Corte di Cassazione Civile sez. III 22/6/2009 n. 14553; Pres. Petti G.B.

Redazione 22/06/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E.F. ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo emesso il 30.6.1994 dal Pretore di Naso, su ricorso dell’avv. L.S., recante condanna al pagamento di L. 4.467.719, quale compenso per prestazioni professionali.

L’opposto ha resistito e il Tribunale di Patti, subentrato al soppresso ufficio del Pretore, ha respinto l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo e condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali.

Proposto appello dal soccombente, a cui ha resistito l’appellato, con sentenza 20 ottobre-2 dicembre 2003 n. 496 la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza impugnata, ponendo a carico dell’appellante le spese del grado.

Con atto notificato il 17.1.2005 E.F. propone quattro motivi di ricorso per cassazione.

L’intimato non ha presentato difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 244 cod. proc. civ., e l’insufficiente e contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la sentenza del Tribunale, quanto alla pronuncia di decadenza dell’ E. dalla prova testimoniale per l’omessa indicazione dei testi entro il termine assegnato allo scopo. Il termine era stato fissato dal giudice "sino all’udienza prossima", e l’udienza successiva (12.5.1995) non era stata tenuta a causa dello sciopero degli avvocati. A suo avviso il termine per il deposito della lista dei testimoni doveva ritenersi prorogato fino all’udienza effettivamente tenuta.

1.1.- Il motivo non è fondato.

La Corte di appello ha correttamente interpretato l’ordinanza di assegnazione del termine, nel senso che l’udienza successiva costituiva la data ultima entro la quale potevano essere indicati i testimoni, restando indifferente il fatto che il deposito avvenisse in sede di udienza od in Cancelleria.

Così come l’interessato avrebbe potuto provvedere al deposito ancor prima della data dell’udienza, parimenti è da ritenere che quest’ultima data, e non il materiale svolgimento dell’udienza, costituissero il termine ultimo, considerato anche che i termini assegnati dal giudice per completare le proprie deduzioni istruttorie sono perentori e non prorogabili (cfr. art. 184 cod. proc. civ., comma 2, nel testo in vigore all’epoca dei fatti).

2.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, il ricorrente lamenta che il giudice di appello abbia travisato il significato del suo quarto motivo di appello, omettendo di decidere sulla questione effettivamente proposta, che consisteva nel fatto che l’avv. L. aveva dichiarato, prima della causa, che le sue competenze ammontavano a non più di L. 1.300.000, mentre aveva poi chiesto il pagamento di una somma superiore. La Corte di appello ha respinto la censura con motivazione non congrua: rilevando cioè che egli non aveva contestato di dover pagare la suddetta somma.

2.1.- La censura è inammissibile perchè del tutto irrilevante in ordine alla ratio deciderteli della sentenza impugnata, la quale ha respinto l’appello e confermato il decreto ingiuntivo opposto per avere ritenuto dimostrate le prestazioni di cui il L. chiedeva il pagamento e per averne accertato la congruità, in relazione alla tariffa professionale.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 631 e 653 cod. proc. civ., insufficienza e contraddittorietà della motivazione, poichè la Corte di appello ha omesso di revocare il decreto ingiuntivo, sebbene nel corso del giudizio di primo grado egli avesse pagato all’avv. L. L. 1.300.000, a seguito di ordinanza di condanna in via provvisoria, emessa dal Tribunale ai sensi dell’art. 186 bis cod. proc. civ.. La sentenza di rigetto dell’opposizione aveva comportato la duplicazione dei titoli esecutivi per le medesime somme, mentre la Corte di appello avrebbe dovuto decidere la controversia nel merito, tenendo conto dei rapporti di dare ed avere seguiti al parziale pagamento.

3.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Il ricorrente non contesta quanto affermato nella motivazione della sentenza impugnata, cioè che l’appellato ha dimostrato di avere preteso, mettendo in esecuzione i due titoli, soltanto la somma risultante dalla detrazione di quanto percepito in forza del precedente titolo, già azionato.

Va condivisa perciò la motivazione della Corte di appello, la quale ha rilevato che – fermo ed incontestato restando il diritto del ricorrente alla detrazione della somma già corrisposta – egli potrà avvalersi dei rimedi concessi dalla legge nel processo di esecuzione forzata, per paralizzare eventuali abusi del creditore.

4.- Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e art. 75 disp. att. c.p.c., oltre che di una serie di norme sulla liquidazione delle spese, per avere la Corte di appello liquidato cumulativamente spese, diritti ed onorari in favore del L., sebbene questi non avesse depositato la nota spese.

Assume che in tal caso debbono essere specificamente indicati gli atti a cui le spese, i diritti e gli onorari si riferiscono, sì da consentire alla controparte il controllo della conformità della liquidazione alle tariffe professionali.

Assume poi che la Corte di appello ha liquidato al L. gli onorari di avvocato, sebbene egli si difendesse personalmente, senza specificare se l’attività svolta richiedesse effettivamente la difesa di un avvocato.

4.1.- Il motivo non è fondato.

Vero è che, nel caso di mancata presentazione della nota spese ad opera della parte che chiede il rimborso delle spese processuali, il giudice deve indicare gli atti a cui si riferisce la liquidazione di diritti ed onorari.

Ma chi proponga ricorso per cassazione per questo motivo è tenuto ad esplicitare le ragioni per cui la liquidazione operata dalla sentenza impugnata è da ritenere incongrua o sproporzionata in relazione all’attività svolta nel giudizio (cfr. fra le altre Cass. civ. Sez. 3^, 26 giugno 2007 n. 14744; Cass. civ. Sez. 3^, 18 giugno 2003 n. 9700).

Nella specie, spese diritti ed onorari sono stati contenuti in termini modesti, ed il ricorrente ha svolto le sue censure in termini meramente astratti, senza neppure teoricamente dedurre la difformità degli importi liquidati rispetto a quelli spettanti per legge.

Le doglianze risultano quindi inammissibilmente generiche.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 700,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Redazione