Corte di Cassazione Civile sez. III 9/3/2011 n. 5540

Redazione 09/03/11
Scarica PDF Stampa

(omissis)
Svolgimento del processo
yyyy  conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pesaro yyyy nella loro qualità di eredi di yyy nonché la s.p.a. yyy quale compagnia assicuratrice per la r.c.a. di quest’ultima, per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni da essa subiti a seguito di un incidente stradale.
Deduceva l’attrice che, mentre camminava sul margine destro di una strada provinciale era investita dall’auto condotta da …. riportando gravissime lesioni personali.
La s.p.a yyy si costituiva contestando la domanda attrice, sia in relazione all’an che in relazione al quantum.
Il Tribunale concedeva due provvisionali.
Con sentenza del 30.8-2.9.2002 il Tribunale dichiarava che l’incidente per cui è causa si era verificato per colpa concorrente yyyy rispettivamente nella misura dell’80% e del 20% e condannava i convenuti, in solido fra loro, al pagamento della somma di € 65.587,24 già detratto quanto corriposto dalla s.p.a. yyy in corso di causa, oltre accessori.
Proponeva appello yyyy deducendo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto l’esistenza di un suo concorso di colpa. Contestava la determinazione del danno biologico, del danno morale, delle spese medico assistenziali e di quelle future.
La yyy sosteneva la totale infondatezza del proposto gravame di cui chiedeva il rigetto, con integrale conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello di Ancona respingeva l’appello e confermava la sentenza impugnata.
Proponeva ricorso per cassazione … T. con 10 motivi.
Resistevano con separata controricorsi la yy s.p.a. (già yy s.p.a. conferitaria dell’azienda di yy s.p.a.) e yy
Le parti presentavano memorie.

Motivi di diritto
Con il primo mezzo d’impugnazione yy denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 c.c.  – 2043 c.c. – 2054 c.c. – 115 c.p.c. – 116 c.p.c. – 190 C.d.s. introdotto dal D.Lgs.vo n. 03.4.1992, n. 285 – /Art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. – Art. 366 1° co. N. 4 c.p.c.”.
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente utilizzato le suddette norme in relazione alla fattispecie de qua in quanto ha confermato il concorso di colpa del pedone nella misura del 20% e quella del conducente in misura dell’80%.
La Corte ha in particolare errato, secondo yy ,per aver affermato il concorso di colpa sostenendo che la mera violazione dell’art. 190 del Codice della Strada ha determinato il concorso di colpa affermato dal giudice di primo grado, senza neppure svolgere alcun rilievo circa l’elemento causale riferibile al pedone.
Il motivo è infondato.
In tema di investimento stradale, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l’articolo 2054, primo comma, cod. civ., pone nei suoi confronti, non è preclusa l’indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone stesso, la colpa di questo concorre, ai sensi dell’articolo 1227, comma primo, cod. civ., con quella presunta del conducente (Cass. 22.5.2007, n. 11873).
D’altra parte il pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell’ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l’intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti. Ne consegue che la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l’applicabilità dell’art. 1227, comma 1°, cod. civ., occorrendo invece, a tal fine, che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile (Cass., 30.9./2009, n. 20949).
Nella specie l’impugnata sentenza ha accertato che la condotta della conducente del veicolo ha concorso in maniera rilevante alla produzione dell’evento, pur non rappresentandone la causa unica: l’appellante infatti risulta aver contravvenuto ad un preciso obbligo imposto dall’art. 190 del codice stradale procedendo su un lato diverso da quello prescritto da quest’ultima norma (Cass., 30/10/1998, n. 902).
Con il secondo motivo si denuncia: “Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso essenziale per la decisione art. 360 1° co. N. 56 c.p.c. e 366 bis c.p.c.”.
Parte ricorrente ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione con la quale l’impugnata sentenza ha determinato il concorso di colpa della conducente dell’autovettura investitrice nella misura dell’80% del pedone investito nella misura del 20% senza motivazione e/o con motivazione insufficiente e contraddittoria.
Ritiene parte ricorrente che, nella specie, il rapporto eziologico necessario a determinare l’imputabilità concorsuale del comportamento della pedone non sussiste e l’investimento è derivato solo dallo sbandamento dell’auto che ha attinto la pedone.
Il motivo è infondato.
Come sostiene l’impugnata sentenza la … procedeva infatti a piedi lungo la strada, nella stessa direzione dell’auto investitrice, sul margine destro della carreggiata, contravvenendo al disposto dell’art. 190, 1° comma C.d.s.  Dal rapporto degli agenti di polizia intervenuti sul luogo dell’incidente si evidenzia inoltre la presenza di una banchina erbosa della quale il pedone avrebbe prudentemente potuto avvalersi, almeno in parte, anziché ingombrare detto margine stradale.
Alla luce di tali elementi deve ritenersi che il comportamento della …. non è stato privo di efficienza causale rispetto all’evento dannoso e che la motivazione sul punto è senz’altro congrua.
Con il terzo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2056 c.c. Art. 360, 1° comma , n. 3 c.p.c. – Art. 366 1° co. N. 4 c.p.c.”.
Sostiene …. che la Corte d’appello di Ancona non ha correttamente applicato le suddette norme in relazione alla determinazione, sotto il profilo del quantum debeatur, del danno biologico da lei stessa subito.
Secondo la ricorrente la sentenza di secondo grado ha errato in particolare per avere applicato le “tabelle” del Tribunale di Milano cronologicamente corrispondenti al momento dell’incidente e non quelle pubblicate al tempo della decisione e per non avere operato alcuna integrazione in aumento in relazione alla peculiare gravità del danno da macro-permanente da essa stessa subito.
Il motivo è fondato.
In caso di lesioni gravissime con perdita della salute e con perdita totale della capacità lavorativa sia generica che specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico sicché, ai valori tabellari della stima statica della gravità del danno, devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento che tenga conto del tempo della liquidazione e dell’eventuale probabile aggravamento verificatosi successivamente, ove documentato e scientificamente provato (Cass., 12.12.2008, n. 29191).
Nella specie la Corte d’Appello, in presenza di lesioni gravissime, non ha provveduto alla personalizzazione del danno, limitandosi all’adozione di criteri predeterminati.
Con il quarto mezzo parte ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c. – Art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. – Art. 366 1° co. N. 4 c.p.c.”.
Sostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello di Ancona non ha correttamente applicato le norme in epigrafe in relazione alla determinazione del danno morale accertato alla ricorrente a seguito delle lesioni riportate nell’incidente per cui è causa.
Il motivo è fondato.
Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve infatti tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al caso concreto. Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell’importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è legittimo, purchè il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo (Cass., 9.11.2006, n. 23918). Nella specie M. T. ha subito un danno gravissimo e l’impugnata sentenza non ha provveduto a personalizzare il suddetto criterio.
Con il quinto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c. – Art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. – Art. 366 1° co. n. 4 c.p.c.”.
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente applicator le norme in epigrafe in relazione alla determinazione dell’intero danno “non patrimoniale” nella concezione da ultimo proposta da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza dell’11.11.2008, n. 26972.
La decisione della Corte d’Appello di Ancona, si afferma, pur riconoscendo la necessità che il danno sia risarcito integralmente in relazione alla concretezza del caso singolo, si è limitata ad applicare le tabelle pubblicate dal Tribunale di Milano che sono invece preordinate a criteri standardizzati e quindi prive di autonoma valutazione della fattispecie concreta.
Il motivo è fondato.
Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce infatti una categoria ampia ed onnicomprensiva nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima (Cass., S.U. , 11.11.2008, n. 26972).
Nel caso di specie risulta dalla C.t.u. che il soggetto era gravemente menomato nella sua integrità psicofisica, che a causa della tracheotomia e dell’impedimento fonetico aveva difficoltà a verbalizzare la propria pur limitata produzione ideativa.
Con il sesto, settimo e ottavo motivo che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, si denuncia rispettivamente: 6) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. e 115 cpcp – Art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. – Art. 366 1° co. n. 4 c.p.c.” 8) “Omessa e/o insufficiente/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso essenziale per la decisione – art. 360 I° co. N. 5 c.p.c. e 366 bis c.p.c.”.
Si afferma con tali motivi che la Corte territoriale non ha fatto buon uso delle norme in epigrafe in ordine alla valutazione e quantificazione del danno emergente costituito dalle spese sostenute sino alla decisione e di quelle da affrontare in futuro.
Sostiene in particolare M. T. che in ordine a talune spese sostenute e provate la Corte d’Appello ha violato le norme in epigrafe (art. 2056 c.c., 1223 c.c. e 115 c.p.c.) le quali assicurano il diritto del danneggiamento ad essere risarcito delle spese che provi di aver sostenuto a causa dell’incidente.
In tal senso, secondo parte ricorrente, la Corte territoriale non ha fatto buon governo dell’art. 112 c.p.c. secondo il quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda. Infatti in ordine al capo della domanda avente ad oggetto le “spese sostenute da … a causa dell’incidente nel periodo dal 16.12.97 alla decisione, la Corte d’Appello di Ancona ha omesso la pronuncia con riferimento a talune spese quali quelle per ticket medicinali, visite specialistiche trasporti in ambulanza, diritti di copi di cartelle cliniche, esami di laboratorio, assistenza.
I motivi sono infondati.
La Corte d’appello ha infatti correttamente osservato che, riguardo alle spese future, il giudice deve accertare che le stesse saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità e che nella specie dalla Ctu non risulta l’esigenza di una assistenza di tipo infermieristico mentre per la manutenzione della protesi è previsto il ricovero ospedaliero a carico del servizio sanitario nazionale così come a carico di tale servizio è la terapia riabilitativa.
Quanto alle spese sostenute dal dì dell’incidente a quello della pronuncia la Corte territoriale le ha ritenute dovute in misura ridotta adottando il criterio della liquidazione forfettaria.
Con il nono motivo di ricorso si denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. – Art. 360 I° co n. 3 c.p.c. art. 366 I° co. N. 4 cpc”.
Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha correttamente applicato le suddette disposizioni in ordine alla qualificazione della natura del danno da incidente stradale e correlate applicazione della rivalutazione monetaria e degli interessi.
Il motivo è infondato.
Secondo l’impugnata sentenza l’importo determinato in valori monetari correnti all’epoca della sentenza di primo grado, costituiscono debito di valuta in conseguenza della liquidazione operata e sono suscettibili di incremento sulla base degli interessi legali fino al saldo, senza operare ulteriore valutazione, in applicazione della sentenza di questa Corte (Cass., S.U., 17.2.1995, n. 1712).
Con il decimo ed ultimo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. – Art. 112-115 c.p.c. Art. 360 I° co n. 3 c.p.c. art. 366 I° co. n. 4 cpc”.
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione delle facoltà che il nostro ordinamento offerta dal giudice per decider correttamente. ***** ricordare che nella fattispecie de qua la Corte territoriale non ha vagliato nel complesso le prove della parte, e soprattutto non ha neppure preso in esame i titoli e tantomeno adempiuto l’obbligo di motivazione.
Il motivo è infondato.
La valutazione delle prove rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito che, ai fini della decisione, non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate, nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali si intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.
In conclusione, devono essere accolti il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso e rigettati gli altri. L’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso; rigetta gli altri. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
(omissis)

Redazione