Corte di Cassazione Civile sez. V 24/9/2009 n. 37442; Pres. Nardi D.

Redazione 24/09/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 15.1.2008 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa dal tribunale della stessa sede il 21.7.2005 con cui ****** era stato assolto, perchè il fatto non sussiste dall’imputazione di diffamazione aggravata, in danno del magistrato D.N.S., conseguente alla pubblicazione, il (omissis), sul quotidiano (omissis) dell’articolo dal titolo (omissis). I giudici di merito hanno riconosciuto l’esercizio del diritto di critica, sussistendo i requisiti della verità e della continenza delle espressioni, oltre che dell’interesse e del rilievo sociale. Il capo di imputazione è il seguente: "… perchè con il contenuto dell’articolo … relativo al suicidio in carcere nel (omissis) di S.A., ritenuto responsabile di omicidio e rapina – nel quale si legge tra l’altro: venne arrestato con un unico grave indizio… bastò questo indizio per portalo dritto dritto nel carcere di (omissis) … perchè i magistrati non sanno che gli innocenti non sono tenuti a procurarsi un alibi … si tolse la vita ucciso da quei magistrati che lo avevano ingiustamente arrestato, dimenticandosi di lui, trattandolo, lui innocente, peggio del peggior criminale. Chi lo tenne in carcere per sei mesi ha fatto carriera ed ha ancora l’autorità per arrestare altre persone, continua a disporre della libertà altrui senza pagare dazio e l’organismo di autoregolamentazione dei giudici niente ha fatto: la casta si tutela da sola, le toghe si proteggono tra di loro, non si danneggiano mai per nessun motivo…" Questo articolo, con riferimento al suicidio in carcere di S.A., riguardava il giudice istruttore, dottoressa P., e il pubblico ministero, il ricorrente D.N.S..

Il difensore della parte civile ha presentato ricorso, per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento ai requisiti nella verità e della continenza delle espressioni usate nell’articolo.

Quanto alla verità, il ricorrente sostiene che la sentenza ha individuato erroneamente e arbitrariamente la causa del suicidio nel solo fatto dell’arresto del S. per un fatto rispetto quale era innocente; non ha tenuto conto delle censure mosse nei motivi di appello sui fatti narrati nell’articolo relativi all’unicità e banalità dell’indizio che aveva condotto l’arresto del S. e alla mancata adozione di qualsivoglia provvedimento disciplinare da parte dell’organo di autogoverno della magistratura.

La carente valutazione, da parte della Corte di merito, della veridicità dei fatti espressi nell’articolo ha avuto un’incidenza negativa sull’intera motivazione della sentenza.

Inoltre la sentenza trae argomenti, per desumere la verità delle affermazioni stigmatizzate, non riguardandole ex se, ma facendo riferimento ad altri scritti pubblicati in quel giorno sul quotidiano e alla loro ipotetica idoneità a dare ai lettori una corretta informazione.

Un altro erre logico della sentenza è ravvisabile nel requisito della continenza: i giudici di merito hanno riconosciuto che l’espressione usata dall’imputato sia idonea ad offendere l’onore della persona offesa, ma deducono la legittimità della condotta dal fatto che essa, per un verso, poggerebbe su fatti veri, mentre, per l’altro verso, sarebbe frutto dell’esercizio del diritto di critica.

La circolarità dell’argomento è dunque palese, secondo il ricorrente, in quanto dovrebbe ritenersi sussistente l’esercizio del diritto di critica, pure a fronte di espressioni non continenti e oggettivamente diffamatorie, che sono però il frutto di un giudizio critico. Sul punto il ricorso così conclude:

"In altre parole, secondo i giudici della Corte territoriale ricorre il diritto di critica semplicemente quando il giornalista elabora un giudizio critico, poi importando se le espressioni impiegate hanno un’oggettiva carica diffamatoria, perchè non aderenti al requisito della continenza, come da essi stessi riconosciuto".

Di qui la richiesta di annullamento della sentenza, adottando i conseguenti provvedimenti di legge, eventualmente rinviando gli atti al competente magistrato civile, per la decisione sulle domande della parte civile costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla censura attinente alla asserita insussistenza del requisito della verità della notizia che ha dato spunto alla critica del giornalista nei confronti del magistrato, va rilevato che la ricostruzione dei fati e della loro successione temporale, scanditi dai giudici di merito dimostrano l’infondatezza del primo aspetto della doglianza.

Va precisato che le sentenze di primo e di secondo grado, avendo seguito un uniforme apparato logico argomentativo, costituiscono un risultato organico e inscindibile. Pertanto la presente analisi parte dal fatto che risulta accertato nel complessivo giudizio di merito.

La Corte territoriale ha condiviso le argomentazioni della sentenza del tribunale, che aveva evidenziato che l’espressione (ucciso da quei magistrati) è astrattamente idonea "a ledere l’onore altrui, ma il suo uso è connesso alla formulazione di un giudizio, ancorchè aspramente critico, derivante dalla incontestabile sequenza di due fatti oggettivi: l’arresto dello S. per fatti cui era certamente estraneo ed il suo suicidio conseguente alle inascoltate proteste di innocenza (gridata anche nell’ultima lettera scritta prima di togliersi la vita)".

La sentenza de Tribunale, richiamata dalla Corte di merito, così aveva deciso sul punto: "…nel contesto dell’articolo il verbo (uccidere) e l’espressione (ingiustamente arrestato si dimenticò di lui, certamente forti e astrattamente idonei a ledere l’altrui onore, utilizzati per descrivere le drammatiche sorti che portano S. al suicidio in carcere, e riconnetterle all’operato dei magistrati che si occuparono del caso – che certamente non uccisero neppure moralmente alcuno (N.d.r.: testo originale non comprensibile) costituiscono una personale visione critica della concatenazione di due fatti per cui fu arrestato dal P.M. e che il giovane si suicidò per la lunga detenzione sofferta, in regime di isolamento, gridando la sua innocenza (sino all’ultima lettera prima dell’insano gesto)" (p. 15 sentenza del tribunale).

Risulta quindi che i giudici di merito hanno accertato la verità della notizia riportata dal giornalista S.A. – indipendentemente da una rivisitazione dei motivi che fondarono l’ordine di cattura del Pubblico Ministero – è morto in seguito di uno stato di detenzione vissuto come ingiusto dall’interessato e ritenuto poi ingiustificato da altri organi giudiziari; a seguito di uno stato di sofferenza accentuato da un altrettanto ingiustificato isolamento e dal silenzio dell’autorità giudiziaria, a fronte delle sue proteste di innocenza "gridata anche nell’ultima lettera scritta prima di togliersi la vita".

Quanto all’altro aspetto della doglianza sulla verità della notizia riportata (il silenzio sulla mancata adozione di provvedimento disciplinare da parte dell’organo di autogoverno), va rilevato che la Corte di Appello ha richiamato l’esito dell’inchiesta ministeriale, che aveva escluso addebiti al D.N., a differenza di quanto aveva fatto per il giudice istruttore che aveva omesso di compiere tempestivamente alcuni atti istruttori. Nella sentenza di primo grado si precisava che il giudice istruttore, dottoressa era stata sanzionata con la censura.

Più specificamente, risultò esente da censura la scelta processuale del Pubblico Ministero (espressa dapprima, sotto forma di "ordini" e in un secondo momento, quando l’istruzione fu formalizzata, sotto forma di "poteri") di mantenere il detenuto in isolamento a discapito del tempo trascorso in stato di detenzione. L’approfondita indagine ispettiva concluse che il D.N. era esente da censure disciplinari pur essendo risultato che questi aveva espresso sempre pareri negativi al reinserimento del detenuto a vita comune , l’ispettore del ministero dava atto che i pareri espressi erano sempre adeguatamente motivati ed erano subordinati alla necessità che il giudice istruttore – cui nel vecchio rito spettava la decisione finale in merito al regime di detenzione – "espletasse alcuni accertamenti istruttori che, purtroppo, la ********, colpevolmente, non aveva attivato per tempo" (sentenza del tribunale p. 16). Comunque il D.N. era stato stigmatizzato per il suo comportamento ritenuto "blando" rispetto al problema del perdurante isolamento del detenuto, tanto che l’ispettore concluse, affermando che "sue più pressanti sollecitazioni presso il G.I. ed un eventuale interessamento del capo dell’ufficio avrebbero potuto sbloccare la situazione".

In questo completo quadro storico delineato dai giudici di merito, la sussistenza del reato, sotto questo profilo della mancata specificazione del diverso trattamento ricevuto dall’organo di autogoverno, è stata correttamente esclusa, in quanto l’articolo di commento pubblicato su un quotidiano non costituiva la sede più appropriata per operare distinzioni di funzioni e reponsabilità tra Pubblico Ministero e giudice istruttore. In ogni caso solo quest’ultimo giudice è stato indicato dal giornalista quale principale responsabile dell’ingiustificato trattamento carcerario per averne tra l’altro, omesso per quasi cinque mesi l’interrogatorio.

La Corte di merito ha dato anche rilievo alla circostanza che, qual giorno (di poco successivo all’arresto di altre persone accusate dei reati attribuiti allo S.), sul quotidiano erano pubblicati chiarimenti sulla complessa vicenda, ponendo i lettori nelle condizioni di avere un’informazione sostanzialmente completa e corretta.

Pertanto, a fronte di questa marginale omissione (sull’assenza di sanzione disciplinare), non può ritenersi realizzata una rievocazione reticente di un fatto di cronaca giudiziaria, diretta a ledere la reputazione di uno dei soggetti processuali. La valutazione della portata diffamatoria di un articolo deve essere effettuata prendendo in esame l’intero contenuto sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le quali la notizia (o la valutazione) viene data (Cass. Sez. 5^, n. 5738 del 30.3.2000 Pg in proc. **********).

Quanto alla continenza, nella sentenza si richiama la giurisprudenza della S.C. secondo cui va tutelata nel modo più ampio la libertà di espressione, a condizione che l’autore non trascenda in attacchi personali diretti a colpire, sul piano individuale, senza alcuna finalità di interesse pubblico la figura morale del soggetto criticato. L’esame su questo aspetto della critica mossa al magistrato, secondo la corte territoriale, conduce a escludere che sia stata aggredita la sfera morale della parte civile, anche se sono state usate espressioni aspre e pungenti.

La continenza formale non può equivalere a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio ed anodino, in quanto in essa rientra il libero ricorso a parole sferzanti e pungenti. E’ stato correttamente osservato che l’esercizio del diritto di critica, nella sua funzione di scriminante, può esplicarsi con l’uso di toni oggettivamente aspri e polemici, specie quando abbia ad oggetto un tema di grave interesse pubblico. Le espressioni usate dal giornalista sono pienamente adeguate alla gravità del fatto narrato e sono diretta non certo ad aggredire la sfera di umanità e moralità del magistrato, ma a richiamare l’attenzione sulla gravità delle conseguenze dell’operato della magistratura, laddove incide sulla libertà dei cittadini.

Sono quindi non meritevoli di censura le conclusioni contenute nella sentenza impugnata sulla correttezza della legittimità dell’esercizio del diritto di critica, da parte del L.A..

Il ricorso deve essere quindi rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione