Corte di Cassazione Civile sez. III 19/12/2008 n. 29879; Pres. Di Nanni L.F.

Redazione 19/12/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 28.2.2002 il Tribunale di Bergamo accoglieva la domanda di esecuzione; in forma specifica dell’obbligo di contrarre, proposta da A.C. e F.R. contro Impresa edile Fratelli ****************** e ***** s.n.c..

Quest’ultima proponeva appello. La Corte di appello di Brescia, con sentenza depositata il 17.6.2 005, rigettava l’appello.

Riteneva la corte territoriale, per quanto qui interessa, che la notifica dell’atto di citazione in primo grado non era nulla, in quanto la società era stata citata, a norma dell’art. 145 c.p.c., presso la sua sede legale con consegna dell’atto a C. G., che abitava nello stesso domicilio, dove abitava anche suo figlio P.B.; che questi ed il fratello T. erano i legali rappresentanti della s.n.c. convenuta. Riteneva, quindi la Corte che non solo la notifica era valida a norma dell’art. 145 c.p.c., comma 1, dovendo la signora C. considerarsi addetta alla sede, ma che lo era in ogni caso anche a norma dell’art. 145 c.p.c., comma 3, poichè essa conviveva con il legale rappresentante, suo figlio P.B..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la convenuta.

Resistono con controricorso gli attori.

Il fallimento della società ricorrente ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di intempestività del ricorso sollevata dai resistenti.

Infatti, come emerge dalla relata di notifica della sentenza di secondo grado, consegnata alla società attualmente ricorrente, la notifica della sentenza di appello è avvenuta in data 10.1.2005, per cui tale data deve prevalere – fino a querela di falso – sulla diversa data apposta sull’originale dell’atto da notificare, restituita al notificante (Cass. 1.2.1995, n. 1157; Cass. 20/03/2006, n. 6120). Ciò non senza rilevare che l’ufficiale giudiziario ha attestato che la notifica è appunto avvenuta in data 10.1.2005.

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 169, 145, 138, 139, 141, 342, 354 e 161 c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Assume la ricorrente che la notifica dell’atto di citazione di primo grado era nulla, poichè sebbene effettuata presso la sede della società, era avvenuta nella mani della sig.ra C.G., che non era addetta alla sede, ma la madre di B. e P. T..

In ogni caso assume la ricorrente che anche la seconda ratio decidendi è errata, in quanto la notifica è nulla anche ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 3, poichè non erano indicate le generalità delle persone fisiche che rappresentavano la società.

3.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Sono infondate le censure che attengono alla prima ratio decidendi. infatti, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica presso la sede legale o quella effettiva, è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario di ricevere la corrispondenza.

Sicchè, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario o postale, risulti in alcune delle predette sedi la presenza di una persona che si trovi nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona sia addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere suo dipendente, non era addetta neppure alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (sentenze Cass. civ. 23/01/2001, n. 904; Cass. 13/12/1999 n. 13935;

Cass. 3/11/1998 n. 11004).

3.2. Nel caso in esame – come accertato in fatto dal giudice del merito – la citazione è stata ritirata da persona rinvenuta dall’ufficiale postale presso la sede legale della società convenuta, la quale non ha provato l’inesistenza di qualsiasi rapporto tra essa destinataria e la consegnataria dell’atto in questione. Trattavasi della madre di uno dei rappresentanti legali della società ( ****), la quale risiedeva insieme a questi presso lo stesso indirizzo costituente sede legale della società.

In altri termini, competeva alla società convenuta provare che alla sig. C.G., madre dei due rappresentanti legali della società, e residente con uno di questi presso lo stesso indirizzo, costituente sede legale della società, non era mai stato conferito, neppure provvisoriamente, l’incarico di riceversi gli atti destinati alla società, in assenza dei predetti suoi figli.

4. L’infondatezza delle censure avverso la prima ratio decidendi comporta l’inammissibilità delle censure avverso la seconda ragione decisoria (quella fondata sull’art. 145 c.p.c., comma 3).

Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa.

(Cass. civ., Sez. 3^, 24/05/2006, n. 12372).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

La ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dai resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione