Corte di Cassazione Civile sez. III 23/1/2009 n. 1688; Pres. Filadoro C.

Redazione 23/01/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il M. notificò alla Banca Popolare di Sondrio atto di pignoramento presso terzi per la somma di L. 4.200.000 su conto corrente intestato alla debitrice MI.Ja.. Questa, successivamente, inviò al M. la somma di L. 2.500.000, mediante assegno tratto sul medesimo conto; assegno che non fu pagato dalla banca, in quanto l’intero deposito (ammontante a complessive L. 7.087.475) risultava sottoposto a pignoramento.

Il M. citò, allora, in giudizio la Banca e la M. J., chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di L. 2.500.000.

Il giudice di pace di Sanremo respinse la domanda con sentenza poi parzialmente riformata dal Tribunale della stessa città, il quale (respinta la domanda contro la MI.) ha ritenuto colposa, perchè negligente, la condotta della Banca consistita nel bloccare tout court il conto corrente della MI. e, quindi, il pagamento dell’assegno in questione, senza procedere a verificare (come avrebbe richiesto l’esercizio di una diligenza media) se nel predetto conto risultassero depositate somme di denaro in eccedenza rispetto a quelle sottoposte al vincolo del pignoramento, così da consentire la copertura del titolo passato all’incasso dal M.. Il Tribunale ha, dunque, condannato la Banca al rimborso in favore del M. delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

La Banca propone ricorso per la cassazione della sentenza del Tribunale di Sanremo, svolgendo due motivi. Risponde con controricorso il M..

La ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la banca censura la sentenza per aver affermato la sua colpa senza tener conto del principio secondo cui il pignoramento presso terzi obbliga il terzo a vincolare ed a custodire l’intero suo debito nei confronti del debitore esecutato e non solo l’importo corrispondente al credito indicato dall’esecutante, ai sensi dell’art. 543 c.p.c., comma 2. Di qui, dunque, l’inesistenza di una condotta antigiuridica, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Il secondo motivo censura la sentenza per non aver rilevato il difetto d’interesse del M. all’azione, stante l’impossibilità della Banca (terza pignorata) di pagare l’assegno, salvo che il creditore pignorante non avesse previamente provveduto a rinunciare al pignoramento e ad estinguere la procedura. Al contrario, il M. in data 3 marzo 2001 ha chiesto ed ottenuto l’assegnazione delle somme pignorate (corrisposte dalla Banca), sicchè non aveva più interesse a proporre la domanda di cui all’atto di citazione notificato il 4 aprile 2001.

Il secondo motivo – che deve essere per primo esaminato – è inammissibile in quanto prospetta una questione del tutto nuova, la quale presuppone un accertamento di merito che non può essere svolto in sede di legittimità.

Nè, sul punto, la sentenza risulta censurata ai sensi dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Fondato è, invece, il primo motivo con il quale – come s’è detto – si chiede alla Corte di sapere se la Banca, nella qualità di terzo pignorato, sia obbligata a custodire e vincolare l’intero suo debito nei confronti del debitore esecutato o solo l’importo indicato dall’esecutante ai sensi dell’art. 543 c.p.c., comma 2.

Questa Corte ha già avuto modo di spiegare (ed occorre qui ribadire) che, nell’espropriazione presso terzi di somme di denaro o di prestazioni continuative di denaro, oggetto del pignoramento è la somma, unitaria o frazionata nel tempo, di cui il terzo è debitore nei confronti del creditore procedente e di quelli intervenuti, e non la quota di essi pari al credito per il quale il creditore ha agito in via esecutiva.

Si perviene a tale conclusione ponendo in rilievo le differenze che intercorrono tra il pignoramento mobiliare presso il debitore (artt. 492, 517 e 518 c.p.c.) e l’espropriazione presso terzi, laddove l’atto di pignoramento deve contenere l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice (art. 543 c.p.c., comma 2, n. 2).

Si precisa, altresì, che il credito dell’esecutante costituisce soltanto il limite della pretesa fatta valere in executivis, mentre l’intervento di altri creditori, previsto dall’art. 551 c.p.c., incontra, nella distribuzione, l’unico limite delle somme dovute dal terzo, ma non anche quello ulteriore del credito per il quale ha agito in via esecutiva il creditore pignorante.

In implicito contrasto con tali affermazioni la sentenza impugnata ha invece ritenuto che, nel pignoramento del credito del debitore verso terzi, il vincolo di indisponibilità di detto credito si produce nei limiti del credito per il quale si procede.

Tali argomentazioni non sono condivisibili.

Il vincolo di indisponibilità, posto dall’art. 2913 c.c., presuppone e richiede l’esatta individuazione delle cose o dei crediti sottoposti ad esecuzione forzata: individuazione che avviene, nell’esecuzione mobiliare, ad opera dell’ufficiale giudiziario (art. 518 c.p.c.) e, in quella presso terzi, con la specificazione, da parte di costoro, di quali cose o somme essi siano debitori o siano in possesso (art. 547 c.p.c., comma 1); specificazione che, in difetto, avviene invece (se avviene) all’esito del giudizio di cognizione (art. 548 c.p.c., e segg.).

Tanto premesso, agli effetti del vincolo si deve quindi accertare se rilevi o meno il credito per il quale il soggetto, che ha promosso l’esecuzione, procede: se, in altri termini, il vincolo possa prodursi anche per beni o crediti eccedenti il valore del credito stesso.

La soluzione affermativa è offerta dallo stesso legislatore: le disposizioni generali in tema di espropriazione forzata, come tali applicabili ad ogni tipo di esecuzione, prevedono infatti la riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.), talchè, se nell’espropriazione mobiliare l’esatta indicazione del credito, per il quale si procede (art. 492 c.p.c.), non esclude affatto che l’ufficiale giudiziario possa pignorare beni di valore ben eccedente il credito stesso, in quella presso terzi effetti diversi e limitativi non possono riconoscersi, nè sul piano letterale, nè su quello logico e sistematico, alla prescritta indicazione, nel relativo atto di pignoramento, del credito per il quale si procede (art. 543 c.p.c., comma 2, n. 1).

Argomenti interpretativi nello stesso senso sono offerti dall’intervento di altri creditori, previsto dalla legge (art. 498 c.p.c. e segg.) e dallo stesso principio – di ordine pubblico (Cass. sez. un. 19 dicembre 1990, n. 12031) – della par condicio, posto dall’art. 2741 c.c., comma 1, e valido non solo nel fallimento ma anche nell’esecuzione individuale (destinato, peraltro, a realizzarsi nei diversi modi previsti dalle rispettive norme): se, infatti, tutti i creditori tempestivamente intervenuti concorrono, salvo le cause legittime di prelazione, alla distribuzione, limitare gli effetti del vincolo al solo credito, per il quale si procede, importerebbe che, in caso di intervento di altri creditori, non solo costoro ma lo stesso creditore procedente dovrebbero necessariamente promuovere, contro ogni regola di economia processuale, altro procedimento esecutivo al fine di poter soddisfare le quote dei rispettivi crediti, rimaste incapienti.

Nè vale il richiamo all’art. 527 c.p.c., comma 1, talora addotto a sostegno della opposta soluzione. La norma attribuisce, bensì, al creditore pignorante la facoltà di indicare ai creditori intervenuti l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili (con la sanzione, prevista dal comma 2, che lo stesso creditore ha diritto, in sede di distribuzione, ed in deroga, quindi, alla par condicio, di essere preferito agli intervenuti che non si siano giovati senza giusto motivo di tale indicazione); tuttavia, agli effetti in esame, da essa non possono trarsi argomenti interpretativi, poichè la norma disciplina l’ipotesi esattamente opposta (del pignoramento, cioè, di beni di valore tale da non poter soddisfare creditore procedente ed intervenuti) a quella in discussione (di pignoramento, invece, di credito in grado di soddisfare creditore procedente ed intervenuti).

Per i concetti che precedono, cfr. soprattutto Cass. 29 gennaio 1999, n. 798.

Deve essere, pertanto, affermato il principio in ragione del quale:

"nell’espropriazione presso terzi di somme di denaro, oggetto del pignoramento è la somma di cui il terzo è debitore nei confronti del creditore procedente e di quelli intervenuti e non la quota di essi pari al credito per il quale il creditore ha agito in via esecutiva.

Ne consegue che la banca presso la quale è avvenuto il pignoramento di somme di danaro è obbligata a vincolare l’intero suo debito nei confronti del debitore esecutato e non solo l’importo indicato dall’esecutante ai sensi dell’art. 543 c.p.c., comma 2".

Nella specie, dunque, la Banca ha legittimamente rifiutato di pagare al M. la somma portata dall’assegno da lui messo all’incasso, posto che il vincolo derivante dal pignoramento atteneva all’intera somma di cui l’istituto era debitore nei confronti della MI. e non al mero importo per il quale il creditore aveva originariamente agito in via esecutiva.

La sentenza impugnata deve essere, dunque, cassata, con rinvio al Tribunale di Sanremo, in persona di diverso magistrato, perchè s’adegui all’enunciato principio.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Sanremo, nella persona di diverso magistrato, anche perchè provveda sulle spese del giudizio di cassazione.

Redazione