Corte di Cassazione Civile sez. III 30/4/2009 n. 10098; Pres. Senese, S., Est. Petti, G.B.

Redazione 30/04/09
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Esiste un dovere di tollerare le critiche e le censure del superiore gerarchico, ove non si tratti di gravi offese.

 

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del novembre 1997 il prof. **** ha convenuto dinanzi al Tribunale di Catania il Preside P. G. ed il Ministro della Pubblica istruzione e ne ha chiesto la condanna in solido al ristoro dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti per la lesione della propria dignità ed immagine di insegnante. L’insegnante sosteneva di aver subito nel corso dell’insegnamento presso l’istituto tecnico di (OMISSIS) una serie di atti di vessazione da parte del Preside, con tre provvedimenti disciplinari poi archiviati, denuncia penale per assenteismo, anche questa archiviata.

Si costituivano le parti convenute e contestavano il fondamento delle pretese.

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 29 novembre 2000 rigettava le domande e condannava il B. alla rifusione delle spese di lite.

La decisione era appellata dall’insegnante, che ne chiedeva la riforma; resisteva il Preside, restava contumace il Ministero.

La Corte di appello di Catania, con sentenza del 11 dicembre 2003 così decideva: rigetta l’appello e condanna il B. alla rifusione in favore del P. delle spese del grado (v. amplius in dispositivo).

Contro la decisione ricorre l’insegnante deducendo unico motivo di censura, cui resistono le controparti con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non merita il ricorrente.

Nell’unico motivo del ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione al difetto di motivazione; erroneo presupposto”.

La tesi è che i comportamenti vessatori del preside (la censura, i tre procedimenti disciplinari e la denuncia penale archiviata) ebbero a svolgersi nel breve arco di tempo di nove mesi, ed esprimono la reiterazione di un intento persecutorio diretto a discreditare l’insegnante ed a rendergli insostenibile l’insegnamento presso l’istituto.

In senso contrario si osserva che, pur essendo il racconto dei vari episodi descritti nella parte narrativa del ricorso estremamente diffuso, ancorchè unilaterale e senza un preciso riferimento alla diversa ricostruzione e valutazione dei fatti compiuta dai giudici dell’appello, la parte tecnica della censura che denuncia la insufficiente o contraddittoria motivazione, sotto il profilo logico formale, risulta priva di autosufficienza e di specificità, proponendo un riesame critico della valutazione degli episodi, compiuta dai giudici di merito (ff. 7 a 11 della motivazione della sentenza di appello) senza censurare gli argomenti ed i passaggi logici con cui i giudici dell’appello hanno riesaminato i vari episodi, pervenendo alla conclusione della inesistenza di un progetto di persecuzione e di una situazione di responsabilità civile a titolo di inadempimento contrattuale od aquiliano per il preside e per responsabilità organica riferita al Ministero della Istruzione pubblica (ff. 11 della motivazione, in parte conclusiva).

La valutazione della non imputabilità della condotta al Preside e quindi della non riferibilità di un fatto lesivo alla pubblica amministrazione, attiene ad un prudente apprezzamento delle prove non sindacabile in questa sede in quanto congruamente motivato, senza pretermissioni rilevanti.

La decisione appare inoltre conforme ai criteri indicati dalle Sezioni unite civili nelle recenti sentenze nn. 26972 a 26974, là dove (punto 3.11) osservano che la gravità della offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione al risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili (come è l’immagine e la reputazione dell’insegnante) posto che i giudici del merito esaminando i fatti hanno escluso che il diritto sia stato inciso seriamente anche considerando il dovere di tolleranza per le critiche e le censure esercitate dal superiore gerarchico.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente verso i resistenti a rifondere le spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna B.A. alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore dei resistenti P. e Ministero della Pubblica istruzione, che liquida, per ciascuna parte resistente, in Euro 1600,00 di cui Euro 1500,00 per onorari oltre accessori e spese generali come per legge.

Redazione