Corte di Cassazione Civile sez. III 7/4/2010 n. 8235; Pres. Preden, Rel. Spagna Musso

Redazione 07/04/10
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Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 26.11.1991, S.A., dopo aver premesso di essere proprietario di un immobile sito in (omissis) e di averlo dovuto demolire, a seguito di ordinanza comunale, per le gravi lesioni ad esso causate dai lavori di sbancamento effettuati su di un contiguo terreno di proprietà dei coniugi I.S. e I.G., eseguiti dalla ditta G.G., conveniva quest’ultimo innanzi al Tribunale di Messina e detti coniugi per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti.

Si costituivano i convenuti e, in particolare, G.G. deduceva di avere eseguito le opere in questione con la ordinaria diligenza e chiedeva comunque di essere garantito, previa chiamata in causa, dalla Mediolanum Assicurazioni s.p.a. (con cui aveva stipulato in data (omissis) polizza assicurativa per la copertura di responsabilità civile a favore di imprese industriali ed edili) e dal direttore dei lavori C.P..

Il G.I. autorizzava le chiamate in causa con ordinanza dell’8.10.1992.

Costituendosi, la Mediolanum Assicurazioni eccepiva la inoperatività della polizza assicurativa, essendo la voce di danno invocata dall’attore esclusa dall’ambito oggettivo del contratto, mentre il C. rilevava che con la scrittura del (omissis) la impresa esecutrice lo aveva esonerato da ogni responsabilità insieme ai committenti dell’opera.

Espletata consulenza tecnica di ufficio e acquisito il fascicolo di accertamento tecnico preventivo richiesto dagli I. al pretore di Milazzo, con sentenza n. 83/2002, il G.O.A. del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (divenuto competente a seguito della sua istituzione) accoglieva la domanda, dichiarando la esclusiva responsabilità della ditta G., con condanna della stessa in solido con la Mediolanum al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 37.494,77, oltre rivalutazioni ed interessi, calcolati nella misura media del 4% sulla somma rivalutata anno per anno dall’agosto 1991 al soddisfo.

Proponeva appello la Mediolanum (eccependo, tra l’altro, la nullità della sentenza impugnata che aveva ingiustamente condannato in via diretta anche la compagnia assicuratrice nonostante nei suoi confronti fosse stata proposta solo una domanda di garanzia, nonchè la pronuncia ultra petita del Giudice di primo grado nel qualificare come vessatoria la clausola n. 3 del contratto) mentre la ditta G. riproponeva in via incidentale la domanda di garanzia verso la compagnia assicuratrice e S.A. ribadiva la richiesta risarcitoria.

La Corte d’Appello di Messina, con la sentenza in esame n. 206, depositata il 18.4.2006, accoglieva l’appello principale, rigettando l’incidentale, dichiarando "che la polizza non copriva il danno subito dall’immobile di S.A. stante la delimitazione oggettiva del contratto scaturente dall’art. 3".

Ricorre per cassazione G.G. con due motivi (e relativi quesiti); resiste con controricorso la Mediolanum. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1363, 1364 e 1378 c.c., e relativo difetto di motivazione; si censura la sentenza impugnata là dove "la Corte di Messina ha escluso la garanzia assicurativa fatta valere dal G. nei confronti di Medionalum sul presupposto dell’applicabilità alla specie della causa di esclusione di responsabilità di cui l’art. 3, lett. q, della condizioni generali contenute nella polizza da Mediolanum Assicurazioni" (ove era previsto l’esclusione della garanzia per "i danni a condutture ed impianti sotterranei in genere, fabbricati ed a cose in genere dovuti ad assestamento, cedimento franamento o vibrazioni del terreno da qualsiasi causa determinati". Si aggiunge che "il Ctu Ri. non aveva fatto riferimento a franamenti o a cedimenti del terreno I.; aveva, invece, individuato la causa scatenante dell’evento nella demolizione del fabbricato I., congiuntamente con lo scavo di sottomurazione per la posa delle fondazioni del nuovo edificio".

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., e relativo difetto di motivazione in relazione alla suddetta clausola n. 3 del contratto; in particolare si osserva che "la soluzione della Corte di Messina non sembra coerente con il tenore del dato testuale del contratto". Si aggiunge che ha errato la Corte territoriale nel considerare non vessatoria la clausola in questione solo perchè non sottoscritta ai sensi dell’art. 1341 c.c..

Il ricorso merita accoglimento in relazione ad entrambe le suddette censure.

La ratio decidendi dell’impugnata decisione si basa, infatti, da un lato, sull’affermazione che le clausole limitative del rischio assicurato costituiscono delimitazione dell’oggetto del contratto di assicurazione e non limitazione di responsabilità, e, dall’altro, sulla negazione della vessatorietà di detta clausola n.3 lett. q in quanto non specificamente approvata per iscritto ex art. 1341 c.c., comma 2.

Entrambi tali aspetti argomentativi sono censurabili.

Innanzitutto deve rilevarsi, sulla base di quanto già statuito da questa Corte (tra le altre, n. 395/2007), che nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., (con conseguente sottoposizione delle stesse alla necessaria e specifica approvazione preventiva per iscritto)r quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all’oggetto del contratto, e non sono perciò, assoggettate al regime previsto dal comma 2, di detta norma, le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito.

Nella fattispecie in esame, sotto il titolo "delimitazione dell’assicurazione – esclusioni", non si ricomprendono nel rischio assicurato "i danni provocati da condutture ed impianti sotterranei in genere, a fabbricati ed a cose in genere dovuti ad assestamento, cedimenti, franamento o vibrazioni del terreno da qualsiasi causa determinati": è evidente dunque, e sul punto la motivazione della Corte territoriale è carente ed illogica che, con tale clausola, l’assicuratore (quale tra l’altro "predisponente" il contenuto contrattuale in modo unilaterale sottoscritto dal G., assicurato – contraente debole), ha previsto una così ampia casistica, di attività ipotizzabili nell’esercizio di impresa edile, da risultare la stessa clausola finalizzata non ad una consentita "specificazione" del rischio contrattuale bensì ad una non corretta esclusione in toto di quest’ultimo, con modalità tali, quindi, da incidere in concreto negativamente sulla sussistenza della causa del contratto di assicurazione, destinato proprio a garantire i rischi collegati all’attività imprenditoriale in questione.

Ancora, quanto al secondo motivo, da collegarsi all’ulteriore argomentazione della Corte di merito sulla ritenuta validità di detta clausola, censurabile è altresì la statuizione secondo cui per ritenersi vessatoria una clausola contrattuale (vale a dire tale da costituire un disequilibrio nel rapporto tra contraenti, dando luogo ad un indebito "privilegio" a favore di uno solo di essi) è necessario il dato formale della sua specifica approvazione per iscritto, prescindendo dal contenuto.

Ne consegue, a seguito della cassazione dell’impugnata decisione, che deve enunciarsi il seguente principio di diritto: configura una non consentita limitazione di responsabilità, ex art. 1229 c.c., la clausola di un contratto assicurativo che, nell’escludere 1/assicurazione del relativo rischio, ipotizza (come nel caso di specie, con l’espressione testuale "da qualsiasi causa determinati") in modo ampio ed indiscriminato la non "comprensione" dei danni nell’oggetto del contratto stesso.

Inoltre l’esame e il giudizio sulla vessatorietà di una clausola debbono prescindere da dati meramente formali, come quelli in tema di sottoscrizione ex art. 1341 c.c., comma 2, (fermo restando che tale norma, dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina delle clausole vessatorie, di cui alla L. n. 52 del 1996, prima e al Codice del consumo poi, non è applicabile all’attualità, indipendentemente dalla presente controversia, al rapporto professionista/imprenditore – consumatore, ma solo a quello riguardante soggetti in posizione di "parità" contrattuali, vale a dire contraenti o entrambi persone fisiche o entrambi professionisti – imprenditori).

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese della presente fase, alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2010.

Redazione