Corte di Cassazione Civile sez. III 24/6/2009 n. 14772; Pres. Varrone M.

Redazione 24/06/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con citazione notificata in data 1-8-2000 T.O. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Ancona U.C. e U.S., comproprietari (quali eredi di U. G.) dell’immobile sito in (omissis), concesso in locazione al T. da M.G. (nella qualità – a quanto si legge nella sentenza impugnata – di curatore dell’eredità giacente, mentre – secondo quanto riferito da parte intimata – si trattava del custode del compendio ereditario), perchè venisse dichiarato risolto il contratto di locazione per inadempimento della parte locatrice e per sentire, altresì, condannare i convenuti al risarcimento dei danni, quantificati in L. 30.747.800, derivanti dal mancato godimento dell’immobile locato, in quanto privo dei requisiti dedotti in contratto. A fondamento della domanda esponeva che l’immobile, accatastato come magazzino, era privo dei requisiti di destinazione urbanistica, in rapporto all’uso di laboratorio odontotecnico indicato in contratto.

Resistevano i convenuti, i quali rilevavano che il conduttore, pur avendo manifestato la volontà di risolvere il contratto sin dal (omissis), aveva continuato a conservarne la detenzione sino all'(omissis), evidentemente traendone utilità; chiedevano, quindi, il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la condanna del T. al pagamento dei canoni rimasti insoluti sino al rilascio.

I convenuti chiedevano ed ottenevano, inoltre, di chiamare in causa il M., che aveva stipulato il contratto di locazione per esserne garantiti in caso di accoglimento della domanda.

Si costituiva anche il terzo chiamato, il quale contestava i presupposti delle avverse domande e ne chiedeva il rigetto.

Proceduto al mutamento del rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c., e istruita la causa, con sentenza in data 11 marzo 2003, il Tribunale di Ancona, rilevato che il conduttore aveva comunque tratto utilità contrattuale dal godimento dell’immobile che si era protratto sino all'(omissis), rigettava la domanda attrice e accoglieva quella riconvenzionale di pagamento dei canoni insoluti sino al rilascio.

1.2. La decisione, gravata da appello del T., era confermata dalla Corte di appello di Ancona, la quale – precisato che risultava abbandonata la domanda dichiarativa di risoluzione per inadempimento, essendo stata riproposta solo quella di risarcimento dei danni – con sentenza in data 22-9/4-10-2004 rigettava l’impugnazione, condannando l’appellante alle spese.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.O., svolgendo un unico motivo.

Hanno resistito C. e U.S., nonchè M. G., depositando due distinti controricorsi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1218 c.c.. In particolare il ricorrente deduce che la risoluzione del contratto – operando con effetto ex nunc – non poteva liberare i proprietari (o il curatore) della responsabilità per il non corretto adempimento delle proprie obbligazioni, prevista dall’art. 1218 c.c.. Contesta, quindi, il punto della sentenza impugnata in cui si rileva che il conduttore, essendo a conoscenza dei problemi inerenti alla destinazione urbanistica del bene, aveva assunto il rischio della regolarizzazione dell’immobile; deduce, a tal riguardo, di aver stipulato il contratto per uso laboratorio odontotecnico nell'(omissis) e di avere comunicato al curatore sin dal (omissis) che la destinazione d’uso era "magazzino", senza che costui o i proprietari provvedessero ai relativi incombenti; assume, altresì, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, di non aver fruito dell’immobile, per effetto dell’inadempimento o non completo adempimento dei locatori, anche perchè altrimenti sarebbe andato incontro alle sanzioni previste dal regolamento comunale di igiene, essendo necessaria per lo svolgimento dell’attività artigiana un’apposita autorizzazione comunale, subordinata alla verifica dell’idoneità dei locali; censura, infine, la decisione impugnata, nel punto in cui si rileva l’assenza di specificazione del pregiudizio materiale subito dal conduttore, per effetto della mancata regolarizzazione della destinazione urbanistica dell’immobile, assumendo che i danni erano quelli documentati, rappresentati da spese per allacci elettrici, acquisti mobili e macchinari, spese di due traslochi ecc..

1.1. Il motivo è infondato.

Il ricorrente – pur formalmente denunciando violazione di legge in relazione all’art. 1218 c.c. – sollecita, nella sostanza, la rivalutazione delle risultanze processuali e delle conclusioni congrue e logiche che ne hanno tratto i giudici di merito, fondandole sul principale rilievo che lo stesso comportamento del conduttore (che, pur avendo intimato disdetta nel (omissis), continuò a detenere il bene sino all'(omissis)) era sintomatico della permanenza della funzione sinallagmatica contrattuale.

Siffatto comportamento è apparso sicuramente concludente, perchè espressivo della fruizione funzionale e utilitaria del bene (per effetto delle morfologicamente immutate modalità di esercizio del possesso) ed è stato, altresì, ritenuto rispondente ad una logica comportamentale ben precisa, segnatamente evidenziando a tal riguardo i giudici di appello (sulla base di una deposizione testimoniale) che il T. era a conoscenza dei problemi inerenti la regolarizzazione del bene sotto il profilo della formale destinazione urbanistica e ne aveva accettato il rischio nel momento della stipula del contratto, rifiutandosi successivamente di accollarsene gli oneri, dopo averne verificato l’importo.

1.2. Ritiene il Collegio che le riportate argomentazioni, unitamente al rilievo che solo la messa a disposizione del bene in favore del locatore (eventualmente con offerta formale) avrebbe potuto evitare la mora debendi, siano corrette sotto il profilo logico-giuridico e idonee a giustificare il diniego della pretesa risarcitoria nei confronti dei locatori, anche a prescindere dall’ulteriore considerazione dell’assenza di specifica allegazione di un pregiudizio causalmente riconducibile alla mancata regolarizzazione del bene.

E’ il caso di precisare che la circostanza che l’utilizzo dell’immobile avrebbe esposto il conduttore a sanzioni amministrative non infirma la ratio decidendi la quale poggia, da un lato, sul rilievo della perdurante fruizione dell’immobile da parte del conduttore e, dall’altro, sulla considerazione dell’originaria conoscenza del "problema" da parte del medesimo T..

Del resto costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso di beni immobili non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto di locazione sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuta, mentre del mancato rilascio il locatore è responsabile nei confronti del conduttore quando la destinazione particolare dell’immobile in conformità alle richieste autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative abbia costituito il contenuto dell’obbligo specifico dello stesso locatore di garantire il pacifico godimento dell’immobile in rapporto all’uso convenuto (Cass. civ., Sez. 3^, 17/01/2007, n. 975; cfr. anche Cass. 5 novembre 2002 n. 15489; n 12030 del 2000 e n. 4598 del 2000), circostanza, quest’ultima, neppure dedotta da parte ricorrente.

1.3. Si ricorda in proposito che il vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie astratta prevista da una norma e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (confr. Cass. civ. 8 giugno 2007, n. 13391). Questo peraltro ricorre solo quando le ragioni poste a fondamento della decisione non siano esplicitate o adeguatamente esplicitate, appaiano logicamente sconnesse ovvero tra loro contrastanti, in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi (confr. Cass. civ. 6 marzo 2008, n. 6064).

Orbene il ricorrente, pur allegando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato la norma di cui all’art. 1218 c.c., si limita in realtà a censurare la lettura delle risultanze di causa, peraltro con continui rinvii a dati fattuali, che non sono controllabili come tali in questa sede.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Il ricorrente va condannato, per il criterio di soccombenza, a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, rispettivamente, in favore di U.C. e S., nonchè in favore di M.G..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di ciascuna delle due parti resistenti in Euro 1.700,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Redazione