Corte di Cassazione Civile sez. III 28/9/2009 n. 20790; Pres. Massera M.

Redazione 28/09/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 20 marzo 1997 T.P. conveniva in giudizio Z.L. e la AUSL (omissis) chiedendone la condanna al pagamento di L. 62.943.570 deducendo: 1) affetto da poliomielite infantile, il piede equino era stato trattato con intervento di artrodesi triplice allo (omissis) nel (omissis), con esiti di invalidità permanente del 40%; 2) il (omissis), a seguito di una caduta accidentale, si procurava una frattura alla gamba destra; 3) ricoverato all’ospedale di (omissis), Divisione ortopedica, era stato operato dal convenuto, ma le sue condizioni erano peggiorate – soprattutto nella deambulazione e l’invalidità civile riconosciuta era aumentata al 68%, mentre secondo lo specialista ortopedico al 75%. Il Tribunale dichiarava improponibile la domanda per difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’assicurazione RAS. Con sentenza del 23 febbraio 2008 la Corte di appello di Ancona rigettava l’appello sulle seguenti considerazioni: 1) dalle conclusioni del C.T.U., non contraddette dal C.T.P., emergeva che la responsabilità del professionista deve esser valutata con il criterio del dolo o colpa grave stante l’implicazione di problemi tecnici di speciale difficoltà ed il caso era assolutamente fuori dell’ordinario con riferimento al trauma fratturativo a carico dello stesso distretto anatomico interessato dalla poliomielite infantile e successivo intervento triplice di artrodesi nel (omissis); 2) la dedotta imprudenza del professionista era generica non essendo contestata la sua preparazione professionale anche in relazione alle esigenze particolari del caso, mentre la negligenza attribuitagli era smentita dalle conclusioni del C.T.U., che ha definito condivisibile ed anzi necessitata la scelta operatoria del medico anche per la metodica e l’estrema attenzione dei sanitari al decorso post-operatorio; 3) pertanto difettava l’elemento soggettivo dell’illecito anche sotto il profilo della colpa lieve; 4) conseguentemente la ritenuta – dal C.T.U. – insufficienza dell’intervento di osteosintesi per qualità di consolidazione del focolaio ottenuta, nonostante un impegno attento e continuo, significava che un diverso esito non poteva pretendersi in presenza di quelle preesistenti condizioni patologiche. Ricorre per cassazione il T. cui resiste lo Z.. Il ricorrente ha depositato memoria per il procedimento in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., al cui esito è stata disposta la pubblica udienza. Il resistente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce: "art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 2236 e 2697 c.c.. Omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio".

La Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi di cui agli artt. 1176, 2236, 2697 c.c., perchè per qualificare una prestazione professionale di particolare difficoltà occorre che essa sia nuova e specialmente complessa tecnicamente, tenendo conto che il grado di abilità per affrontarla deve essere rapportato alla specializzazione del sanitario e alle caratteristiche del centro ospedaliero in cui è effettuato l’intervento. Inoltre il professionista deve usare la diligenza da rapportare all’attività esercitata e la perizia, da intendere anche come conoscenza ed attuazione di regole tecniche di una determinata arte e professione, con scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione. Egli perciò deve valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, chiedendo, se del caso, un consulto, e deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, ovvero deve informare il paziente consigliandogli una struttura sanitaria più idonea. Il C.T.U. ha evidenziato la straordinarietà della lesione, ma non la speciale difficoltà di gestione della stessa, avendo anch’egli ritenuto praticabile l’intervento di osteotomia, ed i sanitari attraverso le radiografie effettuate prima, durante e dopo l’intervento, erano in grado di verificare l’imperfetta consolidazione del focolaio di frattura e quindi la sua progressiva scomposizione, causa del consolidamento scorretto dell’arto. I convenuti non hanno dimostrato l’esistenza di una prevedibile, altamente rischiosa esecuzione dell’intervento di osteo – sintesi tale da trascendere la preparazione del medico specializzato. Formula quindi i seguenti quesiti di diritto: a) se per soddisfare i presupposti dell’art. 2236 c.c., è sufficiente la prova della straordinarietà della lesione od occorra invece la specifica dimostrazione della speciale difficoltà della prestazione medica nel caso concreto e se, in definitiva, la particolarità o rarità della lesione costituisca in sè prova della esistenza di un caso di speciale difficoltà od occorra invece la specifica e puntuale dimostrazione, da parte del professionista, dell’oggettivo e prevedibile alto margine di rischio che l’esecuzione dell’atto medico su quella lesione comporta; b) se nel concetto di speciale difficoltà della prestazione professionale di cui all’art. 2236 c.c., debba essere compreso ogni intervento che richieda per la sua particolarità – frattura di un arto già menomato – una abilità non comune o solo quelli per i quali siano richiesti attenzione ed abilità speciali che trascendono la preparazione media del medico specializzato; c) se la difficoltà dell’intervento e la diligenza del professionista vadano comunque rapportate al livello della sua specializzazione ed alle strutture tecniche a sua disposizione e se quindi l’abilità inedia richiesta al medico specializzato per le prestazioni che attengono alla sua specializzazione debba esser valutata con maggior rigore; d) se il medico comunque debba considerare con scrupolo e prudenza i limiti della propria adeguatezza professionale e dei mezzi a disposizione, e se del caso consigliare il ricovero in una struttura più idonea; e) se rientri nei doveri di diligenza specifica del medico quello di monitorare il decorso operatorio e post-operatorio del paziente e di intervenire – o far intervenire – nel caso in cui dagli accertamenti tecnici operatori e post – operatori – radiografieemerga una situazione non corretta o comunque anomala.

Sussiste altresì il vizio di motivazione. Infatti la Corte non ha tenuto conto che il C.T.U. ha evidenziato la ipotizzabile emendabilità della deformità a prezzo di un ulteriore sacrificio chirurgico prevista già quando il T. era in convalescenza ed anche dagli specialisti del (omissis) e dunque non era un intervento di speciale difficoltà e comunque la Corte non spiega perchè un intervento non routinario fosse per ciò solo di speciale difficoltà e perchè, malgrado l’attento e continuo impegno dei sanitari, affermato dalla Corte di merito, il C.T.U. ha affermato che la riduzione del focolaio di frattura era leggermente imperfetta e con un’ulteriore parziale scomposizione durante il trattamento in gesso in base agli accertamenti radiografici prima, durante e dopo l’operazione. Perciò su tali punti decisivi è ravvisabile la negligenza del professionista anche per non aver consigliato il trasferimento del paziente in altra struttura.

Il motivo è fondato nei limiti di seguito specificati.

Dalla narrativa della sentenza impugnata emerge che, secondo la relazione del C.T.U., non contestata dalle parti, l’intervento di osteo-sintesi per ridurre la frattura esposta sovramaileolare della caviglia dx del T., cagionata dalla caduta, era un evento assolutamente raro e straordinario, e difficile da gestire, perchè il medesimo arto inferiore era stato già chirurgicamente trattato con triplice artrodesi con postumi rilevanti e perciò il caso era privo dei comuni parametri statistici e/o bibliografici di riferimento.

Quindi, trascendendo il problema tecnico da risolvere la preparazione media e non essendo ancora sufficientemente studiato dalla scienza medica e sperimentato nella pratica, con conseguente maggior margine di rischio del risultato, correttamente (Cass. 10297/2004) la Corte di merito ha escluso la colpa grave dell’ortopedico nell’aver ridotto il focolaio di frattura non del tutto perfettamente, con conseguente "accentuazione dell’equinismo e comparsa di lieve latero – deviazione" secondo la stessa C.T.U., nè vi è contraddittorietà tra la difficoltà della soluzione tecnica da adottare per ridurre la frattura stante la rarità del complesso intervento su un arto già menomato, e l’ipotizzata possibilità di tentare di eliminare i vizi determinati dalla consolidazione viziata mediante un altro intervento chirurgico.

Tuttavia, poichè anche se l’esecuzione dell’intervento richiede un impegno tecnico – professionale speciale il professionista ha l’obbligo di adottare tutte le precauzioni per impedire prevedibili complicazioni e di adoperare tutta la scrupolosa attenzione che la particolarità del caso richiede, secondo la prudenza e la diligenza esigibili dalla specializzazione posseduta, per l’inosservanza di tali obblighi risponde anche per colpa lieve (Cass. 9085/2006). E poichè l’obbligo della prestazione secondo le leges artis, che il professionista deve provare di aver rispettato (Cass. 24791/2008), persiste per il chirurgo per tutte le fasi dell’intervento, anche per quelle post-operatorie, egli deve attentamente seguire il paziente anche in relazione a possibili e non del tutto prevedibili eventi che possono intervenire dopo l’intervento, ponendo in essere tutte le precauzioni e i rimedi conosciuti e conoscibili dalla scienza e alla pratica medico-specialistica del settore conosciuti e conoscibili in quel dato momento storico.

Nella fattispecie, emerge dalla sentenza impugnata che le cause del peggioramento del T., soprattutto nella deambulazione e nella stazione eretta, rispetto alla preesistente artrodesi tibio-tarsica – dovuto alla difformità anchilotica del complesso caviglia piede dx in equino – valgo – pronazione (accentuato dall’intervento) – e latero – deviazione (comparsa dopo l’intervento), è derivato non soltanto dalla non ottimale riduzione intraoperatoria, ma altresì dall’insufficiente qualità della consolidazione del focolaio di frattura, che si è ulteriormente scomposta nonostante la sintesi chirurgica, durante il periodo – definito dal C.T.U., secondo la sentenza impugnata, "marcatamente prolungato" – di immobilizzazione gessata femoro-podalica ripetutamente rinnovata (dal 29 febbraio 1992, e poi dal 4 marzo 1992 e ancora dal 9 aprile 1992), complicazioni tutte che, secondo la C.T.U. richiamata dalla sentenza impugnata, avevano determinato la consolidazione viziata del focolaio sui piani frontale e sagittale. Pertanto, poichè tali complicazioni, secondo il C.T.U. risultano dagli accertamenti strumentali eseguiti nella fase pre e post operatoria, spettava al medico provare innanzi tutto che erano state determinate da eventi imprevisti e inevitabili, e quindi che, pur essendosi egli tempestivamente accorto di esse, non erano tempestivamente eseguibili opportuni rimedi, secondo un criterio probabilistico di riuscita, sì che non poteva esser impedita la definitiva consolidazione della frattura, avvenuta in modo viziato. Pertanto il motivo va accolto.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente deduce: "Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Omessa motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio".

La sentenza di primo grado aveva ritenuto l’inammissibilità- improcedibilità della domanda per la mancata citazione in giudizio dell’assicuratore, ma l’appello sul motivo pregiudiziale era stato accolto e ciononostante la Corte di merito ha condannato il T. alle spese del grado senza tener conto della reciproca soccombenza compensando le spese o condannando l’appellato al pagamento di quelle di secondo grado per la sua infondata eccezione. Formula quindi seguenti quesiti di diritto: "se la parte che abbia proposto impugnazione avverso una sentenza che ha definito il giudizio in accoglimento di una eccezione pregiudiziale – preliminare sollevata dalla controparte risulti poi vittoriosa rispetto a tale questione, ma soccombente nel merito, debba esser ritenuta ai fini della decisione sulle spese giudiziali, totalmente soccombente o debba ravvisarsi piuttosto una situazione di reciproca soccombenza; se comunque il comportamento processuale della parte che ha dato causa alla decisione impugnata, poi riformata, costituisca giusto motivo per la compensazione delle spese legali".

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo precedente per effetto del principio, previsto dall’art. 336 cod. proc. civ., comma 1, secondo il quale la cassazione della sentenza impugnata ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto espansivo) come le spese processuali, con la conseguenza che il giudice di rinvio ha il potere di rinnovarne totalmente la regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite. Pertanto il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovi accertamenti di fatto ed esame alla luce di principi suesposti.

Il giudice del rinvio provvedere altresì sulle spese, anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Bologna.

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