Corte di Cassazione Civile sez. III 30/1/2009 n. 2460; Pres. Segreto A.

Redazione 30/01/09
Scarica PDF Stampa
IN FATTO

Il fallimento della s.p.a. ILGA, in persona del curatore *****, nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Napoli tanto i precedenti curatori ( B.P. e M.M.) cui era stata in passato affidata la procedura concorsuale, quanto il Banco di Napoli s.p.a., nella qualità di istituto di credito presso il quale era stato acceso un libretto di deposito intestato al fallimento – attraverso la cui movimentazione erano stati commessi ripetuti illeciti -, ne chiese la condanna in solido al risarcimento dei danni conseguenti, da un canto, all’illecita sottrazione di cospicue somme di denaro dal predetto deposito, dall’altro, a gravi irregolarità di gestione da parte delle persone fisiche convenute in giudizio.

Il Banco di Napoli, nel costituirsi, chiese, in via principale, la declaratoria di responsabilità esclusiva dei curatori, mentre, in via riconvenzionale, domandò di essere tenuto indenne dagli stessi in ordine al quantum l’istituto fosse stato in ipotesi condannato a versare a qualsiasi titolo al fallimento.

Il B., dal suo canto, eccepì l’inesistenza di prove a suo carico in ordine agli ammanchi contestatigli e, comunque, la prescrizione dei diritti vantati dalla curatela attrice, essendo cessato dall’incarico nel 1988.

Il M., infine, contestò la domanda in rito e in merito, esponendo che, succeduto al B. nella qualità del curatore nel marzo 1993, si era avvalso (come, del resto, il suo predecessore) della collaborazione del rag. D.C.G., per tali vicende sottoposto a indagini penali (che non avevano, viceversa, in alcun modo riguardato la sua persona), mentre, a suo carico, nessuna prova era concretamente emersa quanto ad un suo presunto concorso negli illeciti contestati. Chiese, comunque, di poter chiamare in causa la propria compagnia di Assicurazioni, la Milano s.p.a., per esser da questa manlevato in caso di condanna.

Costituitasi a seguito della autorizzata chiamata, la predetta compagnia assicurativa contestò in limine l’operatività della polizza stipulata con il M., sostenendo, da un canto, che il rischio assicurato era riferibile alla sola attività professionale di commercialista – per l’effetto non estensibile a quella di curatore fallimentare – dall’altro, che, prima della stipula, il contraente era in realtà consapevole di agire contra legem – sia per aver delegato a terzi funzioni proprie quanto intrasmissibili, sia per non aver ignorato (o potuto ignorare) l’effettivo stato dei libretti nominativi di deposito.

Il giudice di primo grado dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alla domanda proposta dal fallimento nei confronti di tutti i convenuti per essere nelle more intervenuta transazione tra la procedura e il Banco di Napoli (che aveva corrisposto l’intero importo per sorta capitale corrispondente all’effettivo saldo del deposito, oltre al 30% degli interessi e delle spese legali, così rendendosi cessionario dei diritti e dei crediti vantati dal fallimento nei confronti dei due ex curatori convenuti), ripartendo poi, ai soli fini liquidatori, la responsabilità della vicenda tra lo stesso Banco di Napoli e ciascuno dei curatori nella misura, rispettivamente, del 50, del 35 e del 15%. Il B. e il M. vennero perciò condannati, in parziale accoglimento della domanda di regresso, al pagamento, in favore dell’istituto bancario, delle somme di L. 141.804.600 (il B.) e di L. 60.773.400 (il M.). Dichiarata poi inammissibile la ulteriore domanda svolta dal Banco di Napoli nei confronti della Milano assicurazioni, il giudice di primo grado rigettò la richiesta di manleva avanzata dal M. nei confronti della predetta compagnia, compensando integralmente le spese di lite.

La sentenza verrà impugnata – da M.M. in via principale, dal Banco di Napoli e dalla Milano assicurazioni in via incidentale – dinanzi alla corte di appello di Napoli, la quale, nel rigettarne in toto i gravami, osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:

a) Quanto all’appello principale:

1) che, per effetto della transazione intervenuta tra il fallimento e il Banco di Napoli, si era realizzata la fattispecie normativamente disciplinata dall’art. 1201 c.c. di per sè inidonea, sul piano funzionale, ad estinguere l’originaria obbligazione, e volta di converso a realizzare una modificazione soggettiva passiva (rectius, attiva) del rapporto, con la sostituzione di un terzo al creditore originario, senza incidenza sull’aspetto oggettivo del rapporto, la cui struttura rimaneva pertanto inalterata, mantenendo il debito le sue caratteristiche essenziali, senza incidere in senso modificativo sulla posizione del debitore originario;

2) che la sentenza di primo grado aveva (del tutto correttamente) individuato i molteplici profili di responsabilità di entrambi i curatori convenuti, sotto il profilo tanto del nesso causale quanto della colpevolezza dei comportamenti materialmente tenuti, applicando, altrettanto correttamente, il principio dell’equivalenza causale alla fattispecie, salva (ancora una volta corretta) graduazione delle responsabilità di ciascun compartecipe;

3) che la responsabilità del M. era stata condivisibilmente dichiarata in primo grado sia sotto il profilo temporale, sia sotto quello della arbitraria e illegittima attribuzione del proprio ufficio ad un terzo, sia, infine, della omessa consegna al suo successore del libretto nominativo intestato al fallimento e dei relativi documenti idonei a ricostruire l’intera movimentazione bancaria;

4) che l’operatività della polizza assicurativa stipulata dall’appellante in qualità di dottore commercialista non poteva, giusta eccezione tempestivamente sollevata dalla Milano s.p.a., estendersi alla diversa e specifica attività di curatore fallimentare. b) Quanto agli appelli incidentali:

1) che l’eccezione di prescrizione nuovamente sollevata dal B. – il quale non aveva, in realtà, sollevato in quella sede appello incidentale – era infondata, atteso che l’azione di responsabilità contro il curatore è soggetta a prescrizione decennale (con decorrenza dalla data della revoca), non ancora compiutasi al tempo dell’introduzione della domanda risarcitoria;

2) che la domanda del Banco di Napoli di attribuire l’intera responsabilità ai soli curatori era altresì da disattendere, avendo il giudice di prime cure rettamente individuato i rispetti comportamenti colpevoli, attesa, ancora, la mancanza di qualsiasi minima diligenza da parte dei dipendenti dell’istituto tanto dell’identità e della legittimazione della persona fisica che operava sul libretto, quanto dell’esistenza delle prescritte autorizzazioni del giudice delegato ai prelievi ripetutamente operati da soggetto non legittimato su di un libretto nominativo;

3) che la domanda della Milano assicurazioni relativa ai rapporti tra il Banco di Napoli e i curatori convenuti era inammissibile per carenza di interesse essendo la compagnia assicuratrice estranea ai rapporti originari e a quelli conseguenti alla surrogazione ex art. 1201 c.c.;

4) che la compensazione delle spese di lite era stata ampiamente e correttamente motivata.

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata da M. M. con ricorso per Cassazione sorretto da 4 motivi di gravame.

Resiste con controricorso il S. Paolo Banconapoli.

Resiste ancora con controricorso B.P., che propone a sua volta ricorso incidentale.

Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

IN DIRITTO

I ricorsi, principale e incidentale, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti.

Il ricorso principale di M.M. è infondato nei suoi primi tre motivi, ma meritevole di accoglimento nel quarto.

Con il primo motivo, si denuncia violazione di norme di diritto (artt. 2043 e/o 1218 – 1223 c.c.; artt. 2056, 1372 c.c.; art. 112 c.p.c.).

Il motivo è inammissibile.

Esso, nel lamentare un preteso error iuris compiuto dal giudice del merito in punto di quantificazione del danno risarcibile (erroneamente ricondotto alla transazione di cui si invoca una pretesa irrilevanza in quanto res inter alios acta: ff. 16/19 del ricorso principale) si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto (ff. 10 – 11 della sentenza) che il tribunale avesse viceversa accertato il danno su inoppugnabili basi documentali. Tale punto specifico della pronuncia di primo grado non formò oggetto di esplicita quanto necessaria impugnazione da parte del M. in sede di gravame, ove quegli si indusse ad appellare sull’erroneo presupposto che il danno de quo fosse quello oggetto di transazione (nè il ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, riporta in parte qua il contenuto dell’atto di appello a suffragio della ammissibilità dell’odierna impugnazione).

Con il secondo motivo, si denuncia violazione, errata e/o mancata applicazione di norme di diritto (artt. 1218, 1223 e/o 2043 e 2697 c.c.).

Il motivo (predicativo di una pretesa assenza di responsabilità in speculare assenza di appropriazioni nel periodo 1993 – 94: ff. 20 – 21; del ricorso) è anch’esso infondato.

Del tutto correttamente il giudice di appello ha, con motivazione immune da vizi logico – giuridici che questo collegio interamente condivide, ravvisato gli estremi della colpa del M. nelle ulteriori, autonome, indiscusse circostanze costituite dalla mancata consegna del libretto nominativo intestato alla procedura e della documentazione contabile al nuovo curatore e dall’assenso ad una illecita surrogazione della propria persona con quella di tal D. C. nell’agire per conto della procedura concorsuale, in patente violazione di legge (non senza ulteriormente considerare che gli ammanchi rilevati dal curatore subentrato ai due precedentemente surrogati attenevano anche a periodi successivi al 1989).

Con il terzo motivo, si denuncia violazione, erronea e/o mancata applicazione di norme di diritto (artt. 1223 o 2043 c.c., artt. 40 e 41 c.p.).

Il motivo (illustrato al ff. 22 – 24 del ricorso) non ha giuridico fondamento.

La contestazione in fatto della riconducibilità degli ammanchi alla condotta commissiva od omissiva del M., così come la pretesa irriducibilità del suo comportamento entro lo schema della condotta casualmente rilevante in punto di verificazione del lamentato evento di danno attingono, in realtà, a profili di mero fatto, del tutto inammissibilmente rappresentati in questa sede.

L’intera prospettazione del motivo in esame, difatti, sì come articolata, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge, si risolve, in realtà, nella (non più esperibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, come pur declamato nell’intestazione del motivo 3^, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili in questa sede, perchè la valutazione delle risultanze probatorie (e tra esse il giudizio sulla co-efficienza causale di un comportamento rispetto ad un evento di danno in ipotesi prodotto), al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice di legittimità.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 115 c.p.c., artt. 1363, 1365, 1370 c.c.).

La doglianza è fondata.

Come questa corte di legittimità ha già avuto modo di affermare, in passato, qualora il curatore fallimentare, che abbia qualifica di dottore commercialista, sia dichiarato responsabile, ai sensi del combinato disposto della *******., art. 38, comma 1, ed art. 2043 c.c., del danno ingiustamente cagionato alla procedura concorsuale nell’espletamento della sua attività di ausiliario di giustizia, l’assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che quella di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per – commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce necessariamente la propria attività professionale nell’ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (art. 2227 – 2230 c.c.) relative al contratto di prestazione d’opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando, nell’ambito di tale attività, espleta un incarico giudiziario (curatore fallimentare, notaio delegato allo scioglimento delle divisioni, consulente tecnico d’ufficio), in relazione al quale svolge pubblici poteri (in termini, Cass. n. 15030 del 2005).

Il collegio aderisce e fa proprio tale orientamento, in assenza di validi motivi per discostarsene.

Il ricorso incidentale di B.P. è inammissibile.

Tale inammissibilità non trae, peraltro, fondamento nelle motivazioni esposte nel controricorso della banca S. Paolo (ff. 1 e 55.) – atteso che, come recentemente affermato dalle sezioni unite di questa Corte regolatrice, con la sentenza 27.11.2007 n. 24627 a soluzione di un perdurante contrasto di giurisprudenza, sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza;

conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale – ma nella circostanza processuale per cui il ricorrente incidentale, lamentando che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non proposto dinanzi a sè appello incidentale non leggendo con la dovuta attenzione la comparsa di costituzione, introduce in questa sede una evidente censura di tipo revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità dei restanti motivi di doglianza, su cui si sarebbe evidentemente dovuto pronunciare il giudice della revocazione.

La disciplina delle spese (che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate) segue come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta i primi tre motivi del ricorso principale, accoglie il quarto e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che provvederà alla liquidazione delle spese anche del giudizio di cassazione tra la Milano assicurazioni e ******.. Le spese tra tutte le altre parti del presente giudizio sono interamente compensate.

Redazione