Corte di Cassazione Civile sez. III 30/1/2009 n. 2492; Pres. Vittoria P.

Redazione 30/01/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 3 febbraio 1999 il Giudice di pace di Marano, dichiarata la esclusiva responsabilità di P.M. nella produzione dell’incidente stradale verificatosi in (OMISSIS), ha condannato il P. in solido con la società Assitalia Assicurazioni al pagamento in favore di L.C. della somma di L. 7.916.000, per danni alla persona oltre spese processuali, liquidate nella complessiva somma di L. 2.587.000.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla L. e in via incidentale dalla ASSITALIA Assicurazioni s.p.a., il tribunale di Napoli, sezione staccata di Marano, nel contraddittorio del P., rimasto contumace, con sentenza 24 marzo 2004 ha parzialmente accolto l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, ha condannato P.M. e l’Assitalia Assicurazioni s.p.a. al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado liquidate in L. 3.519.015, di cui L. 587 mila per spese di giudizio, L. 1 milione per onorari e L. 1.932.010 per diritti, oltre Iva Cpa e spese della consulenza tecnica ammontanti a L. 933.600. Il tribunale, altresì, dichiarato inammissibile l’appello incidentale, ha compensato tra le parti costituite le spese del giudizio di secondo grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a 5 motivi, L.C..

Resiste, con. controricorso la Ina Assitalia s.p.a..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede P.M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. "La nota spese predisposta dal procuratore dell’attrice nel giudizio di primo grado – ha accertato in linea di fatto la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione – non risulta depositata e, pertanto, correttamente ha operato il Giudice di primo grado a non tenerne conto".

2. Con il primo motivo la ricorrente censura tale affermazioni del Giudice a quo denunziando "violazione degli artt. 74 e 75 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 360 c.p.c., nn. 3 e 5", atteso che "al contrario delle affermazioni del tribunale di Marano la nota spese è stata regolarmente depositata agli atti della produzione per cui sia il Giudice di pace che il tribunale ne avrebbero dovuto tenere conto".

"Infatti – si osserva – in calce alla varie voci della notula, alla fine è stato apposto dal cancelliere il timbro del depositato così come del resto è stato impresso il timbro in calce anche alla comparsa conclusionale".

"Comunque è una illazione del tribunale, secondo cui il Giudice di pace non ha tenuto conto della notula non depositata regolarmente, a suo dire, ma in effetti quanto sopra non risulta e se effettivamente fosse stato come riferisce il tribunale il Giudice di pace come avviene sempre avrebbe scritto che in mancanza della notula la liquidazione delle spese e competenze, avviene di ufficio".

3. Il motivo è inammissibile.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per revocazione qualora la sentenza stessa sia "l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa".

"Vi è questo errore – in particolare – quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa".

Pacifico quanto sopra e non controverso che la denuncia di un travisamento di fatto quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al Giudice di legittimità, è palese la inammissibilità – come anticipato – della censura in esame.

Nella specie, infatti, la ricorrente denunziando che il tribunale ha affermato – contro il vero – che nella specie non era stata depositata la nota spese del giudizio di primo grado imputa alla sentenza impugnata un travisamento dei fatti che – in quanto tale – non può costituire motivo di ricorso per cassazione.

Il denunciato travisamento, in particolare, risolvendosi nell’inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, (tra le tantissime, Cass. 9 gennaio 2007, n. 213; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14100; Cass. 18 gennaio 2006, n. 830).

4. Il Giudice di primo grado – ha affermato la pronunzia ora oggetto di ricorso per cassazione – ha specificato in sentenza il criterio da lui utilizzato per la liquidazione del danno morale indicandosi tra parentesi, a fianco della dicitura danno morale, la percentuale di un terzo del danno biologico (permanente) ed ha eseguito correttamente la relativa operazione di calcolo.

Alla luce di quanto sopra detto – ha concluso la propria indagine sul punto il Giudice di appello – non è sindacabile la sua scelta di rapportare il danno morale a una percentuale del danno biologico in senso stretto, trattandosi, per l’appunto, di stima equitativa che questo giudicante ritiene di condividere tenuto conto dell’entità delle lesioni riportate dalla L. e dell’età della stessa.

5. Con il secondo motivo la ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando "violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5", per avere il Giudice di pace (e poi il tribunale) tenuto conto – ai fini del computo del danno morale – solo del danno biologico permanente, mentre – invece – avrebbe dovuto considerare sia il danno biologico temporaneo sia assoluto che temporaneo.

6. Il motivo è fondato, sussistendo il denunziato vizio di motivazione.

Come noto, unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo – come il danno biologico e quello morale – delle caratteristiche della patrimonialita è quella equitativa, essendo il ricorso a tale criterio insito nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico.

E’, dunque, da escludere che si possa far carico al Giudice di indicare le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare (costituente la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c.), giacchè intanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può essere mai provato nel suo preciso ammontare.

Tuttavia, rimane fermo il dovere del Giudice del merito di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione, in ordine al quale deve egli considerare tutte le circostanze del caso concreto e, specificamente, quali elementi di riferimento pertinenti, l’attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato, la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti (Cass. 12 aprile 2006, n. 8624; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20320).

E’ pacifico, altresì, al riguardo, che la liquidazione equitativa del danno morale, può essere legittimamente effettuata dal Giudice sulla base delle stesse tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale – in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico – purchè il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi personalizzato, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, con la conseguenza che non può giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie (Cass. 12 maggio 2006, n. 11039; Cass. 11 aprile 2006, n. 8386, nonchè Cass. 21 settembre 2007, n. 19493 e Cass. 11 gennaio 2007, n. 394).

Non controverso quanto precede è palese il vizio di motivazione in cui è incorsa la sentenza impugnata allorchè dopo avere affermato, da un lato, che "non è sindacabile la scelta del primo Giudice di rapportare il danno morale ad una percentuale del danno biologico in senso stretto", ha, contemporaneamente, ritenuto corretto il procedimento seguito dal primo Giudice nel valutare, ai fini della quantificazione del danno morale esclusivamente il danno biologico permanente, totalmente trascurando quello temporaneo, giustificando tale conclusione in base ai poteri equitativi attribuiti al Giudice del merito dell’art. 1226 c.c..

In tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, infatti, è necessario che il Giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass. 29 luglio 2005, n. 16094; Cass. 27 agosto 2004 n. 17142; Cass. 30 maggio 2002, n. 7916).

Avendo omesso il tribunale di indicare le ragioni per cui nella specie ha quantificato il danno morale in una percentuale del solo danno biologico permanente, totalmente trascurando quello temporaneo, è palese – come anticipato – la sussistenza del denunziato vizio di motivazione.

7. Ha affermato il tribunale, quanto alle spese del giudizio di primo grado, liquidate in favore della L., che il rimborso forfetario delle spese generali previsto dall’art. 15 della tariffa forense non può essere liquidato di ufficio, occorrendo una apposita domanda del legale, atteso che la stessa costituisce una spesi e non un onere accessorio e nella specie la L. non ha chiesto il rimborso di tali spese generali nella citazione introduttiva.

8. Con il quarto motivo la ricorrente censura tale capo della sentenza impugnata denunziando "violazione dell’art. 15 della tariffa professionale forense in vigore del 1 aprile 1995 con D.M. del 5 ottobre 1994, n. 585, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5".

9. Il motivo è fondato.

Pur se nel passato non sono mancate pronunce in senso contrario, ritiene la Corte di dovere confermare l’indirizzo giurisprudenziale, attualmente decisamente maggioritario, costante nell’affermare che il rimborso (cosiddetto forfettario) delle spese generali, nella misura del dieci per cento degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti procuratori, spetta all’avvocato a norma dell’art. 15 della tariffa professionale forense, approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, ed è quindi un credito che consegue (e la cui misura è determinata) per legge, sicchè spetta automaticamente al professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi, quest’ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali (in tale senso, ad esempio, Cass. 14 maggio 2007, n. 10997; Cass. 31 marzo 2007, n. 8059; Cass. 10 gennaio 2006, n. 146; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20321; Cass. 6 settembre 2004, n. 17936; Cass. 6 aprile 004, n. 6731; Cass. 18 giugno 2003, n. 9700).

Non essendosi il tribunale di Napoli adeguato al riferito principio è palese, come anticipato, che anche il quarto motivo di ricorso deve essere accolto, con cassazione, nella parte de qua, della sentenza impugnata.

10. All’accoglimento del secondo e del quarto motivo, segue sia l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso – con i quali si censura, da un lato, la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, così come operata dalla sentenza impugnata(terzo motivo) dall’altro, la disposta compensazione, tra le parti, del giudizio di appello(quinto motivo), atteso che a seguito dell’accoglimento del secondo e quarto motivo del ricorso il Giudice di rinvio deve procedere a un nuovo regolamento delle spese processuali (cfr. Cass. 21 luglio 2003, n. 11326; Cass. 18 giugno 2003, n. 9783; Cass. 17 aprile 2002, n. 5497) – sia la cassazione, in relazione ai motivi accolti, della sentenza impugnata con rinvio della causa, per nuovo esame, allo stesso tribunale di Napoli, in diversa composizione, che provvederà, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, assorbiti il terzo e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, allo stesso tribunale di Napoli, in diversa composizione.

Redazione