Corte di Cassazione Civile sez. V 23/7/2010 n. 17387

Redazione 23/07/10
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Svolgimento del processo

A seguito di due atti di ispezione della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate di Verona notificava il 13 aprile 2000 alla società ******** s.r.l. tre avvisi di accertamento con i quali era rettificato in aumento il reddito della società a fini IRPEG ed ILOR per gli anni 1994, 1995, 1996.
La società impugnava gli avvisi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Verona, sostenendo che gli accertamenti non si fondavano su presunzioni gravi, precise e concordanti.
La Commissione, riuniti i ricorsi, escludeva dalla ripresa a tassazione l’importo di L. 405.000.000, imputato a costi effettivi, e confermava nel resto gli avvisi impugnati.
Appellava la società e la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n. 1/21/05 in data 31-1-2005, depositata in data 7-2-2005, respingeva il gravame, confermando la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società, con tre motivi.
L’ufficio resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D), e comma 2, nonchè omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Sostiene che la Commissione ha errato nel ritenere legittimo il ricorso dell’Ufficio in sede di accertamento al disposto di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in quanto non erano riscontrate irregolarità formali e sostanziali della contabilità, e parimenti errato sarebbe il ricorso al comma 1, lett. D), della stessa disposizione di legge, in quanto in tale ipotesi è necessaria la esistenza di presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti, negando che tali caratteristiche possano attribuirsi al ritrovamento di documentazione extracontabile, da cui risulterebbero cessioni non contabilizzate di materiali metallici, rinvenute presso il presunto amministratore di fatto della società in quanto necessiterebbero ulteriori riscontri; la stessa osservazione ad avviso della ricorrente vale per le movimentazioni bancarie riscontrate dall’Ufficio, che pure dovrebbero essere corroborate da ulteriori elementi oggettivi, tra cui non possono essere comprese le valutazioni effettuate nei PVC della Guardia di Finanza, che non hanno fede privilegiata.
Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in quanto la Commissione aveva ritenuto valutabili ai sensi della citata disposizione di legge le movimentazioni bancarie non solo del legale rappresentante della società, ma anche dei familiari di costui, senza considerare che la prova della riferibilità dei conti bancari dei familiari alla gestione aziendale grava sull’Ufficio e non può consistere nella mera ristrettezza della cerchia familiare, in mancanza di altri elementi concreti.
Con il terzo motivo lamenta la violazione da parte della Commissione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, nonchè insufficiente motivazione, in quanto il giudice di appello aveva genericamente affermato che l’Ufficio aveva rispettato detta norma, senza spiegare il motivo, laddove le violazioni contestate per gli anni in esame erano della stessa indole ed inoltre poichè esistevano altri processi contemporaneamente pendenti "il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate". Disposizione non osservata dalla Commissione Regionale.
L’Ufficio in controricorso contesta la fondatezza delle argomentazioni della ricorrente.
Il primo ed il secondo motivo sono strettamente congiunti in quanto prendono le mosse da una sostenuta inesistenza di sufficienti elementi probatori a sostegno degli accertamenti, da cui discendono ad avviso della contribuente, le violazioni di legge e le lacune motivazionali contestate. I motivi sono entrambi infondati.
La sentenza da atto, con ampia, motivata e logicamente ineccepibile motivazione che gli elementi posti a base degli accertamenti consistono in primo luogo nel rinvenimento presso un soggetto che senza essere socio era l’amministratore di fatto della società, di documentazione da cui emergeva la cessione senza fattura di materiali ferrosi, documentata da certificati della pesa pubblica; ed in secondo luogo t^àla movimentazione bancaria della legale rappresentante della società, del marito di lei, ritenuto amministratore di fatto, di un familiare socio in ragione di un terzo, e di altri stretti congiunti, per un numero di quattordici conti, in cui erano transitate somme imponenti senza alcuna giustificazione contabile apparente. In particolare, i familiari dei soci non esplicavano attività lavorativa e non avevano redditi documentati.
Il complesso di elementi indizianti sopra esposto è stato rettamente ritenuto dalla Commissione Regionale composto da presunzioni semplici gravi precise e concordanti. In particolare, in relazione al secondo motivo, la presunzione di riferibilità dei conti dei familiari della legale rappresentante alla gestione sociale occulta non è stata ritenuta sulla base del solo fatto della ristrettezza dalla base familiare stessa, ma dalle ulteriori circostanze che i titolari dei conti non disponevano di mezzi propri che potessero giustificare spostamenti di così cospicue somme di denaro. Una volta ritenuta, su base presuntiva qualificata, la riferibilità dei conti dei familiari alla società, prende vigore la presunzione di cui all’art. 32 cit., a carico della società medesima. la quale è quindi onerata di prova circa la estraneità delle movimentazioni bancarie alla gestione sociale. Nella specie, la società nulla ha provato, nè offerto di provare elementi a proprio favore, trincerandosi dietro affermazioni astratte, tra cui quella secondo cui le valutazioni espresse nei PVC della Guardia di Finanza non sono assistiti da fede pubblica privilegiata, trascurando che non di fede privilegiata si tratta, ma di fatti costituenti presunzioni che rendono legittimo l’accertamento, determinando la inversione dell’onere della prova a carico del contribuente; prova, come si è detto, non data nè offerta. In particolare, in relazione al primo motivo la Commissione ha rettamente osservato la sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per procedere all’accertamento, ed è irrilevante il riferimento al comma 2, di detto articolo in quanto dal contesto della sentenza è chiaro il riferimento alla ipotesi di cui al comma 1, lett. D) dello stesso D.P.R., per cui sussistevano, per quanto sopra si è detto, presunzioni gravi, precise e concordanti.
Quanto al terzo motivo, il semplice riferimento ad una genericità di una affermazione motivazionale è irrilevante, ove non si spieghi perchè tale motivazione è errata; e sotto questo profilo il mezzo manca di autosufficienza, sia in quanto rimane generico sulla asserzione che le violazioni contestate per ogni anno siano della stessa indole, sia perchè pur dando atto della contemporanea pendenza di vari processi a suo carico per fatti similari, non fornisce elementi idonei a ritenere che il giudice di appello fosse "l’ultimo" in relazione ad altre sentenze passate in giudicato. Anche detto motivo deve di conseguenza essere respinto.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di questa fase di legittimità a favore della Agenzia, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione