Corte di Cassazione Civile sez. III 26/4/2010 n. 9917

Redazione 26/04/10
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Svolgimento del processo
Con sentenza 7 gennaio – 17 marzo 2005 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto da Z.V. avverso la decisione 10066 del 2002 del giudice unico presso il Tribunale di Roma, che aveva respinto la sua domanda di risarcimento di danni da responsabilità professionale proposta contro C.S..

Nell’atto di citazione l’attore aveva esposto che egli, nella sua attività di gestore di un bar, in (omissis) si era avvalso, per qualche tempo, dell’opera del commercialista, C.S., per la tenuta della contabilità e per alcuni incombenti di natura fiscale.

Nel novembre 1992 la Guardia di Finanza aveva effettuato un controllo nel suo esercizio commerciale, riscontrando irregolarità formali nella tenuta dei libri contabili, in conseguenza del fatto che il professionista non aveva utilizzato la documentazione contabile trasmessagli dallo Z. ai fini della compilazione della dichiarazione dei redditi e della determinazione dell’imponibile ai fini IRPEF e IVA. Il C., infine, non aveva provveduto a proporre ricorso alla Commissione Tributaria avverso l’accertamento, nonostante si fosse fatto rilasciare apposita procura dallo Z..

Per questo motivo, l’attore aveva dovuto pagare all’Erario, in più riprese, la somma complessiva di L. 82.992.006.

Ritenendo che tale importo corrispondesse esattamente al danno conseguente all’inadempimento della opera professionale del C., l’attore aveva chiesto la condanna di quest’ultimo all’integrale risarcimento del danno.

Il Tribunale di Palmi rigettava la domanda ritenendo non provato il rapporto di opera professionale tra le parti, osservando, comunque, che la mancanza agli atti del rapporto della Guardia di Finanza impediva qualsiasi riscontro in ordine alla rilevanza che si assumeva trasmessa al commercialista, rispetto all’accertamento contestato.

Infine, il Tribunale osservava che anche un eventuale conferimento di procura "ad hoc" non poteva determinare, di per sè, l’accertamento di una responsabilità del C., poichè si sarebbe dovuto accertare anche la infondatezza dell’accertamento fiscale.

La Corte di appello, con la sentenza sopra richiamata, confermava la decisione di primo grado.

Avverso tale decisione lo Z. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi.

Resiste il C. con controricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia illegittimità della violazione dell’art. 354 c.p.c., (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), violazione del principio del contraddittorio e del diritto del doppio grado del giudizio di merito, nonchè carenza assoluta di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il giudice di appello aveva rigettato il primo motivo di appello con il quale era stato censurata la decisione di primo grado, in quanto assunta allo stato degli atti, ovvero senza l’esame, da parte del Tribunale, della documentazione prodotta ed allegata al fascicolo di parte attrice.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso di smarrimento del fascicolo di parte, il giudice ha l’obbligo di disporre la ricerca di esso con tutti i mezzi a sua disposizione, eventualmente dando disposizioni per le ricostruzione del suo contenuto.

La decisione del giudice di primo grado, assunta "allo stato degli atti" ed in assenza della documentazione allegata dalla parte attrice al proprio fascicolo era stata resa in violazione del principio del contraddittorio.

Il ricorrente precisa, poi, che il giudice del merito, nel caso di mancanza del fascicolo di parte, ha un preciso obbligo di disporre la ricostruzione del fascicolo, nel caso in cui non sia possibile il ritrovamento della documentazione. La decisione assunta dal primo giudice in mancanza della documentazione prodotta e in difetto di regolare instaurazione del contraddittorio, avrebbe dovuto essere riformata dalla Corte di appello.

La causa avrebbe dovuto essere rimessa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., essendo del tutto mancato un adeguato esame di tutte le questioni sollevate con la domanda introduttiva.

La prima censura è, senz’altro, infondata.

Invero il codice di rito (artt. 353 e 354 c.p.c.) prevede in modo tassativo le situazioni nelle quali è consentita la rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado (cfr. per tutte Cass. 1983 n. 1180); e fra queste non è certamente ricompreso il mancato reperimento del fascicolo di primo grado.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione dell’art. 354 c.p.c., concernente la rimessione della causa al primo giudice da parte del giudice di appello per motivi diversi da quelli (di giurisdizione e di competenza) indicati dall’art. 353 c.p.c., ha carattere eccezionale e non può essere applicata oltre i casi da essa previsti, e, quindi, neppure nell’ipotesi (ivi appunto non contemplata) di mancato reperimento, al momento della decisione, nel giudizio di primo grado, di un fascicolo di parte, pur ritualmente depositato (Cass. 18 giugno 1990 n. 6121).

Sulla legittimità costituzionale di tale interpretazione cfr. Cass. 10 novembre 1979 n. 6042.

Il giudice di appello ha espressamente riconosciuto che il fascicolo dello Z., ritirato del suo difensore, non venne più depositato in cancelleria.

In questi casi, ovviamente, i principi più volte affermati da questa Corte con riferimento allo smarrimento del fascicolo di parte non possono trovare applicazione, poichè l’omesso rideposito dei documenti contenuti nel fascicolo di parte era da attribuire al comportamento volontario del difensore della parte nel giudizio di primo grado (in questo senso Cass. 12 ottobre 2006 n. 21938).

Qualora una delle parti ometta di depositare il proprio fascicolo, precedentemente ritirato, il giudice non resta esonerato dal dovere di pronunciare nel merito della causa, sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti riscontrabili nel fascicolo dell’altra parte ed in quello di ufficio.

Tra l’altro, la Corte territoriale ha osservato che la documentazione contenute nel fascicolo di parte (mancante al momento della decisione del primo giudice) era stata effettivamente prodotta a sostegno dell’appello e correttamente ritenuta ammissibile, in quanto prova precostituita.

Coerentemente, sulla base di tali premesse, i giudici di appello hanno escluso che nel caso di specie si fosse consumata una qualsiasi violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 116 c.p.c., nonchè per errato ed inadeguato esame della prova documentale, illogica, insufficiente e travisante motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

I giudici di appello avevano escluso la esistenza di un rapporto professionale tra lo Z. ed il C., che risultava invece da una serie di documenti prodotti, oltre che dalle dichiarazioni rese da un testimone indicato dall’attore.

Inoltre, dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza in data 25 novembre 1992 risultava quale luogo di conservazione della contabilità del bar lo studio di consulenza del Dott. C.S., in (omissis).

Tutti questi elementi di prova erano stati trascurati dalla Corte territoriale, la quale aveva ritenuto no, decisiva la deposizione testimoniale, in quanto resa dal figlio dello Z., non significativa la indicazione del luogo di conservazione della contabilità, in quanto proveniente dallo stesso Z., e ininfluente la lettera di denuncia di attivazione della copertura assicurativa (per la responsabilità professionale) inviata dallo stesso C., perchè priva di qualsiasi collocazione temporale.

Anche queste censure sono prive di qualsiasi fondamento.

I giudici di appello hanno osservato che lo Z. aveva richiesto il risarcimento del danno da responsabilità professionale per due distinti inadempimenti: riguardante, il primo, la non corretta tenuta della contabilità ed, il secondo, la mancata impugnazione dell’accertamento fiscale.

Sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha osservato che la testimonianza raccolta e la mera domiciliazione della documentazione contabile presso il commercialista (comunicata peraltro dallo stesso contribuente ai militari verbalizzanti) non dimostravano, da sole, la esistenza di un rapporto di opera professionale dell’ampiezza e del contenuto indicati dall’originario attore.

Inoltre, era difficilmente ipotizzabile "la esecuzione dei minuti adempimenti contabili che la gestione di un esercizio commerciale comporta da parte di un commercialista che, domiciliatario della documentazione contabile, ha il proprio studio professionale a varie centinaia di chilometri di distanza".

I militari della Guardia di Finanza, peraltro, avevano accertato la presenza del registro dei corrispettivi presso il bar dello Z.. Il registro risultava regolarmente tenuto almeno fino all’ottobre 1992: circostanza questa che confermava come la contabilità dell’esercizio fosse tenuta giorno per giorno, in (omissis), da persona diversa dal C., pacificamente domiciliato e residente in (omissis).

Quanto al secondo incarico professionale, con adeguata e logica motivazione, gli stessi giudici di appello hanno osservato che non vi era prova di un conferimento al commercialista dello specifico incarico di proposizione di ricorso alla Commissione tributaria avverso l’avviso di accertamento.

La linea difensiva adottata dallo Z. – ha sottolineato la Corte territoriale – era stata in proposito, quanto meno, confusa e contraddittoria.

Egli aveva, da un lato, prodotto le fotocopie di quattro invii di lettere raccomandate, spedite dallo stesso C. alla Commissione Tributaria di primo grado ed all’Ufficio IVA di Reggio Calabria, in epoca compatibile con la impugnativa che assumeva omessa (giugno 1993).

Dall’altro, ma in aperto contrasto con la precedente affermazione, aveva dedotto che il ricorso alla commissione Tributaria non era stato presentato dal professionista.

A sostegno della tesi del conferimento dell’incarico professionale per la presentazione del ricorso, Z. si era limitato – anche in questo caso – ad offrire la testimonianza del proprio figlio (all’epoca dei fatti sedicenne), il quale aveva reso una deposizione del tutto generica.

Questi aveva dichiarato di aver consegnato al C., recatosi in (omissis) per la occasione delle feste pasquali, un foglio, firmato in bianco dal padre, da utilizzare per la presentazione di un ricorso alla Commissione Tributaria.

I giudici di appello, esaminate nel loro complesso le risultanze probatorie, hanno concluso che il contenuto dell’incarico conferito al C. – a tutto voler concedere – doveva considerarsi del tutto generico.

Tra l’altro, ha sottolineato la stessa Corte territoriale, risultava poco verosimile che lo Z. avesse inteso conferire l’incarico di proporre ricorso alla Commissione Tributaria proprio a quel commercialista che aveva contribuito, con il proprio comportamento negligente, alla violazione fiscale.

Con autonoma "ratio decidendi" – non impugnata specificamente dal ricorrente – i giudici di appello hanno infine, rilevato che, anche a voler ritenere che un incarico professionale fosse stato conferito al C., per poter accogliere la richiesta di risarcimento dello Z. questi avrebbe dovuto dimostrare (come del resto aveva correttamente posto già in luce il primo giudice) la esistenza di eventuali errori nei quali era incorsa la Guardia di Finanza e le connesse probabilità di successo del ricorso.

Al contrario, la stessa impostazione difensiva, adottata dallo Z., faceva escludere la possibilità di successo di una eventuale impugnativa.

Il principio affermato dai giudici di appello appare, in tutto conforme, alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:

"La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita" (Cass. 9 giugno 2004 n. 10966; conf. Cass. 19 novembre 2004 n. 21894; cfr. anche, per la valutazione del nesso di causalità giuridica tra omissione ed evento. Cass. 18 aprile 2005 n. 7997).

Le osservazioni della Corte territoriale, ampiamente e logicamente motivate, sfuggono a qualsiasi censura di violazione di legge o di vizi della motivazione.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Redazione