Corte di Cassazione Civile sez. III 25/2/2008 n. 4712; Pres. Preden R., Est. Travaglino G.

Redazione 25/02/08
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In fatto e diritto

M. e Gr.Ma., insieme con F.S., ricorrono per la cassazione della sentenza con la quale la corte di appello di Roma, in parziale accoglimento della loro domanda giudiziale, aveva condannato Z.E. e la compagnia assicuratrice "Nuova Tirrena" al risarcimento del danno biologico e morale da essi subito in conseguenza della morte – in un incidente stradale – del congiunto G.L..

Tra i motivi di censura mossi alla sentenza, la difesa dei ricorrenti ha sottoposto a questo collegio la questione della risarcibilità del c.d. danno esistenziale – di cui si opina, nella articolata illustrazione della relativa doglianza, una irriducibile disomogeneità morfologica rispetto alle categorie del danno morale soggettivo e del danno biologico – lamentandosene, nella specie, la omessa liquidazione in sede di giudizio di merito.

All’odierna udienza di discussione, il procuratore generale, nel rassegnare le proprie conclusioni, e nel sottolineare l’esistenza di un ormai irredimibile contrasto di giurisprudenza insorto in seno a questa stessa sezione sul tema del ed. "danno esistenziale", ha preliminarmente chiesto che la causa venisse rimessa al Primo Presidente, per la eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte.

Il collegio ha provveduto in conformità, sulla base delle considerazioni che seguono.

1) E’ noto come, nella ampia motivazione delle sentenze di cui a Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003, si sia consapevolmente evitato di attribuire autonomo rilievo semantico alla categoria del danno esistenziale (che pure è stato, nell’ultimo decennio, il vero protagonista, in dottrina e in giurisprudenza, del dibattito culturale sul contenuto ultimo del danno non patrimoniale, segnando profondamente alcuni itinerari del definitivo approdo al "nuovo" sistema risarcitorio di cui all’art. 2059, così come re-intepretato da quelle stesse sentenze).

2) In particolare, al folio (OMISSIS) di entrambe le pronunce, si legge che "il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona" , per poi discorrersi, ancora "di una tutela riconosciuta al danno non patrimoniale nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica" (pare opportuno precisare, al riguardo, come la corte abbia utilizzato – del tutto consapevolmente – i termini "valori/interessi" della persona, piuttosto che il sintagma "diritto soggettivo inviolabile"). Riaffermata, poi, l’accezione di danno non patrimoniale in termini di vulnus ai valori inerenti alla persona, preciseranno ancora gli estensori di quelle pronunce che "non sembra proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione al risarcimento, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica" , per poi concludere (folio (OMISSIS)): "si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch’essi, come gli altri, di natura non patrimoniale", il che (OMISSIS)43 (OMISSIS)danno esistenziale", poichè attraverso questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pur attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale. Per meglio intendere la portata del principio di tipicità del danno non patrimoniale predicato in sentenza, è necessario esaminarne ulteriormente la parte motiva, ove si legge che, "mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c.c., comporta un’atipicità dell’illecito, come esattamente affermato a seguito degli arresti della S.C. nn. 500 e 501 del 1999, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile, infatti la struttura dell’art. 2059 c.c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge". Ulteriore precisazione operata dalla sentenza in discorso, quella secondo cui, nella comprensibile esigenza di "non contraddizione" con il dictum delle sezioni unite, il danno esistenziale sarebbe confinato entro la circoscritta dimensione del rapporto contrattuale, tale essendo stata la fattispecie in concreto portata all’attenzione delle sezioni unite della corte e risolta con la sentenza del marzo 2006. Sarebbe, pertanto, identificabile un danno esistenziale da rapporto contrattuale – quale quello di lavoro, che ripete la sua ragion d’essere dall’art. 2087 – e un danno da illecito extracontrattuale non definibile come "esistenziale", perchè "ai fini dell’art. 2059, non può farsi riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale dagli incerti e non definiti confini…". 13) Da ascriversi, ancora, all’orientamento anti-esistenzialista post 2003, le sentenze della stessa 3^ sezione civile nn. 23918 del 2006, 9510 e 9514 del 2007, 14846 del 2007 (quest’ultima resa in tema di danno da uccisione dell’animale di affezione). Nell’ambito del filone "esistenzialista" troveranno viceversa spazio le pronunce 13546/2006 e 2311/2007, in un crescendo di sempre più marcata antinomia di posizioni che hanno indotto una recente e fortemente critica dottrina a rilevare come, addirittura, "accada che relatore di una sentenza dove trova conferma il danno esistenziale nella forma di perdita della capacità di avere rapporti sessuali per conseguita impotentia coeundi" sia addirittura "lo stesso magistrato che, soltanto qualche mese prima si era espresso negativamente sulla figura del danno esistenziale". 14) La dottrina non ha poi mancato di osservare come, a mente del D.Lgs. n. 209 del 2005, capo 3^, titolo 10^, (c.d. "codice delle assicurazioni"), il combinato disposto degli artt. 137 (danno patrimoniale) e 138/139 (danno biologico) potrebbe addirittura indurre a ritenere legittimamente risarcibili soltanto tali voci di danno, dovendosi per volontà dello stesso legislatore identificare ormai l’intero danno non patrimoniale con il danno biologico, così abbandonando la triplice configurazione prospettata nel 2003.

Le attuali posizioni giurisprudenziali (e ancor più dottrinarie), caratterizzate da forti momenti di contrasto (e da non poca confusione) sugli aspetti morfologici e funzionali del danno non patrimoniale postula, dunque, un nuovo e non più rinviabile intervento delle sezioni unite di questa corte, intervento, d’altronde, sempre più intensamente auspicato in tutti gli ambienti (forensi, dottrinari, giurisprudenziali) degli attuali operatori del diritto, onde fornire definitiva risposta ai molteplici quesiti che il tema del danno non patrimoniale tuttora pone, e che possono così sintetizzarsi: 1) Rispetto alla tripartizione delle categorie del danno non patrimoniale operata dalla corte costituzionale nel 2003, è lecito ed attuale discorrere, a fianco del danno morale soggettivo e del danno biologico, di un danno esistenziale, con esso intendendosi il danno derivante dalla lesione di valori/interessi costituzionalmente garantiti, e consistente nella lesione al fare a-reddituale del soggetto, diverso sia dal danno biologico (cui imprescindibile presupposto resta l’accertamento di una lesione medicalmente accertabile) sia dal danno morale soggettivo (che attiene alla sfera dell’intimo sentire)? 2) I caratteri morfologici del danno "esistenziale" così rettalmente inteso consistono nella gravità dell’offesa, del diritto costituzionalmente protetto (come pur postulato da autorevole dottrina), ovvero nella gravità e durevolezza delle conseguenze dannose scaturenti dal comportamento illecito? 3) Va dato seguito alla teoria che distingue tra una presunta "atipicità dell’illecito patrimoniale" rispetto ad una presunta "tipicità del danno non patrimoniale" (Cass. 15022/2005, secondo la quale, come si è già avuto modo di ricordare in precedenza, mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c.c., comporta un’atipicità dell’illecito, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile che sarebbe, dunque, tipico in quanto la struttura dell’art. 2059 c.c., limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge"), o va piuttosto precisato che quello della atipicità dell’illecito – di cui alla Generalklausel dell’art. 2043 c.c., – è concetto riferibile all’evento di danno, inteso (secondo la migliore dottrina che si occupa dell’argomento fin dagli anni 60) come lesione di una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, e giammai come conseguenza dannosa dell’illecito, si che il parallelismo con la (pretesa, ma non dimostrata) "tipicità del danno non patrimoniale" parrebbe confondere, anche rispetto a tale ultima fattispecie, il concetto di evento di danno con quello di conseguenza dannosa dell’evento? 4) Deve, ancora, darsi seguito all’orientamento, espresso da Cass. n. 23918 del novembre 2006, secondo il quale il dictum di cui alla sentenza a sezioni unite di questa corte del precedente mese di marzo doveva intendersi limitato, quanto al riconosciuto danno esistenziale, al solo ambito contrattuale, ovvero affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell’illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano? 5) A quale tavola di valori/interessi costituzionalmente garantita pare corretto riferirsi, oggi, per fondare una legittima richiesta risarcitoria a titolo di danno esistenziale? In particolare, un danno che non abbia riscontro nell’accertamento medico, ma incida tuttavia nella sfera del diritto alla salute inteso in una ben più ampia accezione (come pur postulato e predicato in sede sovranazionale) di "stato di completo benessere psico-fisico" può dirsi o meno risarcibile sotto una autonoma voce di danno esistenziale da lesione del diritto alla salute di tipo non biologico dacchè non fondato su lesione medicalmente accertabile? (la questione trova una sua possibile, concreta applicazione, tra le altre, nella vicenda dell’uccisione dell’animale di affezione, di cui sopra si è dato cenno);

6) Quali sono i criteri risarcitori cui ancorare l’eventuale liquidazione di questo tertium genus di danno onde evitare illegittime duplicazioni di poste risarcitorie? Possono all’uopo soccorrere, in parte qua (come accade per il danno morale soggettivo) le tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, ovvero è necessario provvedere all’elaborazione di nuove ed autonome tabelle? 7) Quid iuris, ancora, in ordine a quella peculiare categoria di danno ed. "tanatologico" (o da morte immediata), la cui risarcibilità è stata costantemente esclusa dalla giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità, ma che pare aver ricevuto un primo, espresso riconoscimento, sia pur a livello di mero obiter dictum, con la sentenza n. 15760 del 2006 della 3^ sezione di questa corte? 8) Quali sono, in concreto, gli oneri probatori e gli oneri di allegazione posti a carico del danneggiato che, in giudizio, invochi il risarcimento del danno esistenziale (il problema si è posto in tutta la sua rilevanza in fattispecie quali quella dell’uccisione di un figlio minore: la relativa domanda risarcitoria è stata, difatti, negata, con riferimento al caso di specie, da Cass. 20987/2007, proprio in relazione ad una vicenda di uccisione di una giovanissima figlia, per insufficiente allegazione e prova, da parte dei genitori/attori, della relativa situazione di danno, diversa da quella relativa al danno morale soggettivo e da quella psicofisica di danno biologico).

Le sezioni unite sono altresì chiamate a dare conferma (o, eventualmente, a precisare o modificare), sulla base della propria stessa giurisprudenza, in ordine ad alcune ulteriori proposizioni, che possono così sintetizzarsi:

1) il danno patrimoniale è risarcibile ex art. 2043 c.c., quello non patrimoniale secondo il combinato disposto degli artt. 2043 + 2059 c.c.;

2) la categoria del danno patrimoniale si articola nelle due sotto-voci del lucro cessante e del danno emergente;

3) la categoria del danno non patrimoniale si articola a sua volta in un sottosistema composto dal danno biologico in senso stretto, dal danno esistenziale, dal danno morale soggettivo;

4) il danno biologico e il danno esistenziale hanno morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, quella alla salute il primo, quelle costituite da "valori/interessi costituzionalmente protetti" il secondo) ma funzioni diversificate (anche per volontà del legislatore ordinario), con conseguenti differenze sul piano dei parametri valutativi delle poste risarcitorie;

5) in particolare, il danno esistenziale attiene alla sfera del fare a-reddituale del soggetto, e si sostanzia nella lesione di un precedente "sistema di vita", durevolmente e seriamente modificato, nella sua essenza, in conseguenza dell’illecito;

6) il danno morale soggettivo si caratterizza, invece, per una diversa ontogenesi, restando circoscritto nella sfera interiore del sentire, mai destinata all’obbiettiva esteriorizzazione;

7) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono incondizionatamente risarcibili entro i limiti della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.;

8) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili anche oltre quei limiti se (e solo se) il comportamento del danneggiante abbia inciso su valori/interessi costituzionalmente tutelati (e il superamento del limite della riserva di legge vale tanto per l’una quanto per l’altra categoria di danno, come si legge testualmente nella sentenza 8828/2003 della S.C.);

9) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili se (e solo se) di entrambi il danneggiato fornisca la prova (anche mediante allegazioni e presunzioni), non esistendo, nel nostro sottosistema civilistico, "danni in re ipsa".

P.Q.M.

La corte rimette gli atti del procedimento al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.

Redazione