Corte di Cassazione Civile sez. III 28/2/2008 n. 5272; Pres. Vittoria P.

Redazione 28/02/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 12.2.99 i coniugi P.M. e L. E., premesso che con preliminare di vendita (omissis) la s.a.s.

**************** & C., in persona del socio accomandatario C.L., aveva promesso di vendere loro un appartamento con box sito in (omissis), e che essi avevano pagato l’intero prezzo entro il 31.12.94; che in sede di stipula dell’atto definitivo il (omissis) era risultato che sugli immobili suddetti, già promessi in vendita liberi da vincoli, era stata iscritta ipoteca in favore del Monte dei Paschi di Siena; che, non avendo il C., in proprio e nella qualità, onorato l’obbligazione assunta di liberare i beni dall’ipoteca a proprie cure e spese, avevano ottenuto dal Tribunale di Avellino la condanna, con sentenza n. 80/99, del C. a liberare immediatamente gli immobili dall’ipoteca; che non solo l’iscrizione non era stata cancellata, ma anzi il C. il (omissis) aveva venduto al figlio convivente, C.M., i diritti per una quota del 50% da lui vantati sul fabbricato, con annesso terreno e deposito, sito in (omissis); convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino la società predetta ed entrambi i C. per sentir condannare in solido la società e C.L. al risarcimento del danno da inadempimento e per sentir dichiarare inefficace nei loro confronti ex art. 2901 c.c. l’atto del 27.4.95, o accertare in subordine la simulazione assoluta dell’atto stesso e in via ancor più subordinata condannare C.M. al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c..

I convenuti contestavano tutte le domande, chiedendone il rigetto.

Con sentenza n. 1455/00 del 31.7/28.9.00 il Tribunale adito condannava in solido la società suddetta e C.L. al pagamento in favore degli attori, a titolo di risarcimento danni, della somma di L. 557.835.445, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, e dichiarava l’inefficacia nei confronti degli attori medesimi dell’atto di compravendita del 27.4.95.

Il C.M. proponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo il rigetto della domanda avanzata nei suoi confronti dai coniugi P. per difetto dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c..

Gli appellati P. e L., costituitisi, chiedevano il rigetto del gravame, mentre non si costituiva in giudizio il curatore delle parti nelle more fallite, la s.a.s. **************** & C. e C.L. in proprio.

Con sentenza depositata il 15.7.03 la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione C. M., affidandosi a quattro motivi, mentre i coniugi P.- L. resistevano al gravame con controricorso.

Il ricorrente ha prodotto in atti anche una memoria illustrativa.

Nessuna attività difensiva veniva svolta dal curatore del fallimento della soc. **************** & C. e di C.L. in proprio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 81 – 99 – 100 – 112 c.p.c., *******., artt. 43 – 51 – 66 e art. 2901 c.c., non avendo la Corte di merito tenuto conto del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui, sopravvenuto il fallimento del debitore, la legittimazione a proseguire il giudizio promosso dal creditore ex art. 2901 c.c. sarebbe spettata solo al curatore, in quanto la perdita di legittimazione del creditore trovava riscontro nel venir meno del suo interesse all’azione.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 2901 c.c. e artt. 99 – 112 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, avendo la Corte napoletana erroneamente ritenuto che il pregiudizio legittimante l’azione revocatoria ordinaria possa derivare anche da una obbligazione infungibile ed addirittura non suscettibile di esecuzione forzata, in quanto il pregiudizio richiesto dall’art. 2901 c.c. può concretarsi nella somma occorrente per l’eliminazione dell’atto che ha arrecato pregiudizio, e cioè quella necessaria per liberare l’immobile dall’ipoteca.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2901 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto, da una parte, che detta norma non fa distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione e, dall’altra, che comunque l’azione revocatoria era stata proposta solo nei confronti di C. L..

Con il quarto motivo lamenta infine la violazione degli artt. 1482 – 2866 – 2901 c.c., ed omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che il credito dei coniugi P. fosse già sorto nel momento in cui la soc. Criscitino, ricevuto l’intero prezzo, ha offerto in garanzia gli immobili lasciando iscrivere l’ipoteca, mentre in realtà – restando la tutela risarcitoria accordata all’acquirente di un bene ipotecato condizionata alla positiva dimostrazione da parte del medesimo di un pregiudizio effettivo e concreto, che nella specie non è stata affatto fornita – il credito de quo sarebbe sorto in un momento successivo all’esperimento dell’azione revocatoria.

1. Il primo motivo deve ritenersi infondato.

Il ricorrente, infatti, imputa alla Corte di merito di non aver dichiarato – una volta sopravvenuto il fallimento del debitore C.L. l’improseguibilità del processo e di aver pronunciato, invece, sul merito dell’appello.

Questo Collegio non ignora che in numerose pronunce, anche recenti, la Corte di cassazione ha ritenuto che, allorquando dopo la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione alla prosecuzione del processo spetti esclusivamente al curatore, che si sostituisce a tutti gli effetti al creditore ed appare come un sostituto processuale della massa dei creditori, privati della legittimazione ad iniziare o a proseguire l’azione per tutta la durata della procedura fallimentare, senza che possa trovare applicazione l’istituto dell’intervento di terzo e con salvezza dell’effetto interruttivo della prescrizione prodotto dalla domanda introdotta dal creditore (v. Cass. n. 11760/02; n. 10921/02; n. 17943/05).

Nell’ambito di questo indirizzo questa Corte ha anche precisato che a seguito della riassunzione del giudizio da parte del curatore, quale unico legittimato alla prosecuzione dell’azione, gli effetti della pronuncia, consistenti nell’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale, si produrranno non più a vantaggio del singolo attore, bensì di tutti i creditori del fallito (Cass. n. 11760/02 cit.; n. 7119/98; n. 3485/77).

Con un recente arresto (n. 11763/2006), però, questa Corte è addivenuta ad una sostanziale revisione critica delle argomentazioni espresse dalle suddette decisioni sottolineando, in particolare, l’esigenza che le medesime vengano rivedute almeno per la parte in cui esse escludono la possibilità di proseguire una azione del creditore individuale dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, riconoscendo solo al curatore la legittimazione esclusiva all’esercizio o alla prosecuzione dell’azione.

Tale decisione ha evidenziato, infatti, come la legittimazione del curatore alla prosecuzione dell’azione ben possa concorrere con la trattazione e la decisione dell’azione individuale proposta dal singolo creditore, nel senso che – come è stato riconosciuto anche da parte della dottrina – può ammettersi che il creditore rimanga legittimato a proseguire l’azione da lui promossa, raccordandola eventualmente a quella della massa.

Ed in effetti, questa Corte ha più volte affermato che la posizione del curatore che agisce in giudizio può variare di caso in caso, a seconda dell’interesse che egli intende far valere e che è correlato, di volta in volta, alle ragioni del fallito o dei creditori e della massa fallimentare (Cass. n. 8545/03; n. 5026/99), per cui quando agisce come creditore, sostituendosi alle ragioni del fallito o come avente causa da quest’ultimo, egli si trova nella stessa situazione processuale del medesimo (Cass. n. 6625/84), mentre, quando agisce, invece, per la conservazione o l’incremento dell’attivo fallimentare, lo stesso assume di regola la duplice veste di rappresentante della massa dei creditori e del fallito (Cass. n. 5026/99 sopra cit.; n. 1619/85).

Tanto premesso, questo Collegio ritiene di condividere il mutamento di indirizzo giurisprudenziale attuato con la suddetta sentenza n. 11763/06 come più rispondente di quello precedentemente seguito alla realtà processuale del giudizio di cui trattasi.

Ed invero, la sentenza impugnata da atto espressamente della mancata costituzione in giudizio del curatore del fallimento della **************** & ********* e di C.L. in proprio, benchè ritualmente evocato in giudizio.

E’ certo, dunque, che nel caso di specie la curatela in questione sia stata posta in grado di far valere nel presente giudizio le proprie legittime pretese, in primo luogo quella riguardante la rivendicazione nei confronti delle altre parti processuali di una sua esclusiva legittimazione a proseguire l’azione promossa dai coniugi P.- L..

In assenza, pertanto, di una costituzione in appello della curatela e di sue pertinenti richieste da effettuare eventualmente in tale sede, giustamente la Corte di merito ha proceduto all’esame delle doglianze addotte dall’appellante, attuando in tal modo il principio sopra delineato della relativa autonomia della azione individuale già promossa dal singolo creditore rispetto alla legittimazione del curatore alla prosecuzione dell’azione stessa.

Nè può sostenersi che a seguito del fallimento del debitore (dichiarato, nel caso di specie, dal Tribunale di Avellino con sentenza depositata il 5.6.2000) siano venuti meno l’interesse e la legittimazione ad agire dei creditori, giacchè è pacifico che l’accoglimento dell’azione revocatoria, come si evince dagli artt. 2901 e 2902 c.c., non comportando affatto l’invalidità dell’atto di disposizione sui beni ed il rientro di quest’ultimi nel patrimonio del debitore alienante, bensì esclusivamente l’inefficacia dell’atto stesso nei soli confronti del creditore che abbia agito per conseguirla, con conseguente possibilità per quest’ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenutine validamente proprietari (Cass. n. 1227/97), si risolverebbe pur sempre certamente in un giovamento per il creditore stesso.

Infatti, una volta ottenuta la sentenza di revoca a suo vantaggio, il creditore individuale potrebbe soddisfare il suo credito espropriando un bene non appartenente alla massa attiva, e così arrecando indirettamente un vantaggio anche per la massa stessa.

2. Anche il secondo motivo è infondato.

Infatti, la Corte di merito ha spiegato, con motivazione assolutamente immune da vizi logici ed errori giuridici, le ragioni per le quali ha ritenuto meritevole di tutela – ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria – la pretesa creditoria dei coniugi P.- L., evidenziando correttamente come per tale esperimento non fosse richiesta l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile (v. Cass. n. 11471/03), ma solo l’esistenza di una situazione di pregiudizio ad una ragione creditoria anche soltanto eventuale, per cui non poteva negarsi la tutela ex art. 2901 c.c. ad un credito ravvisato giustamente nell’ammontare della somma occorrente per liberare l’immobile dall’ipoteca iscrittavi.

Si coglie a pag. 7 della sentenza un riferimento del ricorrente ad un giudicato che si sarebbe formato tra le parti a seguito della sentenza n. 903/00 del Tribunale di Avellino, che avrebbe escluso l’esistenza di un danno risarcibile.

Ma, anche a prescindere dal rilievo che nell’indicazione delle violazioni di legge invocate dal ricorrente non figura alcuna norma specifica che faccia riferimento al dedotto giudicato, resta comunque insormontabile la manifesta infrazione del principio di autosufficienza del ricorso, che preclude in ogni caso a questo Collegio la possibilità di prendere atto della portata del giudicato stesso.

3. Il terzo motivo non presenta anch’esso alcun fondamento.

Ed invero, come ha esattamente argomentato la sentenza impugnata, si rileva che nè l’art. 2901 c.c. nè la *******., artt. 66 e 67 fanno alcun riferimento ad una distinzione tra atti di ordinaria o di straordinaria amministrazione, e che l’azione revocatoria è stata proposta nei soli confronti di C.L. e non in quelli della s.a.s. **************** & C. per cui la suddetta distinzione non avrebbe alcuna ragione di essere se riferita ad una persona fisica.

4. Il quarto motivo non è fondato.

Va premesso in linea di fatto che nel caso in esame non ricorre esattamente l’ipotesi in astratto richiamata dal ricorrente, e cioè quella di un acquirente di un bene ipotecato, atteso che è pacifico che l’ipoteca venne iscritta in data (omissis) dopo che, a seguito del preliminare di vendita del (omissis) (nel quale l’immobile era stato promesso in vendita libero da ogni vincolo reale), i resistenti avevano pagato l’intero prezzo pattuito entro il 31.12.94 ed in sede di stipulazione dell’atto definitivo il (omissis) la società venditrice si era obbligata a liberare l’immobile dall’ipoteca a proprie cure e spese nel termine di 45 giorni.

Va considerato, pertanto, del tutto fuor di luogo il riferimento alla disciplina di cui all’art. 2866 c.c., che ovviamente riguarda le ipotesi di consapevole acquisto di un bene gravato da ipoteca, mentre, per quanto riguarda la disciplina dettata dall’art. 1482 c.c., che pur in astratto potrebbe attagliarsi al caso di specie, si rileva che la medesima risulta sostituita dalla più specifica regolamentazione pattizia contenuta nell’atto definitivo di trasferimento di proprietà dell’immobile stipulato l’8.3.96, come sopra ricordato.

Giustamente, peraltro, la sentenza gravata fa risalire l’origine del credito dei resistenti, avente natura risarcitoria, alla data del (omissis), in cui la società venditrice ed il C.L. (illimitatamente responsabile), pur avendo già ricevuto l’intero prezzo della compravendita, hanno offerto in garanzia alla banca Monte dei Paschi di Siena gli immobili oggetto della promessa di vendita lasciandovi iscrivere ipoteca, anche se il credito stesso trova infine la sua specifica definizione – relativamente al suo preciso ammontare pecuniario – attraverso l’accertamento giudiziale circa l’inadempimento, da parte di C.L. in proprio e nella qualità, dell’obbligazione di liberare gli immobili dall’iscrizione ipotecaria (oggetto di accertamento da parte del Tribunale di Avellino con sentenza n. 80/99) a seguito della pronuncia della sentenza in primo grado n. 1455/00 da parte dello stesso Tribunale.

Sia l’atto dispositivo, avvenuto il 27.4.95, che l’azione revocatoria, iniziata il 12.2.99, sono, perciò, successivi alla data predetta del (omissis).

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore dei controricorrenti.

Redazione