Corte di Cassazione Civile sez. III 5/5/2009 n. 10284; Pres. Preden R.

Redazione 05/05/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società **************** ed altre pignoravano, per la soddisfazione coattiva del loro diritto al rimborso della cd. tassa sulle società per il cui pagamento la P.A. era stata condannata – L. 2.302.112.000, oltre accessori – ai sensi degli artt. 543 e segg. cod. proc. civ. i crediti che la Banca Popolare dell’Emilia Romagna doveva riversare all’Ufficio Provinciale dell’IVA essendo stata delegata dai contribuenti a versare detta imposta.

Il Ministero delle Finanze, a cui era stato notificato il pignoramento il 19 aprile 2001, si opponeva deducendo l’impignorabilità delle somme in quanto derivanti dall’esercizio del potere di imposizione tributaria, con obbligo dell’istituto bancario delegato di trasferimento all’ente impositore.

Il Tribunale di Modena rigettava l’opposizione.

Con sentenza del 16 gennaio 2004 la Corte di appello di Bologna rigettava l’appello affermando che la natura pubblicistica delle somme riscosse dalle banche per conto dello Stato non le rende impignorabili da parte del creditore della P.A. non avendo già ricevuto, per legge o provvedimento amministrativo, destinazione concreta ad un pubblico servizio, ossia ad un’ attività indirizzata all’attuazione di una funzione istituzionale della P.A., nel qual caso soltanto essendo indisponibili per effetto dell’art. 828 c.c..

Ed infatti, pur se con la consegna dei ruoli i crediti non si trasferiscono dall’ente impositore all’esattore, tuttavia, poichè gli importi riscossi rimangono custoditi dall’istituto di credito che, anche dopo la riscossione e il versamento sul conto della tesoreria, continua a doverli custodire e a doverne dare il conto, ciò significa che non sono disponibili da parte dell’ente impositore e perciò sono pignorabili presso terzi. Tale soggezione al pignoramento non è impedita neppure dall’iscrizione nel bilancio preventivo dell’ente se le entrate non sono già vincolate a specifiche destinazioni, come invece ad esempio per i contributi e proventi destinati alla realizzazione di opere di urbanizzazione ai sensi della L. n. 10 del 1977, art. 12. La conferma dell’esattezza di tale tesi è che il D.L. n. 48 del 1995 e D.L. n. 132 del 1995 (art. 5) che prevedevano l’impignorabilità delle somme derivate da tributi e detenute da banche concessionarie del servizio di riscossione, da uffici postali, sezioni di tesoreria provinciale dello Stato e uffici finanziari non sono stati convertiti in legge in quanto le pretese tributarie che si concretizzano in somme di danaro a mani del comune o della banca incaricata della riscossione non giustificano la differenza tra la somma di danaro frutto di imposta o tassa e quella frutto di compravendita o locazione a meno che, come per i contributi di urbanizzazione, abbia una destinazione pubblicistica ed infatti in questo caso la legge ne ha previsto il versamento su cc vincolato (L. n. 10 del 1977, art. 12). Inoltre tra le spese obbligatorie dell’ente impositore da iscrivere in bilancio vi sono quelle destinate all’esecuzione dei giudicati ed è così superabile l’affermazione secondo la quale le entrate tributarie sono vincolate alle destinazioni previste in bilancio; e mentre i beni necessari per l’espletamento di funzioni pubbliche sono chiaramente individuabili, il danaro non assume forma o aspetto diverso a seconda che debba soddisfare o meno spese iscritte in bilancio, a meno che una legge o un provvedimento amministrativo ne determinino l’univoca destinazione ad un servizio pubblico (art. 828 c.c., comma 2). Viceversa, come anche affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 138 del 1981, l’art. 828 c.c., u.c. e art. 514 c.p.c., n. 5 non comportano il principio dell’inespropriabilità del danaro e dei crediti dello Stato o degli enti pubblici poichè la posizione della P.A. è analoga a quella di ogni altro debitore e l’iscrizione in bilancio in sè, non essendo idonea costituire un vincolo in senso tecnico, è inidonea a paralizzare l’azione esecutiva del cittadino.

Ricorre per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze cui resistono la s.p.a. **************** d’Arte ed altre società, che propongono altresì ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I ricorsi devono esser riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

Devono essere esaminati pregiudizialmente il rilievo di inammissibilità del ricorso principale formulato dalle controricorrenti ed il ricorso incidentale condizionato proposto dalle stesse per non avere i giudici di appello dichiarato inammissibile il gravame del Ministero dell’Economia e delle Finanze per carenza di interesse del medesimo poichè, a decorrere dal primo gennaio 2001, ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 57 e ss., l’Agenzia delle Entrate, divenuta titolare di tutti i rapporti sostanziali tributari, è subentrata al Ministero delle Finanze nell’obbligo di rimborsare la tassa sulla società a favore delle odierne resistenti e controricorrenti a cui il Ministero delle Finanze era stato condannato dalla sentenza del Tribunale di Roma, e sia poichè dalla medesima data la predetta agenzia, per effetto del D.M. 28 dicembre 2000, art. 3, comma 1, lett. c), è subentrata nel rapporto con le aziende di credito delegate alla riscossione dei tributi, terze presso le quali le società creditrici avevano proceduto al pignoramento dei crediti tributar (IVA). Queste circostanze sono state evidenziate dallo stesso Ministero nel giudizio di primo grado, ma sono state ritenute tardive dal Tribunale di Modena perchè non formulate nell’atto di opposizione.

1.2- Il rilievo e il ricorso incidentale condizionato vanno respinti.

Ed infatti il limite alla rilevabilità d’ufficio della questione della legitimatio ad causam in ogni stato e grado del processo, poichè attinente alla regolare instaurazione del contraddittorio, è costituito dal giudicato che nella specie si è esplicitamente formato allorchè, dopo la pronuncia del giudice di primo grado – sentenza del Tribunale di Modena del 28 maggio 2002 – che ha dichiarato inammissibile il relativo rilievo perchè il Ministero delle Finanze lo aveva sollevato tardivamente, non avendolo proposto nell’atto di opposizione all’esecuzione, la statuizione non è stata censurata in secondo grado, con la conseguenza che era preclusa ai giudici di appello, ed ora a questa Corte, la rilevabilità d’ufficio della questione.

1.3 – Rilevano subordinatamente le ricorrenti incidentali la necessità di integrare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. nei confronti delle società che non hanno eletto domicilio presso l’avv. **************.

Il rilievo è infondato.

Ed infatti quanto alle s.p.a. Gruppo Elba, ***********, *************** e ********, il ricorso principale del Ministero è stato validamente notificato presso il domicilio dell’avv. ******, poichè risulta dalla comparsa di risposta in appello che le stesse sono state incorporate o hanno mutato denominazione in società che si sono costituite eleggendo tale domicilio (cioè la Gruppo C.B.S. ha incorporato la s.p.a. Gruppo Elba; la *********** ha cambiato la denominazione in Biztiles; la Kabaca ha incorporato la Ceramite; la Afin ha incorporato la Eurofinanziaria); quanto invece alla notifica del ricorso principale presso il medesimo avv. ****** alla s.p.a.

Cedit e alle s.r.l. Megaron, Alce e Viva – che peraltro all’atto del pignoramento presso terzi avevano eletto domicilio presso l’avv. *******************, (che a sua volta con la comparsa di risposta in appello aveva eletto domicilio presso l’avv. ******) – non sussiste alcun litisconsorzio necessario con le predette società perchè l’unità del processo in cui sono confluiti più pignoramenti (art. 493 c.p.c., commi 1 e 2) non altera nè incide sull’individualità di ciascuno di detti atti esecutivi che permangono indipendenti l’uno dagli altri (art. 493 c.p.c., u.c.) e perciò le vicende processuali di ciascun creditore pignoratizio non interferiscono con quelle degli altri.

2.- Con il primo motivo il ricorrente principale deduce: "Violazione e falsa applicazione degli artt. 828 e 1264 c.c. e art. 543 c.p.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

La Corte di merito ha applicato il noto principio sul danaro contante a disposizione della P.A. presso il suo servizio di Tesoreria, ma nella fattispecie il pignoramento non è diretto, bensì presso le banche delegate a ricevere i versamenti periodici dell’IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38, che devono versare entro cinque giorni in tesoreria, e quindi sono crediti di imposta, tant’è che il versamento è effettuato per conto del contribuente. Ammettere la relativa pignorabilità è come ammetterla per i crediti tributari presso i contribuenti. Invece detti crediti sono impignorabili in quanto avendo ad oggetto entrate dell’amministrazione finanziaria realizzate nell’esercizio del potere di imposizione tributaria e riscosse dall’istituto delegato nell’esercizio del potere concessogli dall’ente impositore, sono impignorabili ed insuscettibili di compensazione ai sensi dell’art. 1246 c.c., n. 4, anche quando sono giacenti presso lo stesso, ed anche se siano pignorati per estinzione di debiti dell’ente pubblico, restando anche in tal caso la discrezionalità dell’ente sulla precedenza dell’adempimento, mentre il privato non ha azione esecutiva ed il G.O. non ha giurisdizione.

Infatti per principio detti crediti sono destinati a provvedere l’ente pubblico dei mezzi necessari per adempiere ai propri compiti istituzionali, sia che tale vincolo sussista in forza di legge o atto amministrativo emesso nell’esercizio di una pubblica potestà – entrate tributarie e sovvenzioni regionali in favore del Comune – sia se successivamente imposto su entrate originariamente di natura privatistica, e questo è il presupposto del relativo potere di riscossione.

2.1- Con il secondo motivo il Ministero deduce la nullità del pignoramento avvenuto presso la banca, non qualificabile come terzo debitore perchè detentrice di somme dei contribuenti deleganti, debitori dell’IVA, aggiungendo che per effetto di una delegazione di pagamento non ancora eseguita le somme non sono entrate nella disponibilità dell’Ente impositore.

I motivi, connessi, sono fondati nei limiti di seguito esposti.

2.2- Vanno innanzi riaffermati i principi secondo i quali a seguito della sentenza di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di una somma di denaro, pronunciata dal giudice ordinario o dal giudice amministrativo o tributario, il concreto versamento della somma medesima integra un atto dovuto, rispetto al quale la P.A. debitrice manca di potere discrezionale, in relazione agli interessi pubblici da essa perseguiti. Pertanto, in caso di inerzia dell’amministrazione, deve ritenersi che la situazione del creditore ha natura e consistenza di diritto soggettivo, azionabile dinanzi al giudice ordinario con l’esecuzione forzata per espropriazione, secondo le norme del codice di rito – ovvero instaurando il giudizio di ottemperanza a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 se il diritto al rimborso del tributo è stato riconosciuto, come nella specie, con sentenza passata in giudicato (Cass. 358/2004) – con l’ulteriore conseguenza che l’ostacolo rappresentato dalla natura del bene appartenente alla amministrazione stessa colpito con l’azione esecutiva, non incide sulla giurisdizione del giudice ordinario, ma da luogo ad una questione di pignorabilità del bene, rilevante solo sul merito dell’opposizione della amministrazione stessa, diretta a contestare l’espropriabilità delle cose staggite (S.U. 740/1999).

Pertanto i diversi rilievi al riguardo espressi nel primo motivo di ricorso vanno respinti.

2.3- Fondate invece sono le censure sull’impignorabilità delle somme versate dai contribuenti mediante delega ad un’ azienda di credito, obbligata ex lege a svolgere il relativo servizio, se avente i requisiti legalmente richiesti (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38, S.U. 8409/2008).

Dispone infatti la L. n. 751 del 1976, art. 12: "I pagamenti di imposta sul valore aggiunto .. devono effettuarsi mediante delega del contribuente ad una delle aziende di credito dell’art. 54 del regolamento per la amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (comma 1) e successive modificazioni.

L’azienda delegata deve rilasciare al contribuente documento attestante: a) la data in cui ha ricevuto l’ordine di pagamento e l’importo di questo; b) l’impegno ad effettuare il pagamento all’ufficio della imposta sul valore aggiunto per conto del contribuente entro il quinto giorno successivo. La delega all’azienda di credito per il pagamento dell’imposta è irrevocabile ed ha effetto liberatorio per il delegante, (secondo comma).

Con decreto del Ministro per le Finanze di concerto con il Ministro per il Tesoro sono stabiliti le caratteristiche del documento da rilasciare al contribuente dalla azienda di credito delegata, i dati che devono essere contenuti nello stesso documento, le modalità per il rilascio del documento medesimo, per il pagamento dell’imposta, per la trasmissione dei dati e documenti all’amministrazione e per i relativi controlli. (comma 3).

L’azienda di credito che non versa all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto, nel termine previsto, l’imposta al cui pagamento è stata delegata deve corrispondere una penale, per ogni giorno di ritardo". (comma 5).

Da queste disposizioni emerge che il legislatore, nel disciplinare il versamento diretto dell’IVA tramite azienda di credito, alternativo al sistema di riscossione affidato al concessionario del relativo servizio (L. n. 657 del 1986, art. 1, comma 1, lett. b) e D.P.R. n. 43 del 1988, art. 2, comma 1, lett. b)) ha mantenuto la qualifica originaria di imposta all’obbligazione della delegata di riversamento all’ufficio finanziario; ha disciplinato con normativa primaria e secondaria ogni fase del riversamento (L. n. 751 del 1976, cit., L. n. 657 del 1986 cit., D.M. 22 aprile 1989, D.M. 22 novembre 1991, D.M. 25 settembre 1995 e D.M. 16 ottobre 1996); ha assoggettato a sanzione penale l’azienda delegata che non lo effettui nel termine inderogabile di cinque giorni. Tale regolamentazione procedimentale pone l’amministrazione pubblica in una posizione di supremazia nei confronti dell’azienda a tutela del potere pubblico impositivo e nell’interesse dell’Erario alla pronta e sicura esazione delle entrate tributarie – appartenenti in definitiva all’intera collettività nazionale (Corte Costituzionale 209/1988) – e rivela la persistenza di tale potere, che la pubblica amministrazione esercita avvalendosi del servizio bancario, senza che la delega per espletarlo, strumentale alla riscossione del tributo, possa interferire su di esso, che si espleta fino all’adempimento dell’obbligo del riversamento, sanzionato proprio per assicurare allo Stato il perseguimento delle finalità pubbliche a cui fin dall’origine i tributi sono destinati e che costituiscono il presupposto e la ragion d’essere in forza del quale sono imposti (art. 53 Cost., S.U. 2863/1971, 1464/1979).

Quindi, ribadita la natura pubblica dell’obbligazione dell’istituto di credito nei confronti della P.A. (S.U. 5303/1995, Cass. 7443/1996, 6311/1998, 15110/2006) fino alla completa realizzazione dell’adempimento della delega mediante il riversamento del tributo per conto dell’ufficio IVA, e perciò in funzione vicaria di esso, (D.M. settembre 1995, art. 3, comma 3 e art. 4, comma 2, richiamato dal D.M. del 1996), va riaffermata altresì l’impignorabilità dei crediti che lo Stato vanta nei confronti delle banche delegate dai contribuenti al pagamento delle imposte gravanti su di essi (S.U. 4071/1979, 493/2003) per la persistenza dell’indisponibilità originaria del credito derivante dalla sua natura di tributo, non modificata dalla circostanza che l’Erario lo riscuote tramite servizio bancario.

Pertanto il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per riesame di merito alla luce del principio di diritto secondo cui la regola generale dell’assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore (artt. 2740 e 2910 cod. civ.) subisce, per quanto attiene gli enti pubblici, una limitazione in dipendenza della natura dei beni appartenenti agli enti stessi, essendo espropriabili solo i beni disponibili e non quelli di origine pubblicistica e destinati per legge ad uno specifico scopo pubblico.

Perciò per la realizzazione di crediti di terzi verso l’amministrazione pubblica, non possono essere pignorati, presso le banche delegate alla riscossione dei tributi, i corrispondenti crediti dell’ente pubblico, anche se, per effetto del versamento, sia esaurito il rapporto tributario fra l’ente e il contribuente.

Il giudice di rinvio provvedere altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso incidentale ed accoglie il ricorso principale, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Bologna, altra sezione.

Redazione