Corte di Cassazione Civile sez. III 19/4/2010 n. 9264

Redazione 19/04/10
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Svolgimento del processo
Con atto 8 maggio 1992 la Finanziaria Immobiliare s.r.l. ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Catania l’avv. D.A..

Premesso di avere conferito al convenuto mandato per la riscossione coattiva di svariati crediti vantati (per effetto della cessione in suo favore da parte della creditrice originaria International Meetings) da essa concludente nei confronti di numerosi comuni e riferito, ancora, che il legale non aveva mai dato notizie relative all’esito delle pratiche affidategli, la società attrice ha chiesto fosse ordinato al convenuto il rendiconto di tutti i procedimenti affidatigli e, accertati i suoi inadempimenti, lo stesso fosse condannato al risarcimento dei danni tutti patiti da essa Finanziaria Immobiliare s.r.l..

Costituitosi in giudizio il convenuto ha chiesto il rigetto della domanda avversaria perchè totalmente infondata.

Ha riferito, infatti il D. di avere sempre informato Z.S., legale rappresentante della società attrice, dell’andamento delle varie pratiche e che nel 1988 lo Z. – che aveva affidato al suo studio anche altre pratiche – gli aveva revocato il mandato.

A seguito di tale revoca – ha fatto ancora presente il convenuto, esso concludente aveva depositato pratiche e documenti presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania, avvertendo l’interessato e il suo nuovo legale.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 25 – 29 febbraio 200 ha rigettato le domande attrice con condanna della parte attrice al pagamento delle spese di causa.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente Finanziaria Immobiliare s.r.l., nel contraddittorio del D. che, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’avverso gravame, la Corte di appello di Catania, con sentenza 1 dicembre 2004 – 1 marzo 2005 ha rigettato l’appello con condanna di parte appellante al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso la Finanziaria Immobiliare s.r.l. affidato a 4 motivi.

Resiste, con controricorso il D..

Motivi della decisione
1. Nessuna delle parti in causa – ha evidenziato in limine la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione – ha curato di depositare in atti i fascicoli di parte relativi al primo grado del giudizio contenenti i documenti presi in esame dal primo giudice, di talchè allo stato la causa è del tutto priva di alcun sostegno probatorio documentale.

2. Con il primo motivo la società ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando "violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4".

Si osserva – in particolare – che "nel caso in ispece è innegabile che il fascicolo della Finanziaria Immobiliare s.r.l. attinente all’espletato giudizio di primo grado – con tutta la copia documentazione sin dall’inizio ivi acclusa – trovavasi regolarmente unito alla produzione afferente il secondo stadio del procedimento" e "la Corte di appello di Catania non avrebbe dovuto, pertanto, esimersi dal visionarlo e dal prenderlo in considerazioni siccome aventi – dette numerose littarae – il crisma della simplex ratio veritatis e, dunque, della decisività sulla questione della ricorrente società prospettata a sostegno della spiegata sua petitio". 3. La censura è inammissibile.

Almeno sotto tre – concorrenti – profili.

3.1. Giusta la testuale previsione di cui all’art. 112 c.p.c., che la difesa della ricorrente assume sia stato violato dai giudici a quibus "il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possano essere proposte soltanto dalle parti".

Certo quanto precede, certo che la ricorrente si astiene – totalmente – dall’indicare quale sia la "domanda" o la "eccezione" sottoposta da essa concludente all’esame del giudice di appello e da questi non esaminata, nonchè dal precisare quale sia la "eccezione" rimessa alla disponibilità delle parti e invece accolta ex officio da quel giudice, è evidente la inammissibilità della deduzione.

3.2. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che giusta la testuale previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per revocazione qualora la sentenza stessa sì "l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa".

"Vi è questo errore – in particolare – quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa".

Pacifico quanto sopra si osserva che con il motivo in esame la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato che "nessuna delle parti in causa ha curato di depositare in atti i fascicoli di parte relativi al primo grado del giudizio contenenti i documenti presi in esame dal primo giudice", assumendo che – in realtà – i documenti di essa concludente, già prodotti in primo grado erano stati depositati nel fascicolo di appello.

Certo quanto sopra è di palmare evidenza che la ricorrente prospetta non un error in procedendo (o in iudicando) posto in essere dai giudici di appello, ma denuncia un travisamento di fatto, per avere costoro affermato inesistente un fatto (il deposito dei documenti già prodotti in primo grado) la cui verità è invece, positivamente stabilita in base all’esame di detto fascicolo .

Un tale travisamento – giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde la difesa della ricorrente – costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità ed è palese, quindi, la inammissibilità – come anticipato – della censura in esame.

Il denunciato travisamento, in particolare, risolvendosi nella inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (tra le tantissime, Cass. 9 gennaio 2007, n. 213; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14100; Cass. 18 gennaio 2006, n. 830;

Cass. 30 novembre 2005, n. 26091) . 3. 3. Da ultimo non può tacersi – in estrema sintesi – che parte ricorrente, stante il principio della autosufficienza del ricorso per cassazione non poteva – come ha fatto – limitarsi a denunziare il mancato esame dei numerosi documenti a suo avviso esistente nel fascicolo di parte, ma doveva trascrivere il contenuto di quelli che, ove tenuti presente dai giudici a quibus avrebbero condotto con certezza a una diversa soluzione della lite (cfr. Cass. 13 giugno 2007, n. 13845; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. 9 gennaio 2006, n. 79, tra le tantissime).

Stante, all’opposto, la assoluta genericità della deduzione (non è precisato quali siano, in concreto, i "documenti" già prodotti in primo grado e il cui esame avrebbe condotto, senza alcun margine di dubbio a una diversa soluzione della lite, nè è trascritto – in ricorso – il loro contenuto) è palese, anche sotto questo ulteriore profilo, la inammissibilità del motivo di ricorso in esame.

4. La domanda della Finanziaria Immobiliare – hanno osservato i giudici di appello – è stata rigettata sul rilevo che lo Z. con la lettera del 4 aprile 1990, inviata al Consiglio dell’Ordine e all’avv. D., "… riferendosi ad una molteplicità di pratiche non meglio specificate e ad una nutrita corrispondenza, affermava esplicitamente di aver revocato i mandati all’avv. D. e che la revoca andava collocata nel luglio del 1988 … " e che, pur non recando la lettera la intestazione della Finanziaria Immobiliare nè la sottoscrizione dello Z. nella qualità, dal momento – che quest’ultimo aveva conferito incarichi professionali al legale tanto in nome proprio quanto nella qualità di legale rappresentante della società, ben poteva affermarsi, data la genericità dell’ espressione revoca dei mandati che l’avv. D., come dallo stesso affermato sin dalla comparsa di costituzione e risposta, avesse ritenuto che la revoca riguardasse tutti i mandati conferiti dallo Z. e cioè sia quelli riguardanti le pratiche personali che quelli riguardanti la società finanziaria di cui il predetti era rappresentante legale, di talchè nessun inadempimento poteva ravvisarsi nel comportamento del professionista.

Riferiscono i giudici di appello che il tribunale ha evidenziato che anche ove la revoca fosse stata riferibile alle sole cause non concernenti la società Finanziaria Immobiliare nessun rilievo poteva muoversi all’avv. D. per avere ritenuto che la revoca riguardasse anche le pratiche della società posto che il professionista aveva provveduto a depositare, nel primo semestre del 1989, tutta la documentazione in suo possesso relativa alle varie pratiche di cui era stato officiato, presso il Consiglio dell’Ordine forense, dandone contestuale avviso al cliente, così come attestato dallo stesso Consiglio dell’Ordine nella lettera in data 27 giugno 1992, mai contestata.

Le argomentazioni adottate dal primo giudice – hanno osservato i giudici di secondo grado – sono pienamente condivisibili.

Invero, precisa la sentenza impugnata, parte appellante, a fronte di specifiche emergenze documentali non contestate, il cui generico contenuto si prestava ad interpretazioni diverse non si è curata neanche di dimostrare le asserite inadempienze del professionista che le avrebbero cagionato danno.

Nè a sopperire a tale onere probatorio è sufficiente l’affermazione resa dall’avv. D. nel corso dell’interrogatorio formale, secondo cui "… non esiste una revoca del mandato proveniente dalla immobiliare Finanziaria …", in quanto con tale affermazione, come si evince dal contesto complessivo dell’esame, si è voluto precisare che la revoca risultava sottoscritta dallo Z. senza specificare se lo stesso agisse anche nella qualità di rappresentante legale della, società, ma tale omissione, avuto riguardo alla circostanza incontestata che la revoca era riferita genericamente a non meglio specificati "mandati" non impedisce assolutamente di ritenere che i mandati fossero anche quelli riguardanti le pratiche della società e ciò tenuto conto che, per come emerso nel corso del medesimo interrogatorio, tutti i rapporti professionali con lo Z. prescindevano dal fatto che lo stesso agisse personalmente o nella qualità di legale rappresentante della società.

In ogni caso si osserva – precisa ancora la sentenza impugnata – che il deposito (comunicato allo Z. sia dal legale che dal Consiglio dell’Ordine) presso il Consiglio dell’Ordine di tutta la documentazione riguardante le pratiche per le quali lo Z. aveva conferito incarico all’avv. D. (pratiche personali e della società) configura una valida rinuncia al mandato da parte del professionista, il quale una volta revocato o dismesso l’incarico non ha alcun obbligo di fare il rendiconto.

La mancanza di una specifica prova in ordine all’assunto su cui la Finanziaria Immobiliare fonda il proprio assunto, e la sussistenza di una valido recesso del professionista da tutti gli incarichi ricevuti dallo Z., sia in proprio che nella qualità, evidenziano – hanno concluso la propria indagine i giudici di appello – la infondatezza della pretesa della odierna appellante.

5. La ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata con il secondo motivo con il quale lamenta "violazione dei disposto di cui all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omessa o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo prospettato dalla parte", atteso che essendo incontroverso il conferimento dei vari mandati professionali oggetto di controversia gravava sul D. l’onere di provare la loro revoca, sì da legittimare "lo scriteriato e pregiudizievole abbandono delle varie intraprese procedure", prova non data e non offerta e, in ogni caso, in contrasto con la confessione, in atti, da parte dello stesso D. della inesistenza di una revoca del mandato proveniente dalla Finanziaria Immobiliare s.r.l..

6. Al pari del primo, anche tale motivo è – per più profili – inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

6.1. Giusta un insegnamento giurisprudenziale assolutamente pacifico che nella specie deve trovare ulteriore conferma, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della, pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano.

E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (In tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 20 novembre 2009, n. 24540; Cass. 11 gennaio 2007, n. 389; Cass. 30 giugno 2005, n. 13956; Cass. 10 settembre 2004, n. 18240; Cass., 19 marzo 2002, n. 3965).

Pacifico quanto precede si osserva che i giudici del merito hanno posto, a fondamento della raggiunta conclusione, quanto alla ritenuta infondatezza della domanda azionata dalla Finanziaria Immobiliare s.r.l. e alla dimostrata infondatezza dell’appello da questa proposto due autonome, rationes decidendi, ognuna sufficiente ex se, a sorreggere il loro dictum.

Come riferito sopra, infatti quei giudici hanno accertato:

– da un lato, che dall’esame delle risultanze di causa emergeva, con certezza, che era stata data la prova che lo Z. aveva revocato il mandato sia con riguardo alle sue cause personali, sia, ancora, quanto a quelle della società che lo stesso rappresentava prima ratio decidendi;

– dall’altro, che – comunque – anche a prescindere da quanto precede, la condotta dell’avv. D. – allorchè ha depositato presso il Consiglio dell’Ordine di tutta la documentazione riguardante le pratiche per le quali lo Z. aveva conferito incarico, pratiche personali e della società – "configura una valida rinuncia al mandato da parte del professionista, il quale una volta revocato o dismesso l’incarico non ha alcun obbligo di fare il rendiconto" seconda ratio decidendi.

Atteso quanto sopra, certo che la ricorrente censura solo la prima delle ricordate rationes decidendi è palese – come anticipato – la inammissibilità del secondo motivo.

6.2. Anche a prescindere da quanto precede il motivo deve essere dichiarato inammissibile anche perchè non esiste alcuna relazione, tra la censura prospettata nella rubrica (violazione dell’art. 2697 c.c.) e la ratio decidendi che sorregge la pronunzia impugnata.

Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice (da cui, del tutto immotivatamente totalmente prescinde la difesa della ricorrente) – la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155).

Certo che nella specie i giudici del merito, hanno rigettato la domanda attrice sul rilievo che l’attore – gravato del relativo onere – non aveva dato la prova dei propri assunti, è palese la inammissibilità della censura anche sotto tale profilo.

6.3. Del tutto apodittica e priva di qualsiasi motivazione e, pertanto, palesemente inammissibile – inoltre – è la censura sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Pur affermando, infatti, almeno nella rubrica del motivo, che la motivazione della sentenza impugnata è "omessa", o "insufficiente" o, comunque, "contraddittoria" su un punto decisivo prospettato da essa concludente, la ricorrente – in ispregio della regola di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 – si astiene totalmente, nella parte espositiva del motivo, a esporre le ragioni della critica mossa alla sentenza impugnata.

6.4. Quanto, da ultimo, all’assunto secondo cui esisterebbe, in atti, la ammissione – confessione del D. che "non esiste una revoca del mandato proveniente dalla Finanziaria Immobiliare" lo stesso è inammissibile perchè:

– da un lato, prescinde – totalmente – dalla diversa interpretazione data – dai giudici a quibus – della riferita dichiarazione del D. in sede di interrogatorio formale e si esaurisce, pertanto, nella inammissibile contrapposizione tra la, soggettiva, interpretazione della detta dichiarazione data dalla odierna ricorrente rispetto a quella neppure riferita in ricorso offerta dalla sentenza impugnata (pertanto, in assenza di motivate critiche alle argomentazioni svolte dai giudici del merito questa Corte non è posta neppure in condizioni di vagliare la fondatezza della censura sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5);

– dall’altro, non tiene presente che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può, invece, essere inteso – come pare pretenda la ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

7. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia "disapplicazione e violazione degli artt. 1176 e 1713 c.c. e art. 263 c.c. in relazione all’art. 3560 c.p.c., nn. 3 e 5" essendo il mandatario onerato dall’obbligo di rendere i conti terzo motivo.

8. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

8.1. Sotto il primo profilo si osserva che la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione ha escluso l’obbligo del D. di "fare il rendiconto" perchè "®una volta revocato o dismesso l’incarico" l’avvocato "non ha alcun obbligo di fare il rendiconto".

Non essendo stata tale affermazione – costituente la reale ratio decidendi del rigetto della domanda attrice – in alcun modo censurata dalla ricorrente è palese che deve ritenersi coperto da giudicato l’accertamento che nella specie non fosse onere dell’avv. D. "rendere il conto" del proprio operato.

8.2. Come anticipato, comunque, la deduzione è manifestamente infondata.

In termini opposti rispetto a quanto affermato da remotissima – non più attuale – giurisprudenza di questa Corte regolatrice (cfr. in particolare, Cass. 2 agosto 1973, n. 2230) osserva il Collegio che l’istituto del rendiconto di cui all’art. 1713 c.c., comma 1, e art. 263 c.p.c. non è compatibile che le peculiarità del mandato ad litem.

Quest’ultimo, in particolare, abilita il difensore a "compiere e ricevere nell’interesse della parte stessa che ha rilasciato il mandato tutti gli atti del processo …" (art. 84 c.p.c., comma 1).

Pacifico quanto sopra, certo che l’adempimento della propria obbligazione, da parte del debitore del mandante del procuratore ad litem, anche se – per ipotesi – a seguito di giudizio esecutivo, non costituisce "atto del processo", è palese che non è compatibile con il rapporto che lega il difensore al proprio cliente, l’obbligo del "rendiconto" di cui all’art. 1173 c.c., comma 1.

Diversa è la conclusione, ovviamente, nella eventualità, o che al difensore sia stato espressamente conferito anche un mandato ad negotia, o, sussiste una autorizzazione, in favore di costui, a riscuotere somme dovute al proprio cliente ed a liberare il debitore (cfr., ad esempio, Cass. 9 settembre 1998, n. 8927).

Poichè nella specie non è stato mai nè dedotto, nè dimostrato, che ricorresse una delle ricordate evenienze, è palese – sotto tale aspetto – la manifesta infondatezza della deduzione.

8.3. Per completezza di esposizione si osserva, da ultimo, che ampio spazio è dedicato nel terzo motivo, alla circostanza che l’avv. D. non avrebbe informato la proprio cliente dello svolgimento e dell’esito dei giudizi per i quali aveva ricevuto mandato ad litem.

A prescindere dai rilievi (in fatto), ampiamente svolti nel controricorso, cui in alcun modo ha replicato la difesa del ricorrente, quanto ai rapporti tra le parti anteriormente al giudizio e dalla circostanza sopra evidenziata che la sentenza impugnata non è stata puntualmente censurata nella parte de qua, si osserva che nell’atto di appello la sentenza del primo giudice è stata censurata esclusivamente per avere escluso l’obbligo del D. di rendere il conto ritenuto da quel giudice incompatibile con il rapporto di mandato ad litem.

Non avendo dedotto, tra i motivi di appello, la società ora ricorrente di non essere stata informata prima della cessazione dei rapporti tra le parti dello svolgimento delle varie "pratiche" e avendo prospettato tale questione esclusivamente in questo giudizio di cassazione è palese, come anticipato, anche sotto tale ultimo profilo, la inammissibilità del terzo motivo di ricorso.

9. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia – da ultimo – "violazione dell’art. 91, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3" per avere i giudici del merito posto a carico di essa concludente le spese di lite, sì – pertanto – che accolto il ricorso a tanto – dovrà provvedere questa Corte.

10. Il motivo è manifestamente infondato. Correttamente – e in puntuale applicazione dell’art. 91 c.p.c. – infatti, i giudici del merito hanno posto le spese di lite a carico della La Finanziaria Immobiliare s.r.l. risultata soccombente in primo grado come in appello.

11. Atteso il rigetto dei primi tra motivi del ricorso è evidente, da un lato, che il capo relativo alle spese, quanto ai giudizi di merito, non può essere riformato da questa Corte, dall’altro, che la ricorrente, risultata totalmente soccombente anche in questa sede deve essere condannata al pagamento delle spese anche di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Redazione