Corte di Cassazione Civile sez. V 25/1/2010 n. 1344

Redazione 25/01/10
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’Agenzia delle Entrate propone, nei confronti di V.U. (che non si è costituito), ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 56, depositata il 5-06-07, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpef e SSN concernente l’anno di imposta 1996, la C.T.R. Liguria confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto parzialmente il ricorso del contribuente).

2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52) è inammissibile.

La sentenza impugnata ha ritenuto correttamente dedotti gli interessi passivi "come evincibile da documentazione bancaria"; dalla medesima sentenza risulta che la documentazione relativa ai suddetti interessi fu prodotta successivamente alla verifica avendo il contribuente nel ricorso introduttivo dichiarato che i suddetti interessi risultavano dalle scritture contabili e che l’accertamento si fondava su documentazione incompleta perchè consegnata all’assicurazione in relazione ad alcuni furti subiti. Tanto premesso, deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, (il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti – libri, scritture, registri, etc. – che non siano stati acquisiti durante gli accessi perchè il contribuente ha rifiutato di esibirli o perchè ha dichiarato di non possederli, o perchè li ha comunque sottratti al controllo) presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio. La norma, pertanto, trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. n. 9127 del 2006), con la conseguenza che parte ricorrente avrebbe dovuto allegare (e in maniera autosufficiente, ossia riportando in ricorso gli atti e/o documenti dai quali tali circostanze emergevano) che vi era stata una specifica richiesta dell’amministrazione in ordine alla documentazione de qua e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione dichiarando di non possederla o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico comportamento volto a sottrarsi alla prova.

Sul punto, invece, la ricorrente si limita ad affermare in ricorso che dal p.v.c. risultava che la parte aveva dichiarato di non aver conservato gli estratti dei conti correnti, ma senza riportare l’atto per esteso, al fine di una valutazione complessiva, e senza peraltro ottemperare, in ordine a tale p.v.c., costituente documento sul quale è fondato il ricorso, alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4, nell’interpretazione attribuita a tali norme dalla recente giurisprudenza di legittimità.

Il secondo motivo di ricorso (col quale si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al valore dell’avviamento da contabilizzare a seguito della cessione dell’azienda) risulta invece manifestamente fondato, posto che i giudici d’appello sul punto si sono limitati ad affermare che era corretta la decisione dei primi giudici, secondo i quali il contribuente aveva valutato il suddetto avviamento nella giusta misura, senza in alcun modo dare conto di avere sul punto valutato l’impugnazione dell’Agenzia che (secondo la stessa sentenza) aveva in proposito evidenziato che nel cedere la propria azienda il contribuente non aveva provveduto a redigere la situazione patrimoniale di cessione, omettendo così di rilevare il reale valore fiscale dell’azienda e non essendo perciò in grado di valutare la plusvalenza in modo univoco.

Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato e il secondo deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Liguria.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Redazione