Corte di Cassazione Civile sez. III 30/9/2008 n. 24331; Pres. Preden R.

Redazione 30/09/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Lo svolgimento del processo è esposto come segue nella sentenza della Corte d’Appello:

"La vicenda processuale di primo grado è così esposta nella sentenza impugnata: Con atto del 4.7.1989, P.G., nato a (omissis) il (omissis), in proprio ed n.q. di genitore esercente la potestà sulla figlia minore P.R., nata a Cosenza il 24.4.72, evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Paola, la Fondiaria Assicurazioni Spa e L.V. per sentirli condannare in solido al risarcimento di tutti i danni subiti in proprio e n.q. a seguito di sinistro verificatosi in (omissis), loc. (omissis), la sera del 28.7.85, da quantificarsi in L. 300.000.000 o nella diversa somma determinando dal Tribunale, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal sinistro al soddisfo ed alle spese e competenze del procedimento.

Assumeva l’attore che il 28.7.85, in (omissis), loc. (omissis), sulla strada fiancheggiata da villaggi residenziali e costituente centro abitato, L.V., mentre trovavasi alla guida dell’autovettura Fiat 127 tg. (omissis), a forte velocità e con una condotta negligente ed imprudente, vieppiù al cospetto dell’ora notturna, delle condizioni ambientali e della presenza sulla strada di un gruppo di giovani che procedevano a piedi, in evidente violazione del disposto dell’art. 102 C.d.S. e di ogni più elementare regola di prudenza, diligenza, e con imperizia, "falcidiava" detti pedoni e tre di essi che non avevano la possibilità di scansarsi perchè trovavansì all’altezza della spalletta di un ponticello, venivano violentemente investiti dall’autoveicolo condotto dal L..

Tra questi la minore P.R. che veniva scaraventata fuori strada, nel sottostante letto del piccolo torrente, cosparso di pietre.

La P. riportava le seguenti gravissime lesioni: – stato di coma da trauma cranico, otorragia sn, trauma toracoaddominale, vasta ferita gamba e coscia dx.

Risulta dagli atti di causa che la stessa, ricoverata presso la Clinica (omissis), veniva sottoposta a rianimazione (con terapia antishock) sutura (approssimativa) delle ferite alla gamba e coscia dx, ed una immobilizzazione provvisoria all’arto.

Quindi il 29.7.1985, alle prime luci dell’alba, la P. veniva trasferita in elicottero, presso il centro di rianimazione dell’Ospedale (omissis) di (omissis) dove, come comprovato dalla cartella clinica e dagli accertamenti specialistici e strumentali eseguiti, venivano evidenziati: – 1) – vistosa tumefazione orbitozigotimatica dx con ematoma palpebrale senza lesioni oculobulbari; – 2) ematoma sub-galeale parietale dx; – 3) otorragia AU/SIN con perforazione della membrana del timpano; – 4) pneumotorace sn con collasso totale del polmone senza lesioni fratturative costali, – 5) vasta ferita lacero-contusa con perdita di sostanza alla fascia mediale della coscia e gamba dx a livello del ginocchio; – 6) altra ferita lacero-contusa, con perdita di sostanza, di forma circolare del diametro di circa e cm alla regione tuberositaria anteriore alla tibia della gamba dx; – 7) la Tac cronico-encefalica evidenziava: a) quarto ventricolo non bene apprezzabile; b) sistema ventricolare sopratentoriale in sede e di volume nei limiti della norma; c) appena apprezzabili gli spazi liquorali pericerebrali vasali, assenza di definite alterazioni disintometriche parenchimali; d) in FCP, dopo somministrazione di m.d.c., non si apprezzano impregnazioni abnormi;

e) vasto ematoma sub-galeale in regione fronto-temporo parietale dx;

f) tenue iperdensità di tipo ematico sembra apprezzarsi a livello delle cellule etmoidali e del seno sferoidale nonchè del seno mascellare dx; 8) l’esame neurologico evidenzia uno stato di coma di primo-secondo grado, pupille isocoriche normoreagenti alla luce, edema palpebrale OD, assenza di deficit focali.

Pertanto presso tale Unità sanitaria venivano prestate, in regime di terapia intensiva, le cure finalizzate alla rimozione della stato di shock traumatico, alla risoluzione dello stato commotivo cerebrale per trauma confusivo cranio-encefalico, alla detenzione del PNX – traumatico sn. mediante drenaggio negativo, alla terapia, mediante camera iperbarica, della iniziale gangrena gassosa dell’arto inferiore dx ove si era riscontrata una vasta mortificazione delle parti molli oltre che una vasta perdita di sostanza. In data 10.8.85 veniva rilevata altresì una lesione del facciale dx e in data 16.8.85 la P. veniva sottoposta, in anestesia generale, ad intervento di chirurgia ricostruttiva mediante trapianto dermoepidermico con prelievo della faccia anteriore della coscia sn. seguendo quindi numerose medicazioni e controlli clinico-strumentali delle condizioni generali, fino alla dimissione avvenuta in data 19.9.85.

Dalla documentazione in atti risulta che, dopo la dimissione, la P. veniva sottoposta a varie medicazioni delle ferite e a ripetuti E.E.G. eseguiti in data 10.12.1985, 10.1.1986, 10.5.1986, 24.6.1986, con diagnosi di una attività elettrica cerebrale di tipo "irritativo" nonostante le cure mediche eseguite continuamente e benchè fossero trascorsi, all’ultimo controllo, ben undici mesi dal trauma.

Riferisce ancora parte attrice che la P. presentava ancora crisi di cefalea a varia localizzazione e frequenza, deficit attentivi e della memoria, momentanei squilibri con vacillazione degli arti inferiori come la perdita dell’equilibrio.

Avvertiva la grave menomazione estetica del viso, della coscia, e della gamba destra e della coscia sinistra che avevano causato nella medesima una psicosi da deturpazione con atteggiamento ansioso.

Assumeva facile stancabilità con insorgenza di tumefazione delle parti molli alla gamba e collo del piede dx che la costringevano all’uso di un gambaletto elastico.

Guarita clinicamente dalle lesioni traumatiche derivate dal sinistro, la P. aveva subito, pertanto, come accertati anche per perizia medica, i seguenti danni:

un periodo di invalidità temporanea totale di gg. 80, rappresentati da 52 giorni da ricovero ospedaliere e 28 gg. di cure cliniche e chirurgico-ambulatoriali oltre riposo assoluto nel proprio domicilio, un secondo periodo di gg. 40 di invalidità temporanea parziale per il ripristino delle capacità autonome alla deambulazione, considerando la sua età giovanissima.

Chiedeva, l’attore (che all’epoca agiva in proprio e quale genitore esercente sull’allora minore ******) una provvisionale di almeno L. 200.000.000, istanza contenuta nell’atto introduttivo del giudizio.

Si costituivano in giudizio La Fondiaria Assicurazioni Spa e L. V., chiedendo, la prima, la chiamata in giudizio del proprietario dell’autoveicolo investitore, contestano la responsabilità del conducente dell’autoveicolo nonchè il quantum risarei torio da ridimensionarsi alla stregua dell’esito di disponendo consulenza medico-legale, opponendosi, inoltre, alla richiesta di provvisionale in quanto non prevista per danni morali ed in ogni caso da ridursi in maniera rilevante.

Invece, il conducente dell’autoveicolo investitore contestava la domanda attrice e chiedeva in via riconvenzionale porsi il pagamento di qualunque somma da corrispondersi alla parte attrice esclusivamente a carico della ******à assicuratrice per responsabilità esclusiva della stessa nella promozione del giudizio e nel protrarsi della lite, non avendo la medesima effettuato i pagamenti dovuti nei termini idonei.

Instaurato il contraddittorio nei confronti della ******à assicuratrice e del conducente dell’autoveicolo, all’udienza del 15.12.1989, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario dell’autovettura investitrice, L. F..

A tanto provvedeva l’attore con atto del 20/22.12.1989. All’udienza del 23.11.90 si costituiva in giudizio anche il L.F. opponendosi alla domanda attrice e, sulla richiesta di provvisionale formulata dalla stessa parte, il G.I., con ordinanza dell’8.1.91, ritenendo sussistenti i gravi elementi di colpa attribuibili al conducente dell’autovettura Fiat 127 tg. (omissis), come evincibili dal rapporto giudiziario dei Carabinieri di ************** del 17.10.85, dalle testimonianza raccolte dai verbalizzanti e dalla ricostruzione della dinamica del sinistro offerta dal CTU del procedimento penale, accoglieva la richiesta di provvisionale ed assegnava, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 24, in favore di P.R., la somma di L. 90.000.000 ponendola a carico solidale di tutti i convenuti.

All’udienza del 19.4.91, su richiesta di parte attrice veniva disposta CTU medico-legale nominandosi, quale tecnico, il ********** da S..

All’udienza del 6.3.92 parte attrice produceva documentazione comprovante le spese sostenute da essa.

Veniva espletata la CTU con la quale venivano riconosciuti alla P. una invalidità totale temporanea di gg. 82 ed una invalidità temporanea parziale di gg. 30 con postumi permanenti quantificati intorno al 36% incluso il danno biologico ed il danno estetico rimettendosi, invece, al giudice la liquidazione dei danni morali, da effettuarsi in via equitativa.

Sempre nel corso della fase istruttoria la Compagnia assicuratrice produceva CT di parte con la quale venivano evidenziate diverse percentuali di invalidità permanente a carico di P.R..

Il processo veniva interrotto per l’intervenuto decesso sia del difensore della Fondiaria e sia del difensore dell’attore, per cui con atto del 13.11.97 P.G. e P.R. – divenuta intanto maggiorenne -, proponevano ricorso per riassunzione del giudizio interrotto.

A seguito di tale riassunzione si costituiva La Fondiaria Assicurazioni Spa insistendo nelle difese già formulate, depositando CT di parte e chiedeva la rinnovazione della CTU, mentre rimanevano contumaci sia L.V. sia L.F..

Veniva prodotta ulteriore documentazione e disposta nuova CTU con i ************ e C. i quali depositavano la loro relazione in data 13.7.2001, mentre parte attrice produceva controdeduzioni tecniche a firma dei Dott.ri V. e D.M..

Ritenuta superflua la richiesta di convocazione dei CTU, veniva fissata l’udienza per la precisazione delle conclusioni, rassegnate le quali, come da verbale del 21.12.2001, la causa stata introitata per la decisione".

Con sentenza del 7/16 maggio 2002, il Tribunale di Paola – Sezione Stralcio – così pronunciava:

"1) in accoglimento della domanda proposta da P.R., condanna tutti i convenuti in solido al pagamento in favore della stessa delle seguenti somme: a) Euro 166.964,51 per danno biologico, per cui detratta la somma di Euro 46,481,12 (provvisionale), in totale Euro 120.483,39, all’attuale, con interessi legali dall’epoca del sinistro e fino alla corresponsione della provvisionale sull’intero e sul residuo dall’epoca del sinistro fino all’effettivo pagamento: b) Euro 166.964,51 per danno morale, con interessi dalla data dell’evento (28.7.85); c) Euro 4.234,95 per I.T.T. con rivalutazione ed interessi dall’evento (28.7.85); Euro 1.084,5 per I.T.P. con rivalutazione ed interessi dall’evento; d) Euro 216.911,90 per danno patrimoniale, con gli interessi dalla domanda; 2) in accoglimento della domanda proposta da P.G. condanna tutti i convenuti in solido al pagamento in suo favore di: a) Euro 20.658,00 per danno patrimoniale, con interessi dalla domanda; b) Euro 83.482,25, con interessi dall’evento, per danno morale; 3) condanna i convenuti in solido al pagamento delle spese e competenze in favore degli attori che si liquidano in complessivi Euro 7.750,00, di cui Euro 150,00 per spese, Euro 1.600,00 per diritti ed Euro 6.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA ed oltre le spese di C.T.U. che pone definitivamente a carico dei convenuti in solido. Esecutività come per legge".

Avverso tale decisione proponeva appello la La Fondiaria Assicurazione Spa, (… omissis …).

Si costituivano in giudizio L.V. e L.F. contestando il gravame proposto dalla La Fondiaria Assicurazioni Spa (… omissis …).

Spiegavano, altresì, appello incidentale (… omissis …).

Si costituivano in giudizio P.R. e P.G. contestando tanto l’appello principale quanto gli appelli incidentali, ex adverso avanzati, dei quali chiedevano il rigetto.

Con ordinanza del 9.12.2002, il Presidente della Sezione, a seguito di ricorso ex art. 351 c.p.c., comma 2, riduceva la sospensione dell’esecutività della sentenza gravata alla somma di Euro 100.000,00, quanto al complessivo credito di P.R., ed a quella di Euro 40.000,00, quanto al complessivo credito di P. G..

All’udienza del 15.6.2004, la causa, sulle conclusioni delle parti, in epigrafe riportate, veniva assegnata a sentenza.

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 11.10.2004 – 24.1.2005, definitivamente pronunciando, decideva come segue:

"… – dichiara l’inammissibilità degli appelli incidentali proposti da L.V. e L.F. nella parte relativa alle domande riconvenzionali proposte in primo grado; – in parziale riforma della sentenza gravata:

a) dichiara l’inammissibilità della domanda avente ad oggetto la condanna ultramassimale dell’assicurazione per colpevole ritardo nell’adempimento della sua obbligazione, avanzata, in primo grado, da P.G., in proprio ed in qualità;

b) condanna della La Fondiaria Assicurazioni Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in solido, con L.V. e L.F. al pagamento a titolo di risarcimento danni, sino alla concorrenza del massimale di polizza, in favore di P. R., – della somma di Euro 111.309,67 (pari a L. 215.525.580), a titolo di danno biologico, per cui detratta la somma di Euro 64.915,21 (provvisionale rivalutata alla data della sentenza di primo grado) in totale Euro 46.394,46, oltre interessi legali, dalla data della sentenza di primo grado al soddisfo, nonchè interessi legali dell’evento sino alla data di pagamento della provvisionale, sulla somma di Euro 111.309,67 devalutata alla data del sinistro ed anno per anno rivalutata sino alla data di pagamento della provvisionale, ed interessi legali sulla somma residua – detratta la provvisionale di Euro 46.481,12 (pari a L. 90.000.000)- anno per anno rivalutata dalla data di pagamento della provvisionale sino alla sentenza di primo grado; – della somma di Euro 56.654,36 (pari a L. 107.762.790), a titolo di danno morale, oltre interessi legali sulla medesima somma, devalutata alla data del sinistro ed anno per anno rivalutata sino alla sentenza di primo grado, dall’evento al soddisfo;

in favore di P.G. – della somma di Euro 10.329,14 (pari a L. 20.000.000) a titolo di danno morale, oltre interessi legali sulla medesima somma, devalutata alla data del sinistro ed annualmente rivaluta sino alla sentenza di primo grado, dall’evento al soddisfo;

– della somma di Euro 4.389,88 (pari a L. 8.500.000) a titolo di danno patrimoniale per gli esborsi sopportati, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo:

c) condanna L.V. e L.F. in solido, al risarcimento degli indicati danni, in favore di P.R. e di P.G. per la parte eccedente il massimale di polizza. d) dichiara che sulla somma determinata in primo grado a titolo di risarcimento del danno per invalidità temporanea non è dovuta la rivalutazione monetaria, trattandosi di somma già attualizzata. e) dichiara l’inammissibilità degli appelli incidentali avanzati da L.V. e L.F. nella parte relativa alle domande riconvenzionali avanzate in primo grado;

f) dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio".

Contro questa decisione hanno proposto ricorso per cassazione (R.G. 7420/06) G. e P.R.; ha resistito con controricorso la FONDIARIA – SAI s.p.a..

Hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale (R.G. 11569/06) V. e L.F.. A detto ricorso incidentale ha resistito con controricorso la FONDIARIA – SAI s.p.a..

G. e P.R. hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi.

I primi due motivi del ricorso principale vanno esaminati insieme in quanto connessi.

Con il primo motivo G. e P.R. denunciano "NULLITA’ DELLA SENTENZA E DEL PROCEDIMENTO ex art. 360 c.p.c., n. 4., (1.11-A) Violazione degli artt. 112, 113, 116, 184 e 345 c.p.c., in relazione alla deduzione del limite del massimale di polizza, ad opera dell’Assicurazione." nonchè "… (1.1.) B.a) Violazione degli artt. 112, 115, 116 e 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta esistenza della prova circa la sussistenza del limite indennitario …" esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. Sebbene l’eccezione relativa al limite del massimale, nel vigore del vecchio rito, applicabile al caso di specie, potesse astrattamente ritenersi ammissibile, anche se sollevata per la prima volta in grado di appello, nello specifico caso in esame a tale eccezione rassicurazione aveva già rinunciato in primo grado, come risulta dalla conclusioni del suo primo atto difensivo e poi dalle successive istanze (tentando soltanto in sede di replica alla conclusionale di farla valere). La stessa eccezione è stata, poi, riproposta in secondo grado come ormai inammissibile domanda di riforma della sentenza del Tribunale. Correttamente, quindi, il Giudice di primo grado ha proceduto alla condanna de La Fondiaria, in solido con i L.S., per l’intero ammontare dei danni rilevando tra l’altro che la Fondiaria non aveva dedotto la eccezione del limite del massimale. In presenza di una pronuncia espressa sul punto ad opera della sentenza di primo grado, l’eccezione riguardante il limite del massimale non poteva essere considerata una eccezione nuova, come tale ammissibile in secondo grado. In ogni caso, in applicazione del principio dell’onere della prova, al fine di circoscrivere la responsabilità dell’Assicurazione, l’esistenza del limite di polizza ed il suo ammontare avrebbero dovuto essere non solo dedotti ma anche provati dalla Compagnia assicuratrice. Non corrisponde al vero che La Fondiaria abbia provato l’esistenza del massimale mediante produzione della relativa polizza. Questa, infatti, non è stata allegata agli atti neanche in grado di appello.

Bisogna, infatti, sottolineare come la polizza prodotta in secondo grado non fosse affatto la polizza stipulata tra il ********** (proprietario dell’autoveicolo investitore) e La Fondiaria all’epoca del sinistro, bensì una polizza precedente, scaduta il 6 gennaio 1984, cioè oltre un anno prima del sinistro di cui è causa, avvenuto il giorno (omissis).

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti principali denunciano "OMESSA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA ex art. 360 c.p.c., n. 5 .. (1.1) – B.B) Ancora in relazione alla prova della sussistenza del limite indennitario" rilevando che la Corte d’Appello di Catanzaro non ha fornito, comunque, alcuna motivazione in ordine alla ritenuta prova dell’esistenza del massimale di polizza ad opera della Compagnia assicuratrice.

I primi due motivi di ricorso non possono essere accolti in quanto la motivazione contenuta nell’impugnata sentenza non presenta gli errori logici e giuridici oggetto del ricorso.

In particolare va rilevato quanto segue.

L’assunto della Corte di merito secondo cui la tesi difensiva in questione circa il massimale di polizza costituiva eccezione sollevatale anche in appello (pure nella particolare situazione processuale esistente nella fattispecie) è immune dai vizi affermati dai ricorrenti; ed in particolare è giuridicamente corretta.

Con riferimento alle residue doglianze i primi due motivi non possono essere accolti.

Infatti la Corte d’Appello ha evidentemente (anche se implicitamente) ritenuto insussistente la rinuncia alla suddetta eccezione; e tale tesi appare immune dai vizi denunciati (in particolare i brani di atti difensivi citati non sono sufficienti ad inficiare quanto esposto nell’impugnata sentenza).

Detta Corte ha inoltre (anche in tal caso chiaramente pur se se implicitamente) ritenuto ancora valido il massimale risultante nel contratto precedente (in quanto rinnovato); e per censurare tale assunto i ricorrenti hanno esposto censure inammissibili; infatti si sono limitati ad affermare la sussistenza dei vizi suddetti senza inserire le dovute rituali precisazioni; ed in particolare hanno omesso di affermare espressamente e ritualmente che la polizza prodotta non era stata rinnovata e di riportare il brano in questione (e cioè riguardante il massimale) del contenuto del nuovo contratto che in ipotesi sarebbe stato stipulato (paragonandolo inoltre al contenuto del vecchio).

I motivi terzo e quarto vanno esaminati insieme in quanto connessi.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano "VIOLAZIONE DI LEGGE ex art. 360 c.p.c., n. 3 (VIOLAZIONE degli artt. 1175, 1176, 1375, 1224 e 1905 c.c., NONCHE’ della L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 22). (1.2) – A.A), in relazione alla domanda di condanna della Compagnia assicuratrice al versamento ultramassimale di interessi e rivalutazione" lamentando che nel passo citato nel ricorso la Corte d’Appello di Catanzaro mostra di non avere neanche concepito l’esistenza di una responsabilità diretta della Compagnia assicuratrice per "mala gestio" nei confronti del danneggiato e, quindi, la possibilità che la stessa potesse essere condannata a rifondere quanto meno gli interessi e la rivalutazione monetaria oltre il limite del massimale di polizza. E’ evidente, quindi, che la pronuncia sia stata resa in aperta violazione delle norme di diritto in epigrafe richiamate.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano "NULLITA’ DELLA SENTENZA E DEL PROCEDIMENTO ex art. 360 c.p.c., n. 4, (1.2) – A.B) Violazione degli artt. 112, 184, 189 e 190 c.p.c., in relazione alla domanda di condanna della Compagnia assicuratrice al versamento ultramassimale di interessi e rivalutazione." nonchè "1.2 – B) Violazione degli artt. 112, 184, 189 e 190 c.p.c., in relazione alla domanda di condanna in solido della Compagnia assicuratrice al risarcimento di tutti i danni per mala gestio" nonchè "1.3 Violazione degli artt. 112, 171 e 303 c.p.c., in relazione alla proposizione della domanda di condanna dell’Assicurazione per mala gestio ad opera dei ************ ed all’obbligo del giudice di primo grado di decidere sulla stessa nonchè in relazione alla erronea declaratoria d’inammissibilità di questa in secondo grado." esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. La sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro dichiara inammissibile la domanda di mala gestio proposta dai **********, in quanto a suo dire tardiva, senza tener conto della distinzione tra mala gestio nei confronti del danneggiato e mala gestio nei confronti dell’assicurato-danneggiante, considerando le suddette domande congiuntamente e per la verità mostrando di non considerare proprio la possibilità per il danneggiato di propone una autonoma distinta domanda di "mala gestio" nell’ambito dell’azione diretta nei confronti dell’Assicurazione. La domanda ad opera del danneggiato, volta ad ottenere la condanna della Compagnia assicuratrice al versamento di interessi ed eventuale rivalutazione monetaria oltre il limite del massimale, doveva ritenersi implicita nella richiesta della condanna in solido di quest’ultima al versamento degli interessi e della rivalutazione monetaria e doveva, pertanto, ritenersi tempestivamente proposta dai ***********..

Ciò a maggior ragione a fronte di una espressa deduzione ad opera del danneggiato – come nel caso di specie – dell’ingiustificato ritardo da parte della Compagnia di un qualunque pagamento, anche a mero titolo di provvisionale, pur all’esito della formale messa in mora prescritta dalla legge. Nel caso che ci occupa, la domanda introduttiva è stata fin da principio estesa espressamente ad una responsabilità per colpevole ritardo ed una negligente gestione del sinistro ad opera de La Fondiaria. I ********** in sede di precisazione delle conclusioni, hanno inoltre proposto domanda di condanna per "mala gestio" de La Fondiaria oltre il limite del massimale, per quanto dovuto ai danneggiati a qualunque titolo. Tale ulteriore domanda, oggetto delle "domande riconvenzionali" tempestivamente proposte dai ********** e L. F. in sede di costituzione in giudizio, è stata dai ********** fatta propria in sede di precisazione delle conclusioni. La domanda in oggetto, infatti, che ordinariamente compete al danneggiante – assicurato nei confronti della propria compagnia assicuratrice, ben può essere proposta in via surrogatoria ad opera del danneggiato, in caso di eventuale inerzia del danneggiante. A maggior ragione essa può essere fatta propria in un procedimento in cui è stata già ritualmente dedotta dallo stesso danneggiante.

Ebbene tale richiesta, ulteriore rispetto a quella della condanna al pagamento degli interessi e della rivalutazione oltre il massimale, avrebbe dovuto ritenersi, comunque, tempestivamente formulata ad opera degli odierni ricorrenti. La Corte d’Appello ha sostanzialmente omesso di pronunciarsi sulla richiesta condanna ultramassimale dell’Assicurazione dei **********, ritenendo la domanda come non tempestivamente proposta pur in assenza di una specifica contestazione dell’altra parte. Inoltre il Giudice di appello ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dai ********** sul presupposto, del tutto errato, che la domanda di manleva dovesse ritenersi già rinunciata in primo grado da questi ultimi per effetto della loro mancata costituzione dopo l’evento interruttivo e la conseguente declaratoria della loro contumacia.

I due motivi vanno accolti solo per quanto di ragione; e cioè con riferimento all’omessa condanna della La Fondiaria Assicurazioni a rifondere ai P., oltre il limite del massimale stesso, quanto dovuto per interessi e rivalutazione monetaria sulla somma capitale riconosciuta a titolo di risarcimento. Infatti costituisce giurisprudenza ormai consolidata il seguente principio di diritto:

"In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, l’assicuratore, a seguito della richiesta del danneggiato formulata L. n. 990 del 1969, ex art. 22, è direttamente obbligato ad adempiere nei confronti del danneggiato medesimo il debito d’indennizzo derivante dal contratto di assicurazione. Una volta scaduto il termine di sessanta giorni da detta norma previsto, l’assicuratore è in mora verso il danneggiato, qualora sia stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all’"an" ed al "quantum" della responsabilità del suo assicurato. In tal caso l’obbligazione verso il danneggiato dell’assicuratore può superare i limiti del massimale per colpevole ritardo (per "mala gestio" cosiddetta impropria) a titolo di responsabilità per l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria e, quindi, senza necessità di prova del danno quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali, ed oltre questo livello in presenza di allegazione e prova (anche tramite presunzioni) di un danno maggiore. Inoltre per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione oltre il limite del massimale non è necessario che il danneggiato proponga già in primo grado nell’ambito dell’azione diretta anche una domanda di responsabilità dell’assicuratore per colpevole ritardo, ma è sufficiente che egli, dopo aver dato atto di aver costituito in mora l’assicuratore, richieda anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione ex art. 1224 cod. civ., ovvero formuli la domanda di integrale risarcimento del danno, che è comprensiva sia della somma rappresentata dal massimale di polizza, sia delle altre somme che al massimale possono essere aggiunte per interessi moratori, rivalutazione e spese. Ne consegue che, in caso di incapienza del massimale, la responsabilità dell’assicuratore non può che correlarsi alle conseguenze negative che il ritardo nell’adempimento della sua obbligazione (che è, appunto, quella di pagamento del danno nei limiti del massimale) ha provocato e, dunque, agli interessi e al maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) conseguito al ritardo nel pagamento del massimale, che solo entro tali precisi limiti può essere, pertanto, superato, restando a carico dell’assicurato il risarcimento del danno ulteriore", tra le altre Cass. Sentenza n. 22883 del 30/10/2007). Tale principio è stato chiaramente disatteso dalla Corte di merito (v. in particolare alle pagg. 44 e 45). Il Giudice del rinvio dovrà dunque riesaminare la questione alla luce del medesimo.

I due motivi non vanno invece accolti con riferimento a tutte le doglianze concernenti l’appello incidentale proposto dai **********; e ciò per le seguenti ragioni.

Data la sussistenza del principio secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 8829 del 13/04/2007 e Cass. Sentenza n. 10551 del 03/07/2003) e considerato che l’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) costituisce appunto una di dette eccezioni previste dalla legge è palese che quest’ultimo istituto giuridico può trovare applicazione solo ed esclusivamente negli specifici casi previsti dalla legge; ed in particolare solo in caso di inerzia del debitore (v. in particolare Cass. Sentenza n. 1867 del 18/02/2000: "L’azione surrogatoria è lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del creditore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori, la detta azione, conferendo al creditore la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui, realizza un’interferenza di natura eccezionale nella sfera giuridica del debitore onde, pur essendo nel campo patrimoniale un’azione di carattere generale, esclusa solo per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può tuttavia essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge. Ne discende che, qualora il debitore non sia più inerte, per essersi attivato dopo esserlo stato, o tale non possa essere comunque considerato, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene a mancare il presupposto perchè a lui possa sostituirsi il creditore, il quale non può pretendere di sindacare le modalità con cui il debitore abbia ritenuto di gestire la propria situazione giuridica nell’ambito del rapporto nè contestare le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà da questi poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento, soccorrendo all’uopo altri strumenti di tutela, e, cioè, nel concorso dei relativi requisiti, l’azione revocatoria ovvero l’opposizione di terzo").

In relazione a detta peculiarità ed eccezionalità si prospetta in modo particolarmente evidente la necessità che l’esercizio di detta azione avvenga nel rispetto dei diritti difensivi delle controparti.

In particolare è necessario che queste ultime ed il Giudice vengano posti in grado di accorgersi che una siffatta azione è stata proposta; il che avviene solo se chi la propone manifesta chiaramente il proposito di esercitare in nome proprio un diritto altrui in relazione ai presupposti previsti dalla legge. Non è indispensabile che venga citato formalmente il nomen iuris in questione "azione surrogatoria"), o che venga citato l’art. 2900 c.c.; ma è certo necessario che vengano prospettati con sufficiente precisione tutti gli elementi di fatto necessari per la sua individuazione.

Va dunque enunciato il seguente principio di diritto: "Dato che Fazione surrogatoria costituisce una eccezione al principio secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, ad evitare che la controparte non sia posta in grado di individuare immediatamente l’esercizio di tale specifica azione e confidi quindi nella possibilità di limitarsi a contrapporre il predetto principio, è necessario che chi agisce ex art. 2900 c.c., manifesti chiaramente: – A) che ha intenzione di esercitare in nome proprio diritti od azioni spettanti verso terzi al proprio debitore; – B) che quest’ultimo è rimasto inerte; – C) che non si tratta di diritti od azioni, che per loro natura o per disposizione di e non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

Nella fattispecie la Corte di Appello non si è limitata ad omettere "sostanzialmente" di pronunciarsi su detta azione che i ricorrenti assumono di avere proposto; ma si è chiaramente basata sul presupposto dell’assoluta inesistenza di una siffatta domanda.

Quindi i ricorrenti avrebbero dovuto esporre di aver prospettato in primo grado la domanda ex art. 2900 c.c., in modo completo e rituale (nel senso ora esposto) così da rispettare i diritti difensivi delle controparti; avrebbero dovuto prendere inoltre (ritualmente) posizione in ordine al contenuto della sentenza di primo grado in relazione alla domanda medesima; e precisare infine che la questione aveva fatto anche correttamente parte della materia processuale del giudizio di secondo grado; il tutto in modo rituale e compiuto, riportando pure adeguatamente tutti i brani rilevanti sul punto dei vari atti processuali in questione.

In difetto di ciò tutte le doglianze in esame debbono ritenersi inammissibili in quanto generiche.

Non sembra inutile aggiungere che le doglianze finali (v. in particolare il seguente brano: "… il Giudice di appello ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dai ********** sul presupposto, del tutto errato, che la domanda di manleva dovesse ritenersi già rinunciata in primo grado da questi ultimi per effetto della loro mancata costituzione dopo l’evento interruttivo e la conseguente declaratoria della loro contumacia…") sono inammissibili in quanto (a differenza delle altre censure sopra considerate) sembrano collocarsi al di fuori della fattispecie astratta disciplinata dall’art. 2900 cit. (altrimenti sarebbero inammissibili per le diverse ragioni sopra esposte) e costituiscono quindi una mera violazione del più volte citato principio secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano "OMESSA, INSUFFICIENTE O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA ex art. 360 c.p.c., n. 5, esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue.

"(2.1) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ai reliquati del sinistro occorso nella Signorina P.R. ed alla individuazione della percentuale di invalidità permanente da riconoscere in capo alla stessa".

La motivazione resa dalla Corte d’Appello di Catanzaro risulta in taluni punti insufficiente in altri del tutto omessa nella parte in cui aderisce alle conclusioni dei Consulenti tecnici d’Ufficio senza argomentare, se non in modo del tutto superficiale, il perchè non ha ritenuto di condividere le puntuali osservazioni critiche mosse dal Consulente di parte dei ********** (fatte proprie dal Tribunale di Paola nella pronuncia di primo grado). Il Giudice di primo grado era giunto a determinare la percentuale del 45% di invalidità permanente in capo alla Signorina P. (invece di quella del 30% assegnata in C.t.u.) dando il giusto peso non solo al danno estetico ma anche ad altri postumi residuati nella Signorina P.. Il giudice d’appello, invece, sulla scorta dell’errore metodologico commesso dai Consulenti Tecnici d’Ufficio, non ha dato spazio ad una corretta valutazione del danno estetico e mostra di aver omesso di considerare altre tipologie di danni esistenti e provati. Per superare le osservazioni critiche del predetto C.T. di parte non può essere sufficiente quanto superficialmente affermato dalla Corte d’Appello di Catanzaro circa "una mera improprietà terminologica". I Consulenti Tecnici d’ufficio sono dei medici professionisti, i termini utilizzati in medicina – "riassorbimento" ovvero "stabilizzazione" – rivestono uno specifico significato clinico. Nel riassorbimento di una patologia è implicita l’assenza di alcun reliquato che invece si intende esistente in caso di semplice stabilizzazione del quadro clinico. Vi sono inoltre voci di danno non valorizzate dalla C.T.U.. Anche in ordine alle critiche del C.T. sui danni alla gamba destra, sui danni di ordine psichico connessi al trauma cranico nonchè sul danno puramente estetico reliquati nella signorina P., nonchè in ordine alla relative liquidazioni, la sentenza non ha esposto una adeguata motivazione. La motivazione presenta i vizi in questione pure con riferimento alla possibile insorgenza di future patologie in capo alla signorina P.; e con riferimento al danno di natura ginecologica. Inoltre, nella motivazione non vi è una parola sulle notevoli ripercussioni che il danno provocato ha avuto sulla vita di relazione della Signorina P., per ormai pacifica giurisprudenza da ricomprendersi e valutarsi come componente del danno biologico. Analogamente non è stato dato sostanzialmente peso alcuno al danno estetico. Infine, in sede di quantificazione del danno biologico non è stato dato alcun rilievo al danno da cd. "cenestesi lavorativa" per l’affaticamento che il danno riportato dalla ************ comunque provoca nello svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa.

"(2.2) Insufficiente motivazione in relazione alla mancata "personalizzazione" del valore punto dell’invalidità riconosciuta." Non può certamente ritenersi sufficiente l’adesione della Corte d’Appello alla motivazione del giudice di primo grado circa l’utilizzazione delle Tabelle di Milano in sostituzione di quelle utilizzate nel foro adito. Tale limitato "appesantimento" del valore monetario di ciascun punto di invalidità, al quale la Corte d’Appello ha semplicemente aderito, era, infatti, giustificato all’interno della piena valorizzazione ad opera del Tribunale di una serie di circostanze, che sono state, invece, completamente ignorate dalla Corte di Appello sia in sede di calcolo della percentuale di invalidità sia in sede di adeguamento del valore punto individuato alla fattispecie de qua.

"(2.3) Insufficiente motivazione in relazione al contenimento del danno morale riconosciuto alla Signorina P.R. in misura pari alla metà del danno biologico". La Corte d’Appello di Catanzaro non ha attuato una personalizzazione neanche del danno morale, limitandosi a riproporre vuote formule di stile mutuate da altre pronunce giurisprudenziali.

"(2.4) Insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione al mancato riconoscimento di un danno di natura patrimoniale in capo alla Signorina P.R.." La Corte di Catanzaro ha ritenuto di respingere qualsivoglia risarcimento derivante da lucro cessante, soltanto nell’errato presupposto della mancata prova di una lesione alla capacità lavorativa specifica della odierna ricorrente. I Consulenti d’ufficio, e sulla loro scia la Corte d’Appello, per il solo fatto che appariva difficile una valutazione hanno omesso del tutto di occuparsene. La lesione diventa rilevante anche dal punto di vista patrimoniale quando esclude per sempre la possibilità di svolgere attività lavorative rientranti tra le legittime aspettative del danneggiato. E’ provato che la ricorrente frequentava con ottimo profitto una scuola internazionale di danza, fin da quando aveva appena tre anni e che aveva, pertanto, una concreta legittima aspettativa di realizzarsi nel mondo dello spettacolo e/o delle pubbliche relazioni in genere; è altresì provato che la signorina P. è di bella presenza. Tali evidenze sono state del tutto ignorate dalla Corte d’Appello.

Anche il diritto alla libertà di lavoro è un diritto costituzionalmente tutelato e nel caso di specie è stato fortemente leso in presenza di concrete possibilità della ricorrente di trovare fonti di guadagno in un ambiente lavorativo che le è ormai per sempre precluso.

"(2.5) Contraddittoria motivazione in relazione alla declaratoria di irrilevanza delle prove dedotte relativamente alla perdita di chance lavorative da parte di P.R.". Si legge a p. 37 della sentenza: "Tanto osservato, è appena il caso di rilevare che la prova articolata dalla P. nel presente grado di giudizio, prova che peraltro avrebbe dovuto essere prodotta in primo grado e pertanto inammissibile, si appalesa, comunque, del tutto ininfluente per il fine indicato, potendo al più costituire indice di una mera aspettativa della P. di realizzarsi nel campo della danza o delle pubbliche relazioni e pertanto indice della perdita di una astratta chance lavorativa, che quale lesione del diritto alla libertà di lavoro, costituisce solo una componente del danno biologico". Da una parte la Corte ricorda la giurisprudenza della Corte di Cassazione in merito alla rilevanza anche patrimoniale della compromissione della capacità lavorativa generica, qualora determini una perdita di chance in capo al danneggiato, dall’altra, pur riconoscendo che le prove articolate avrebbero potuto provare l’esistenza, nel caso di specie, di una concreta aspettativa in capo alla P. e la conseguente perdita di una chance, non le ha ammesse in quanto irrilevanti.

"2.6 Insufficiente motivazione in relazione al calcolo della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di Invalidità temporanea". Orbene, in proposito scrive la Corte d’appello (p. 37):

Ed infatti, risultando la somma riconosciuta a tale titolo liquidata all’attualità, il riconoscimento della rivalutazione monetaria integra una illegittima duplicazione del danno da ritardo. In nessun passo della sentenza di primo grado si afferma che le somme riconosciute a titolo di indennità per invalidità temporanea, totale e parziale, siano state liquidate all’attualità. Nè può opporsi che la Corte avrebbe potuto procedere ad una autonoma quantificazione della suddetta indennità; nel caso di specie, infatti, la quantificazione operata dal Giudice di primo grado per I.T.T. ed I.T.P., non è stata oggetto di appello e doveva, pertanto, ritenersi passato in giudicato il relativo capo della sentenza del Tribunale.

"(3.1) Contraddittoria e insufficiente motivazione in relazione alla quantificazione del danno morale riconosciuto al **********".

Passando all’esame dei danni riconosciuti in capo al **********, in merito alla liquidazione del danno morale, la sentenza cade in aperta contraddizione laddove, da una parte, afferma testualmente (p. 38): "Infondata e pertanto da disattendere si appalesa, invece, la doglianza concernente il riconoscimento del danno morale in favore di P.G., genitore di P. R., ed il quantum a tale titolo riconosciuto", dall’altra parte, invece (p. 40): "La doglianza merita, invece, accoglimento sotto il profilo del quantum della liquidazione di tal voce di danno". Ed ancora, sul punto, la Corte di Catanzaro continua a contraddire sè stessa laddove, nel liquidare nuovamente – per quanto detto sopra in modo del tutto illegittimo – il danno morale, fa riferimento alle Tabelle predisposte dal Tribunale di Cosenza, pur avendo preso a base per tutte le altre voci di danno le Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano. La Corte non motiva, poi, in relazione alle circostanze specifiche del caso de quo, il perchè abbia ritenuto equo liquidare la somma di Euro 20.000,00 (pari a meno del minimo astrattamente previsto in caso di morte di un figlio), con ciò mostrando di non aver attuato anche in questo caso la necessaria "personalizzazione" dei valori astrattamente indicati nelle tabelle utilizzate.

"(3.2) Insufficiente motivazione in relazione alla quantificazione nella limitata somma di Euro 774,69 del danno patrimoniale da esborsi riconosciuto al ********* oltre le spese documentate".

Si legge in proposito nella sentenza impugnata (p. 42): "Ora, considerando, altresì, le inevitabili spese di viaggio affrontate dal P. per recarsi, unitamente alla moglie, presso l’Ospedale (omissis), ove P.R. venne trasportata nelle immediatezze del sinistro, nonchè le spese per viaggi e permanenza a Roma dove P.R. si sottopose a controlli ed esami strumentali, non vi è dubbio che oltre agli esborsi strettamente documentati, possa essere liquidata, in favore di P.G., equitativamente ex art. 1226 c.c., l’ulteriore somma di Euro 774,69 (pari a L. 1.500.000)". Le scarse considerazioni sopra citate, a supporto della quantificazione effettuata, non configurano una motivazione sufficiente secondo i canoni logici imposti dalla giurisprudenza di ********************.

"(3.3) Omessa motivazione in relazione alla mancata ammissione delle prove dedotte relativamente al danno patrimoniale da esborsi subito dal *******".

Sul punto la motivazione della sentenza è ulteriormente viziata per aver dichiarato non provate ulteriori spese, rispetto a quelle riconosciute, senza aver ammesso le prove articolate sul punto. Uno dei capitoli di prova articolati in grado di appello, esattamente il numero 435, concerneva proprio gli esborsi affrontati dal ******..

Il quinto motivo, con riferimento al mancato riconoscimento del danno economico, appare fondato nella sua parte essenziale.

Nella fattispecie concreta in questione la Corte d’Appello (che ha citato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la riduzione della capacità lavorativa generica va liquidata come mero danno biologico a meno che non venga provata una riduzione della capacità lavorativa specifica) ha evidentemente basato la sua decisione di negare la risarcibilità del danno in questione e di affermare la non influenza delle prove articolate, sulla necessità di una prova rigorosa e specifica della riduzione della capacità lavorativa specifica.

Tale tesi (nelle fattispecie come quella in questione) deve ritenersi giuridicamente errata.

Con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) età sussistono in dottrina e giurisprudenza opinioni non sempre coincidenti.

Certamente è indubbia la validità generale (e quindi anche nelle fattispecie come quella in esame) del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e del principio secondo cui (ex art. 1226 cod. civ.) è consentita la liquidazione equitativa del danno solo se il quest’ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare (cfr. su quest’ultimo punto, tra le altre Cass. sent. 12545 del 08/07/2004).

Però l’intenzione di applicare con rigore tali due principi ha talora condotto a rendere in sostanza la liquidabilità del danno in questione meramente teorica ma non concretamente realizzabile in pratica.

E’ in realtà ovvio che è (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro (e ciò è stato giustamente affermato da molto tempo da parte della giurisprudenza; cfr. tra le tante: Cass. Sentenza n. 495 del 20/01/1987: "Per la risarcibilità del danno patrimoniale futuro è sufficiente la prova che il danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata attendibilità, non potendosene pretendere l’assoluta certezza"); infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l’evoluzione successiva della sua capacità di produrlo (ovviamente nell’eventualità che il sinistro medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico basato su presunzioni; la più importante e basilare delle quali è certamente costituita dall’entità del reddito già prodotto.

E’ palese che tale impossibilità è ancora più evidente nell’ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno anche quell’essenziale elemento presuntivo che è costituito dall’entità del reddito prodotto.

Ciò non significa però che tale danneggiato debba restare privato (applicando un errato "rigore" interpretativo che porterebbe in concreto ad escludere sempre la liquidabilità in questione) del risarcimento del danno patrimoniale; che ben può essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni).

Va precisato a questo punto che è nell’ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in età scolastica, qualora non abbia particolari deficienze, in futuro produrrà un reddito.

Si potrà discutere in ordine all’entità di tale presumibile reddito futuro in relazione agli elementi prognostici offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali della particolare causa di cui si tratta (cfr. tra le altre: Cass. SENT. 23298 DEL 14/12/2004: "Quando un minore, non svolgente attività lavorativa, subisca, in conseguenza di un sinistro stradale, lesioni personali con postumi permanenti incidenti sulla specifica capacità lavorativa futura, il relativo danno da risarcire consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata – può esser determinato dal giudice in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo artieri probabilistici, tenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal minore, nonchè della posizione economico – sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, può ricorrere, in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l’una o l’altro, di merito, è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata"); ma (salvo che sussistano elementi di convincimento in senso contrario) deve considerarsi come evento normale e prevedibile la produzione di un qualche reddito e non la non produzione del medesimo (come è stato giustamente affermato da questa Corte Suprema anche recentemente: "In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per non avere il soggetto leso ancora raggiunta l’età lavorativa può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che proiettandosi per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata. Tale danno può anche liquidarsi in via equitativa tenendo presente l’età dell’infortunato, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione"; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 15/04/1996; con riferimento ai danni consistenti in spese future di cura ed assistenza, cfr. anche Cass. Sentenza n. 752 del 21/01/2002).

In conclusione (nel solco di un ormai consolidato filone interpretativo) va enunciato il seguente principio di diritto:

"Quando un minore, non svolgente attività lavorativa, subisca, in conseguenza di un sinistro, lesioni personali con postumi permanenti che il Giudice di merito ritiene destinati ad incidere sulla sua specifica capacità lavorativa futura (in base ad una valutazione che ben può essere basata – in assenza di specifici elementi di convincimento in senso contrario – anche semplicemente su presunzioni fondate sull’id quod plerumque accidit, in relazione alla particolarità della fattispecie concreta; senza che sussista invece la necessità di una prova specifica e assolutamente rigorosa, di regola impossibile), il relativo danno da risarcire – consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata – può esser determinato ex art. 1226 c.c., dal Giudice predetto in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto soprattutto degli studi intrapresi e delle capacità ed inclinazioni manifestate dal minore, nonchè (secondariamente) della posizione economico-sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, in quanto non sono emerse risultanze istruttorie idonee a costituire valide basi per la valutazione stessa, può ricorrere, sempre in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l’una o l’altro, costituisce in giudizio tipicamente merito, ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata".

L’impugnata decisione, che non ha applicato detto principio di diritto, va cassata in relazione.

Da quanto sopra esposto emerge anche l’erroneità in diritto della motivazione con cui la Corte (sulla base della predetta erronea interpretazione della disciplina della materia dettata dal legislatore) ritiene ininfluenti (tutte) le prove testimoniali dedotte. Detta motivazione è errata in diritto (dovendosi applicare l’art. 345 c.p.c., non novellato; cfr. ad es. Cass. Sentenza n. 727 del 14/01/2005) anche nella parte in cui ritiene inammissibili dette prove in quanto non dedotte in primo grado.

L’impugnata decisione va dunque cassata anche in relazione a detto errore giuridico.

Per il resto il motivo appare privo di pregio in quanto l’impugnata sentenza appare fondata su una motivazione che deve ritenersi sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.In particolare va rilevato quanto segue: – A) appare immune dai vizi denunciati l’accoglimento delle conclusioni dei C.T.U. (anche i riportati rilievi del C.T. di parte sono inidonei a suffragare le censure in esame); – B) la doglianza in ordine alla "Insufficiente motivazione in relazione al calcolo della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di Invalidità temporanea" è (prima ancora che priva di pregio) inammissibile nella prima parte ("… In nessun passo della sentenza di primo grado si afferma che le somme riconosciute a titolo di indennità per invalidità temporanea, totale e parziale, siano state liquidate all’attualità …") in quanto non riporta (in modo adeguato e rituale) i brani della sentenza di primo grado da cui si evincerebbe che le somme non sono state liquidate all’attualità; ed è priva di pregio nella seconda "… Non può opporsi in merito che la Corte avrebbe potuto procedere ad una autonoma quantificazione della suddetta indennità, nel caso di specie, infatti, la quantificazione operata dal Giudice di primo grado per I.T.T. ed I.T.P., non è stata oggetto di appello e doveva, pertanto, ritenersi passato in giudicato il relativo capo della sentenza del Tribunale …" proprio in quanto la sentenza della Corte di merito (nel punto in questione) ha avuto per oggetto non l’importo capitale della "… suddetta indennità…" (importo la cui quantificazione sarebbe passato in giudicato secondo i ricorrenti), ma la necessità o meno di rivalutare l’importo medesimo; e cioè un punto che faceva evidentemente parte (ritualmente) della materia processuale di secondo grado; – C) circa il danno biologico (e le questioni correlate) la Corte assume (a pag. 32) che non era stato "… mosso alcun duolo in merito alla personalizzazione del valore dei punti di invalidità…" e su detto assunto non risultano esposte censure che siano al contempo ammissibili e convincenti; – D) con riferimento al danno morale di entrambi i ricorrenti la motivazione esposta dalla Corte è immune dai vizi denunciati; in particolare circa la personalizzazione è sintetica ma sufficiente; – E) le censure circa la somma liquidata per danno patrimoniale da esborsi subito dal ******* sono inammissibili in quanto generiche (e generico è anche il capitolo di prova).

Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano "NULLITA’ DELLA SENTENZA E DEL PROCEDIMENTO ex art. 360 c.p.c., n. 4, (2.7) (3.4) Violazione degli artt. 115. 116 e 345 c.p.c., in relazione alla declaratoria di inammissibilità delle prove dedotte in appello dalla difesa dei **********" esponendo doglianze che vanno riassunte come segue.

La prova testimoniale articolata in appello non poteva configurarsi come nuova in quanto coincidente nei contenuti con quella articolata in primo grado, anche quest’ultima espressamente riproposta e richiamata anche nelle conclusioni di appello. In secondo luogo, al procedimento in oggetto, instaurato nel lontano 1989, è applicabile il cd. "vecchio rito". L’art. 345 c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella del 1990, preveda la possibilità che le parti producessero nuove prove e/o chiedessero l’ammissione di nuovi mezzi di prova in sede di appello.

"(2.8) Violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione alla mancata declaratoria di inammissibilità del motivo di appello avente ad oggetto la rivalutazione sulle somme riconosciute a titolo di indennità per invalidità temporanea, totale e parziale". Nel censurare la parte relativa al riconoscimento della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di indennità per invalidità temporanea, totale e parziale, la difesa di controparte afferma apoditticamente che le somme riconosciute a tale titolo sarebbero state liquidate dal Giudice di primo grado all’attualità, senza specificare donde avrebbe tratto tale convincimento.

"(2.9) Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Omessa pronuncia in relazione alla domanda di risarcimento del danno esistenziale in capo alla Signorina P.R.." La Corte d’Appello di Catanzaro non ha riconosciuto alcunchè in favore di P.R. a titolo di danno esistenziale, pur in presenza di un’espressa domanda sul punto.

"(3.5) Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Ultrapetizione in relazione alla decorrenza degli interessi dalla domanda invece che dai singoli versamenti sulle somme riconosciute a titolo di esborsi.". Il Giudice di appello è incorso, poi, in ultrapetizione per aver ritenuto dovuti gli interessi sulle somme concesse a titolo di esborsi con decorrenza dalla domanda e non dai singoli esborsi. Ciò ha fatto in aperta contraddizione con quanto richiesto dalla difesa sia dell’appellante principale sia degli appellanti incidentali, che si erano espressi nel senso di riconoscere gli interessi su tali somme dai singoli esborsi.

Il motivo è fondato solo in parte e cioè: – A) (come già si è rilevato) con riferimento all’ammissibilità delle prove testimoniali (per ciò che concerne dette prove testimoniali si rinvia a quanto già esposto in relazione al quinto motivo in cui la doglianze in questione erano già state esplicitamente od implicitamente esposte;

va precisato che se i ricorrenti intendono esporre nel sesto motivo censure ulteriori queste debbono ritenersi inammissibili in quanto non sufficientemente chiare e compiute); – B) inoltre circa la decorrenza degli interessi suddetti dalla domanda e non dai singoli esborsi sussiste la denunciata ultrapetizione per le ragioni esposte dai ricorrenti.

L’impugnata decisione va dunque cassata in relazione ai vizi sopra indicati.

Per il resto il motivo è privo di pregio in quanto i denunciati vizi non sono riscontrabili. In particolare va rilevato che la sopra citata genericità della tesi di controparte non sussisteva; e che in ordine al danno esistenziale sussiste una pronuncia implicita (che ne ha negato la risarcibilità con adeguata anche se implicita motivazione).

Quanto alla parte residua del ricorso, non vanno ovviamente prese in esame le osservazioni circa l’"ISTANZA PER LA CORREZIONE MATERIALE DEGLI ERRORI IN CUI E’ INCORSA LA CORTE D’APPELLO" relativamente ai quali è competente quest’ultima, anche in considerazione del fatto che gli stessi ricorrenti sul punto precisano (a proposito di detti errori): "… rispetto ai quali ci si riserva di agire per la correzione innanzi alla stessa Corte d’Appello, ma che per completezza si espongono in questa sede, anche ad evitare possibili passaggi in giudicato relativamente alle somme erroneamente indicate in dispositivo …".

I controricorrenti L.V. e L.F., con il primo motivo di ricorso incidentale, denunciano: "Violazione e falsa applicazione del disposto di cui all’art. 303 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia art. 360 c.p.c., n. 5" esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. I giudici della Corte Territoriale di Catanzaro hanno dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto da L.V. e L.F. tendente a conseguire la condanna della Compagnia di Assicurazioni La Fondiaria Assicurazioni s.p.a. al risarcimento dei danni oltre il massimale di polizza quale effetto della domanda riconvenzionale formulata in primo grado dai predetti appellati, sul presupposto che "essendo entrambi i L., a seguito della riassunzione del giudizio di primo grado, successiva all’interruzione determinatasi per la morte dei difensori diparte attrice e della convenuta La Fondiaria Assicurazione, rimasti contumaci, con ciò abbandonando la difesa e quanto in origine richiesto …"; ma la mancata comparizione di una delle parti nel giudizio riassunto dopo la sua interruzione non fa venir meno l’efficacia degli atti, precedenti all’interruzione, posti in essere dalla parte in tutto il periodo durante il quale essa ha regolarmente partecipato al giudizio. In ogni caso, si contesta la sussistenza dello stesso presupposto di fatto erroneamente posto a fondamento del proprio convincimento dalla Corte Territoriale, non essendo vero che i L. siano stati dichiarati contumaci dal giudice di primo grado a seguito della riassunzione del processo dichiarato interrotto, contumacia della quale non sussistevano neanche i presupposti, in quanto il patrono dei L. in primo grado ha regolarmente partecipato alle udienze sino a tutto l’anno 2001.

Il primo motivo del ricorso incidentale va accolto nella sua parte essenziale.

Va infatti confermato il seguente principio di diritto: "La riassunzione del processo, operata a norma dell’art. 303 cod. proc. civ., comporta la dichiarazione di contumacia della parte che, benchè costituita nella precedente fase del giudizio, non sia comparsa, ma da ciò non consegue che le domande dalla stessa parte proposte con l’atto di citazione o in via riconvenzionale debbano ritenersi rinunciate o abbandonate, in quanto tali domande sono relative ad un giudizio che prosegue nella nuova fase, dotata di tutti gli effetti processuali e sostanziali dell’originario rapporto." (Cass. Sentenza n. 6867 del 30/07/1996; in senso conforme Cass., Sentenza n. 3963 del 18/04/1998).

La Corte di merito non ha seguito detto principio di diritto.

L’impugnata decisione va dunque cassata in relazione a tale vizio giuridico. Ciò ha effetto assorbente rispetto alle ulteriori doglianze che potranno essere eventualmente riproposte in sede di rinvio.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano "Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 – Omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5" esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. Nel corso del giudizio di primo grado, la Compagnia di assicurazioni convenuta non ha mai eccepito alcunchè in ordine al limite di massimale e non ha mai richiesto, quindi, che l’eventuale domanda di condanna venisse contenuta nei limiti predetti. Solo con l’atto di appello la società di assicurazioni ha dedotto l’esistenza del limite del massimale producendo il contratto di assicurazione che avrebbe dovuto costituire la prova del relativo assunto. Rispetto a tale domanda proposta in grado di appello, la difesa dei L. eccepiva l’inammissibilità della stessa per violazione del disposto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 1, nella versione in vigore prima della novella del 1993. Erroneamente, la Corte Territoriale ha qualificato tale domanda come eccezione, statuendo che ben poteva essere proposta per la prima volta in grado di appello, omettendo, tuttavia di considerare che l’allegazione del massimale di polizza rappresentava il fatto costitutivo della pretesa di contenimento della domanda di risarcimento avanzata dai P., e non poteva essere considerata quale mera eccezione. Ha comunque omesso la Corte Territoriale di valutare che la società di assicurazioni, per tutta la durata del processo di primo grado, non solo non aveva eccepito il limite del massimale di polizza, ma aveva svolto una difesa inconciliabile con la volontà di avvalersi di tale eccezione, sostanzialmente rinunciando a far valere tale limitazione. Inoltre, la società di Assicurazioni non ha dato prova alcuna del limite del massimale di polizza, avendo prodotto una polizza già scaduta al momento del verificarsi del sinistro che, pertanto, non poteva rappresentare valido elemento di prova sul quale fondare il convincimento dei giudici di appello.

Il secondo motivo di ricorso non può essere accolto in quanto l’impugnata sentenza è immune dai vizi denunciati.

In particolare va ribadito che appare inappuntabile la definizione di eccezione data da detto Giudice alla sopra citata prospettazione del limite del massimale. Quanto alle doglianze residue ed in particolare a quelle basate sul fatto che si trattava di "una polizza già scaduta al momento del verificarsi del sinistro" si rinvia alle considerazioni esposte con riferimento al ricorso principale.

Sulla base di quanto sopra esposto i due ricorsi (principale ed incidentale) vanno accolti nei limiti di cui in motivazione; e l’impugnata sentenza va cassata in relazione.

Al Giudice del rinvio, che va individuato nella Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione, va rimessa anche la decisione sulle spese del Giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie nei limiti di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata decisione e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione.

Redazione