delle imposte sui redditi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari di un professionista consentono, in virtù della presunzione legale contenuta nella detta normativa, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività di lavoro autonomo svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività (v. tra le altre cass. n. 4601 del 2002 cit.) e che pertanto, in relazione alla suddetta presunzione concernente gli elementi risultanti dagli accertamenti bancari, si determina una inversione dell’onere della prova, per cui, a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, deve ritenersi che l’Amministrazione abbia fornito la prova dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria e spetta al contribuente fornire adeguata e specifica prova contraria.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la suddetta prova contraria deve essere circostanziata e non può consistere nella mera affermazione che sul conto corrente confluivano anche somme di pertinenza di terzi, avendo in particolare questa Corte affermato (v. cass. n. 13819 del 2007) che, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, "non è sufficiente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto".

E’ peraltro da aggiungere l’assoluta irrilevanza, ai fini dell’operatività della presunzione de qua, del decesso del contribuente subito dopo l’inizio della verifica e della conseguente mancanza della sua firma in calce al relativo verbale, posto che, per giurisprudenza costante, la legittimità della utilizzazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che l’art. 32 prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’amministrazione tributaria, non di un obbligo (v. cass. n. 4601 del 2002); che "l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, a fine di accertamento, è legittima anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato" (v. cass. n. 10964 del 2007); infine che, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nella parte in cui prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all’Ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facoltà, della quale può avvalersi in piena discrezionalità, con la conseguenza che "il mancato esercizio di tale facoltà non può quindi determinare l’illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, nè comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza, e con il conseguente onere per il Fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro" (v. cass. n. 14675 del 2006).

Tanto premesso, è appena il caso di aggiungere che, comunque, nel ricorso introduttivo (esaminato da questo giudice in relazione alla deduzione di error in procedendo) neppure si accennava all’attività politica del T. (che avrebbe in ipotesi giustificato il transito di somme del partito sul suo conto) o ad altra attività genericamente comportante, secondo la sentenza impugnata, "interscambio di assegni a titolo gratuito" e si evidenziava non la comunione dei beni tra il T. ed il coniuge, bensì la cointestazione del conto corrente in esame, circostanza considerata dall’Amministrazione, tanto che l’avviso impugnato risultava destinato anche a M.F., coniuge del T. e impugnante il suddetto avviso non solo quale erede del marito, ma anche in proprio. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata, deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Campania.

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