Corte di Cassazione Civile sez. III 7/10/2008 n. 24769; Pres. Varrone M.

Redazione 07/10/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 447 c.p.c., la società Marobau OHG di Marsoner *************** (già Renobau O.H.G. s.n.c.), deducendo che giusta contratto stipulato con l’allora proprietaria sig.ra L.P.F. sin dal 1980 conduceva in locazione il terreno distinto con le particelle (omissis) della P.T. (omissis) del C.C. di (omissis), adibito a deposito per la sua impresa di costruzioni, e che in violazione del diritto di prelazione in suo favore previsto dalla clausola n. 8 del contratto con atto del 26/1/1999 la locatrice aveva alienato il terreno distinto con la particella (omissis) C.C. di (omissis) al sig. M.E. (già socio e successivamente uscito dalla compagine sociale), il quale unitamente al figlio M. occupava gran parte degli immobili locati, conveniva questi ultimi e la L.P. avanti al Tribunale di Bolzano, per ivi sentir nei loro confronti accertare e dichiarare la violazione del diritto di prelazione spettantele, con conseguente condanna dei medesimi al risarcimento dei sofferti danni, nonchè sentir condannare E. e M.M. "ad astenersi da qualsiasi violazione del rapporto di locazione fino alla scadenza dello stesso ed a rilasciare la parte illegittimamente occupata".

Nella resistenza dei convenuti, il giudice accertava la validità del contratto di locazione de quo, e la violazione del diritto di prelazione contrattualmente attribuito alla società attrice, con rigetto tuttavia delle domande di risarcimento dei danni e di tutela del rapporto di locazione, quest’ultima in particolare ritenuta, "in mancanza della prova sulla data certa della stipulazione del contratto", invero "non opponibile all’acquirente della p.f. (omissis)".

In parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Marobau OHG s.n.c., con sentenza del 26/4/2004 la Corte d’Appello di Trento – sez. – Bolzano -, nel ribadire la validità della locazione de qua, e previo accertamento incidenter tantum della nullità del contratto di compravendita in questione, confermava il rigetto della domanda di risarcimento dei danni, fondandolo invero non già sull’inidoneità dell’utilizzazione abusiva del fondo per scopi produttivi a determinare un danno risarcibile ritenuta dal giudice di prime cure bensì sulla inconfigurabilità di una lesione del patto di prelazione ad opera di una alienazione nulla.

Per l’effetto condannava E. e M.M. ad astenersi da qualsiasi violazione del rapporto di locazione fino alla scadenza dello stesso, nonchè a rilasciare in favore dell’appellante la parte illegittimamente occupata degli immobili de quibus.

Avverso la suindicata sentenza della corte di merito i sigg.ri E. e M.M. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i figli ed eredi della L.P.F. – sigg.ri T.A., M., S., P.A. -, i quali hanno presentato anche memoria; nonchè la società Marobau OHG di Marsoner ****** s.n.c., che propone altresì ricorso incidentale condizionato, sulla base di unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo i ricorrenti principali denunziano violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18, e della L.P. Bolzano n. 13 del 1997, art. 93, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che la nullità prevista dalle norme censurate è di tipo meramente formale, prescindendo del tutto dalla conformità o meno della destinazione del terreno compravenduto alle previsioni urbanistiche; e che il certificato di destinazione urbanistica risulta nel caso regolarmente allegato al contratto di compravendita de quo.

Deducono che la L. n. 47 del 1985, art. 18, non esclude in genere la trasferibilità dei terreni in ordine ai quali si è verificato un illegittimo mutamento della destinazione d’uso, la sanzione di nullità degli atti tra vivi ivi presi in considerazione derivando solamente all’esito dell’emanazione dell’ordinanza sindacale di sospensione delle opere in corso, all’esito dell’accertamento della compiuta lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione.

Si dolgono che la corte di merito non abbia tenuto conto che la neutralità dell’allegazione del certificato di destinazione urbanistica, corollario della natura meramente formale della nullità prevista dalla norma in questione, ha trovato invero conferma anche da parte di Corte Cost., 26/1/2004, n. 38. E che pertanto solamente dopo il controllo del Sindaco, rectius solamente dopo la trascrizione dell’ordinanza sindacale di sospensione nei registri immobiliari – o nei libri fondiari là dove vige il sistema tavolare – "gli atti di disposizione relativi ai terreni interessati vengono sanzionati con la nullità di cui all’art. 18, comma 9".

Con il 2^ motivo i ricorrenti principali denunziano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto integrata nella specie una lottizzazione abusiva, in presenza dell’erezione di una mera baracca con sovrastante tettoia in realtà insussistente.

Lamentano non poter essere in ogni caso giudizialmente dichiarata "d’ufficio una nullità (peraltro esclusa e non prevista dalla legge) per sanzionare un semplice abuso urbanistico o edilizio".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronunzia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi d’impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronunzia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

In particolare, allorquando con quest’ultimo viene come nella specie denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è invero sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (V. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza va posto in particolare in rilievo che i medesimi fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (il contratto di compravendita d.d. 26/1/1999; il certificato del Sindaco del Comune di Aldino d.d. 16/6/1998), limitandosi a meramente richiamarne la produzione in atti effettuata in sede di giudizio di merito, omettendo invero di assolvere all’onere di necessariamente trascriverne nel ricorso il contenuto, a tale stregua sottraendosi all’onere di porre questa Corte nelle condizioni di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere, la relativa disamina essendo invero da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., lo/2/1995, n. 1161).

Con il 3^ motivo i ricorrenti principali denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1343, 1344, 1345 e 1346 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia confermato l’esclusione della nullità del contratto di locazione de quo ravvisata dal giudice di prime cure argomentando dalla mancanza di una norma analoga a quella di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18.

Lamentano che, nell’escludere "(giustamente) un’ipotesi di nullità direttamente riferibile alla L. n. 47 del 1985, art. 18", la corte di merito ha "(ingiustamente ed immotivatamente) omesso" di valutare gli altri profili di nullità del pari dedotti a censura della pronunzia del giudice di prime cure.

Si dolgono, in particolare, che essendo stata la locazione in argomento convenuta tra le parti "allo scopo di realizzare un’area di deposito per materiali edili", in aperto contrasto con le disposizioni urbanistiche vigenti, non se ne sia invero ravvisata la nullità per essere la relativa stipulazione ascrivibile a "motivo illecito comune ad entrambe le parti contraenti", oltre che per avere essa "una causa illecita, un oggetto giuridicamente impossibile", e per concernere "la realizzazione di opere ed il loro utilizzo in manifesta violazione di norme imperative del p.u.c.".

Lamentano non avere il giudice dell’appello altresì considerato che la denunziata nullità del contratto di locazione in questione esclude la configurabilità stessa del diritto di prelazione nel caso asseritamente violato.

Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.

Risulta nell’impugnata sentenza accertata la sussistenza tra la sig.ra L.P. (e quindi i successivi subentranti in suo luogo) e la odierna ricorrente incidentale società Marobau OHG di Marsoner ************* (già Renobau O.H.G. s.n.c.) di un rapporto di locazione di fondi rustici posto in essere "allo scopo di realizzare un’area di deposito per materiali edili" (clausola n. 3), con previsione altresì di un diritto di prelazione in favore della conduttrice in caso di relativa alienazione (clausola n. 8).

Diritto di prelazione asseritamente violato in occasione della vendita a terzi di gran parte degli immobili locati.

Ritenuta la validità del contratto di locazione e dell’accessorio patto di prelazione, il giudice di prime cure ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla violazione del detto patto di prelazione, in quanto (come leggesi nell’impugnata sentenza) "l’ammontare del danno risulterebbe dalla differenza tra il valore di mercato ed il prezzo di compravendita pattuito", laddove "il valore di mercato stimato dal consulente tecnico d’ufficio… sarebbe notevolmente inferiore al prezzo di vendita". Ed altresì sostenendo che "l’utilizzo abusivo del fondo per scopi produttivi non sarebbe da considerare nel determinare l’ammontare del danno".

Nell’accertare "incidenter tantum" la nullità del contratto di compravendita del 26/1/1999, attesa la "incontrovertibilmente provata… illegittima trasformazione edificatoria e il cambiamento della destinazione della p.f. (omissis) per scopi produttivi, contrastanti con la destinazione impressa dal piano urbanistico a verde agricolo e bosco"; e nel ritenere che "Detti trasformazione e cambiamento urbanistico illegittimi integrano gli estremi del reato p. e p. dal combinato disposto della L. n. 4 del 1985, artt. 18 e 20, (ora il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 30)" concernente la "cosiddetta lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio, in particolare della lottizzazione materiale"; ancora, nel confermare la "validità del contratto di locazione", facendo richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità per il quale "l’abusività di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione (vedasi Cassazione n. 4228/1999; Cassazione n. 2034/1985)", il giudice dell’appello ha del pari confermato il rigetto della pretesa risarcito-ria per violazione del diritto di prelazione, emesso dal giudice di prime cure, tuttavia diversamente da quest’ultimo argomentando che attesa la nullità del contratto di compravendita "lo stesso non poteva ledere il diritto di prelazione pattuito nel contratto di locazione" de quo.

Orbene, contrariamente a quanto dalla corte di merito affermato nell’impugnata sentenza, va invero escluso che il contratto di locazione e lo stipulato patto accessorio di prelazione possano considerarsi nel caso validamente stipulati.

Se da un canto i beni appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici non economici sono vincolati al soddisfacimento di finalità pubbliche, per altro verso i vincoli di destinazione (come nella specie a verde agricolo e boschivi, ma anche quelli ad esempio idrogeologici o paesaggistici) dei fondi a determinate finalità costituiscono invero un limite alla proprietà terriera privata conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale sfruttamento del suolo (da intendersi – come sottolineato anche in dottrina – nel senso di ottimale utilizzazione agricola o di salvaguardia del territorio) e alla promozione di equi rapporti sociali (art. 44 Cost.), in ciò sostanziandosi la relativa funzionalizzazione (art. 42 Cost.).

Orbene, diversamente dall’assunto rinvenentesi nell’impugnata sentenza secondo cui l’abusività urbanistica di immobili assume rilievo solamente nei rapporti tra privato e P.A., va affermato che i vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche (tali essendo quelle poste sia da leggi speciali che da regolamenti edilizi comunali e da piani regolatori, le cui prescrizioni come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare hanno natura normativa: v., con particolare riferimento alle prescrizioni imponenti vincoli di destinazione sulla proprietà privata, Cass., 7/10/1986, n. 5908, nonchè Cass., 5/2/1993, n. 1469; Cass., 19/1/2001, n. 793; Cass., 2/8/2001, n. 10561; Cass., 16/9/2004, n. 18653; Cass., 2/3/2007, n. 4971) rilevano invero anche sul piano dei rapporti privatistici della vita comune di relazione, incidendo sul contenuto del diritto di proprietà, sugli atti di disposizione del bene e sulla responsabilità extracontrattuale.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno d’altro canto avuto modo di precisare (in particolare con riferimento alla L. n. 675 del 1967. art. 18) che la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa ed inderogabile, non soltanto nei rapporti tra P.A. e privato (v., con riferimento ai vincoli idrogeologici, Cass., Sez. Un., 17/6/1996, n. 5520) ma anche nei rapporti tra privati (v. Cass., Sez. Un., 17/12/1984, n. 6600. V. altresì Cass., 17/12/1993, n. 12495, e, in tema di locazioni, Cass., 4/2/1992, n. 1155. Contra v. peraltro Cass., 22/3/2004, n. 5672; Cass., 20/3/1985, n. 2034. V. anche Cass., 15/12/2003, n. 19190, e, in tema di locazioni, Cass., 17/12/1985, n. 7412).

Ponendo un vincolo pubblicistico di destinazione, la norma urbanistica non può allora subire deroga (neanche) mediante atti privati di disposizione degli spazi dalla stessa presi in considerazione (v., in tema di destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi, con riferimento al contratto di locazione, Cass., 21/7/2007, n. 16172; Cass., 3/10/2005, n. 19308; Cass., 25/2/1992, n. 2337).

Si è in tale ottica anche in dottrina sostenuto che le disposizioni urbanistiche riverberano al riguardo sotto plurimi profili, e in particolare sul piano della qualità e della regolarità giuridica dei beni.

Se la mancanza di qualità dovuta o promessa dei beni ridonda in termini di inadempimento, legittimando il ricorso ai relativi rimedi (cfr., in tema di locazioni, Cass., 11/4/2006, n. 8409), l’irregolarità giuridica dei beni da viceversa luogo a nullità del contratto per violazione di norme imperative (v. Cass., Sez. Un., 17/12/1984, n. 6600).

Nullità che prescinde invero, come anche in dottrina sostenuto, dalla buona fede dell’avente causa, operando pure laddove l’acquirente sia stato avvertito della irregolarità del bene o l’alienante abbia declinato ogni sua responsabilità (v. Cass., 3/5/1996, n. 4070).

Nè può per altro verso riconoscersi pregio all’assunto – dalla Corte di merito pure posto a base dell’adottato provvedimento, con rigetto dell’eccezione di nullità formulato in sede di gravame di merito dalla L. -, secondo cui "l’abusività urbanistica di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione", attesa la mancanza di una "sanzione di nullità prevista dalla legge, corrispondente a quella di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18)".

Premesso che al riguardo gli stessi odierni ricorrenti sottolineano come la corte di merito abbia "giustamente" escluso la configurabilità nel caso di un’"ipotesi di nullità direttamente riferibile alla L. n. 47 del 1985, art. 18", sicchè non è nella specie questione di interpretazione e diretta applicazione di tale norma di per sè considerata; ed osservato d’altro canto che, come anche in dottrina sostenuto, la nullità sostanziale deve invero propriamente ritenersi colpire anche il contratto preliminare, sostanziandosi esso nell’impegno alla stipulazione di un contratto illecito a fortiori laddove, secondo varie tesi dottrinarie invero non accolte da questa Corte (v. Cass., 25/1/2008, n. 1740; Cass., Sez. Un., 27/3/2008, n. 7930; Cass., Sez. Un., 5/3/1996, n. 1731) il contratto preliminare venga diversamente inteso come fonte delle attribuzioni patrimoniali finali; premesso, ancora, che in ragione della stretta inerenza del godimento all’effettiva utilizzazione dell’immobile la locazione si traduce invero in un limite a carico della proprietà (edilizia e fondiaria), costituendone una normale forma di godimento, va in proposito posto in adeguato rilievo che gli interessi pubblici, oggetto di specifica tutela in materia, sono come detto indisponibili da parte dei privati.

Deve allora escludersi che il godimento dei fondi contrattualmente attribuito e posto in essere possa ricevere una differente considerazione a seconda che esso corrisponda all’esercizio di un diritto di natura reale ovvero come nella specie meramente obbligatoria.

Non può ritenersi infatti concesso ai privati di vanificare gli interessi pubblicistici tutelati mediante l’adozione di schemi negoziali comunque idonei ad attuare un godimento in concreto corrispondente alla destinazione vietata.

Decisivo rilievo assume al riguardo la considerazione della causa concreta dei negozi posti in essere dai privati giacchè, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, essa si sostanzia nello scopo pratico dalle parti perseguito con la relativa adozione. Nell’interesse che l’operazione contrattuale è cioè propriamente diretta a soddisfare (cfr. Cass., 8/5/2006, n. 10490).

Orbene, ove l’interesse al godimento da parte dell’utilizzatore della cosa secondo una destinazione sostanziantesi proprio in quella normativamente vietata come nella specie risulti obiettivata nell’accordo contrattuale, a tale stregua risultando inconfigurabile la figura del mero motivo, che quale mero impulso psichico alla stipulazione attiene ad interessi rimasti nella sfera volitiva interna della parte conseguentemente esulando dal contenuto del contratto, esso viene appunto a designare lo scopo pratico che il contratto è funzionalizzato a realizzare (v. Cass., 27/7/2006, n. 17145. V. anche Cass., 25/5/2007, n. 12235).

A tale stregua, esso assurge allora a causa del contratto, a giustificazione dell’operazione contrattuale nel suo complesso, valendo a qualificare l’accordo e a determinare la essenzialità di tutte le attività ed i servizi che assumono decisivo rilievo ai fini del relativo soddisfacimento.

Elemento causale nel quale viene invero a sostanziarsi, conseguentemente assumendone la relativa rilevanza, anche il motivo unico e comune ad entrambe le parti (in ordine al quale v. Cass., Sez. Un., 25/10/1993, n. 10603) laddove risulti obiettivato nell’accordo (v. Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 27/7/2006, n. 17145).

Orbene, si è già più sopra indicato come sia nel caso rimasto dai giudici di merito accertato che mediante la stipulata locazione le parti hanno nella specie entrambe perseguito l’intento di asservire i fondi de quibus a "deposito di materiali edili", e che sin dal 1980 il relativo godimento si è in effetti estrinsecato secondo modalità attuative di tale convenuta destinazione.

Destinazione contrastante tuttavia con quella urbanistica a "verde agricolo e bosco" assegnata all’area nel cui ambito gli stessi ricadono, non potendo al riguardo invero prescindersi dalla considerazione che così come quello corrispondente ad un diritto reale anche il godimento del bene trovante fonte in un diritto personale è invero idoneo ad integrare lo sfruttamento del bene secondo la destinazione del medesimo normativamente vietata.

Emerge allora evidente il contrasto dello scopo pratico dalle parti nel caso perseguito (non già con il disposto della L. n. 47 del 1985, art. 18, la cui diretta applicazione non viene invero per i profili in argomento in considerazione, bensì) con i viceversa inderogabili (anche dai privati) vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche locali.

Contrasto che alla stregua di quanto sopra esposto ridonda in termini di nullità della locazione in argomento (e conseguentemente dell’accessorio patto di prelazione), che in quanto volta a realizzare un godimento del bene corrispondente al risultato vietato dall’ordinamento non solo persegue un interesse non meritevole di tutela ma si risolve addirittura in termini di dannosità sociale.

Atteso che il risultato vietato non risulta nella specie perseguito attraverso la combinazione di atti di per sè leciti (v. Cass., 11/4/2006, n. 8410) ma mediante la stipulazione di contratto la cui causa concreta si pone direttamente in contrasto con le disposizioni urbanistiche, e in particolare con i vincoli di destinazione posti dal locale piano regolatore, la nullità del contratto di locazione in argomento discende allora non già – come invero pure prospettato dai ricorrenti – alla stregua della frode alla legge di cui all’art. 1344 c.c., (v. Cass., 30/5/2005, n. 11372; Cass., 29/5/2003, n. 8600), bensì ai sensi dell’art. 1343 c.c., in ragione della diretta violazione di norme imperative che esso vale ad integrare.

L’assunto della corte di merito secondo cui "l’abusività urbanistica di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione" (in ordine al quale vengono richiamati precedenti di questa Corte ove si è posto il principio secondo cui la validità ed operatività inter partes di un contratto di locazione di immobile nonchè il suo assoggettamento alla normale disciplina privatistica non restano esclusi per il fatto che il bene risulti abusivamente realizzato dal locatore su terreno demaniale, e non possa quindi considerarsi di proprietà del locatore medesimo, trattandosi di circostanza rilevante solo al diverso fine dell’eventuale responsabilità dell’autore dell’opera verso la p.a., nonchè della facoltà di questa, non pregiudicata dal suddetto contratto, di avvalersi dei propri poteri a tutela del demanio: v. Cass., Sez. Un., 20/3/1985, n, 2034, e, da ultimo, Cass., 22/3/2004, n. 5672. V. anche Cass., 15/12/2003, n. 19190), alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto non può trovare allora (quantomeno ulteriormente) avallo e conferma.

Vale infine altresì sottolineare che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, con riferimento invero alla prelazione legale (agraria) ma in termini a fortiori riferibili all’ipotesi di prelazione come nella specie convenzionale, la prelazione in ogni caso non opera per i terreni adibiti a destinazione diversa da quella prevista da piani regolatori (anche se non approvati) o da leggi statali o regionali (v., con riferimento alla destinazione agricola, Cass., 23/6/1999, n. 6401).

Con unico motivo la ricorrente in via incidentale società Marobau OHG di Marsoner ************* deduce che "nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso principale" e di "conseguente cassazione della sentenza per quanto riguarda la dichiarazione di nullità dell’atto di compravendita", "l’intera vertenza dovrebbe essere rimessa al Giudice di rinvio", il quale dovrà nuovamente decidere su tutte le domande introdotte con atto di appello, compresa la domanda di risarcimento danni ingiustamente rigettata dal Giudice di primo grado.

Il motivo è per plurimi profili inammissibile.

L’assoluta incomprensibilità della riportata censura denota il mancato soddisfacimento del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (v. Cass., 17/5/2006, n. 11501), ancor prima della relativa formulazione in violazione del sopra richiamato principio di autosufficienza.

L’accoglimento del 3 motivo del ricorso principale comporta la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con conseguente rinvio alla Corte d’Appello di Trento, che in diversa composizione procederà ad un nuovo esame facendo dei suesposti principi applicazione.

Il giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il 1^ ed il 2^ motivo del ricorso principale. Accoglie il 3^ motivo.

Rigetta il ricorso incidentale. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Trento, in diversa composizione.

Redazione