Corte di Cassazione Civile sez. III 28/6/2010 n. 15404

Redazione 28/06/10
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Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 165 c.p.c., depositato il 3.3.03, D.F. e D.A. proponevano opposizione avverso esecuzione coattiva di obbligo di fare (consistente nel caso di specie nella rimozione con spostamento ad oltre tre metri dall’edificio di De.Fr. di balle di fieno e paglia collocate a ridosso della detta abitazione), esecuzione intrapresa contro di loro dal predetto De.Fr.. Sostenevano gli opponenti l’inesistenza del diritto della controparte a procedere alla esecuzione, adducendo che il titolo accampato, consistente in ordine alla rimozione contenuto in provvedimento possessorio poi confermato dalla decisione di merito, già aveva ricevuto esecuzione, e che la controparte pretendeva, in base al medesimo titolo, di fare rimuovere anche un diverso mucchio (di paglia e non più di fieno) posto all’incirca nel medesimo luogo, ma non considerato nel titolo esecutivo azionato.

Si costituiva il creditore procedente ed il Tribunale adito, con sentenza in data 18.11.2003 accoglieva l’opposizione (ritenendo che la collocazione del nuovo "mucchio" di fieno concretasse fatto ulteriore e diverso da quello che aveva determinato il titolo esecutivo in questione); proponeva appello De.Fr. e la Corte d’Appello di Torino, costituitisi D.A. e D.F. rigettava l’opposizione, accogliendo il gravame. Affermava, in particolare la Corte territoriale che condivisibile era l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, secondo cui finchè l’autore dello spoglio tiene fermo, sia pure con modalità diverse da quelle poste inizialmente in essere, lo stato di illiceità acclarato dalla sentenza di reintegra del possesso, questa spiega i suoi effetti di realizzazione concreta del bene tutelato, comportando il divieto di nuovi atti idonei a perpetuare la situazione illegittima che deve essere eliminata, senza che necessiti l’esperimento di ulteriori azioni a tutela del possesso. Nel caso di specie si è trattato, come pacifico in atti, della collocazione, a breve distanza di tempo dalla prima, di nuovi analoghi ingombri nel medesimo punto da cui era stato disposto nel provvedimento possessorio l’asporto;

trattavasi dunque non già di una nuova situazione di eliminazione era volto il titolo esecutivo.

Ricorrono per cassazione D.A. e D.F. con due motivi; resiste con controricorso De.Fr..

Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione. Si afferma che "la Corte di merito non spiega affatto, come invece avrebbe dovuto, se la sentenza di reintegra in possesso, acclarante lo stato lesivo, onde avere quella data valenza così ritenuta in sfavore dei resistenti, debba intendersi sentenza passata in giudicato ovvero sentenza ancora soggetto ad impugnazione"; inoltre che la Corte di merito ha disatteso la difesa svolta dagli odierni ricorrenti in comparsa conclusionale avente ad oggetto la possibilità per il procedente di "avanzare nei riguardi degli opponenti una domanda riconvenzionale".

Con il secondo motivo si deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto in tema di cosa giudicata formale, di esecuzione forzata, di obblighi di fare e di non fare e di opposizione all’esecuzione".

Nel controricorso preliminarmente si deduce la carenza di procura in capo al difensore del ricorrente.

Il ricorso è inammissibile.

Manca infatti lo stesso di idonea e valida procura speciale per il presente giudizio in sede di legittimità, non potendo certo ritenersi ritualmente conferita a tal fine, la "procura speciale stesa in margine al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado", così come testualmente riportato nell’intestazione dello stesso ricorso oggi in esame.

Come infatti statuito da questa Corte (tra le altre, n. 14749/2007), nel giudizio di cassazione, la procura speciale (espressamente prevista dall’art. 365 c.p.c.) che deve essere conferita al difensore iscritto nell’apposito albo in epoca anteriore alla notificazione del ricorso (o del controricorso) investendo espressamente lo stesso patrocinatore del potere di proporre impugnazione per cassazione contro un provvedimento determinato, non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati. Pertanto, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal suddetto art. 83, comma 2, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (forma "alternativa" non effettuata nel caso di specie). In difetto dell’osservanza di una di tali necessarie forme consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Redazione