Corte di Cassazione Civile sez. III 13/2/2009 n. 3531; Pres. Vittoria P.

Redazione 13/02/09
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IN FATTO

S.F., con ricorso depositato il 29 maggio 2002, propose opposizione ad una esecuzione immobiliare – avente ad oggetto un fabbricato di sua proprietà – promossa nei suoi confronti da B.F. in forza di decreto ingiuntivo emesso, nel luglio del 1996, dal tribunale di Cagliari.

Nella procedura esecutiva spiegarono intervento numerosi creditori, alcuni dei quali muniti di titolo esecutivo.

Con sentenza depositata il 13 marzo 2002, la corte d’appello di Cagliari revocò, peraltro, il decreto ingiuntivo posto a fondamento dell’azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, ma la conseguente istanza di estinzione della procedura – formulata dall’esecutato sul presupposto che la caducazione del titolo esecutivo del creditore originariamente procedente avesse determinato la speculare caducazione del pignoramento e di tutti i successivi atti esecutivi – venne rigettata dal G.E. il quale, nel darvi ulteriore corso, dispose la vendita dell’immobile, aggiudicandolo in data 24 maggio 2002 ad L.A..

S.F., lamentata la illegittimità della pronuncia di rigetto della predetta istanza di estinzione – e la conseguente illegittimità della prosecuzione della intera procedura esecutiva chiese che il G.E. dichiarasse la nullità di tutta l’attività esecutiva posta in essere a seguito della revoca del decreto ingiuntivo posto dal creditore procedente a fondamento del pignoramento.

Egli dedusse, in proposito, che l’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo aveva comportato, con efficacia ex tunc, la irredimibile caducazione del decreto stesso e la conseguente inefficacia di tutti gli atti esecutivi successivi (ivi comprese le eventuali iscrizioni ipotecarie) compiuti in base ad esso, senza che, nel caso di specie, potesse trovare applicazione nè la disciplina di cui all’art. 629 c.p.c., nè quella di cui al precedente art. 564 c.p.c., essendo le norme citate funzionali a regolare la sola ipotesi di rinuncia agli atti da parte del creditore procedente (e non anche quella, affatto diversa, di caducazione del titolo esecutivo posto a base del pignoramento).

I creditori opposti, costituitisi in giudizio, chiesero il rigetto dell’opposizione, sostenendo che la caducazione del titolo azionato dall’originario creditore procedente non potesse in alcun modo pregiudicare le posizioni degli intervenuti in forza di autonomi titoli muniti di efficacia esecutiva.

Ciò perchè le vicende relative al decreto ingiuntivo azionato dal creditore originariamente procedente non sarebbero state di ostacolo alla prosecuzione dell’esecuzione, nè avrebbero potuto spiegare effetti in relazione agli atti esecutivi posti in essere successivamente alla caducazione del titolo in questione per effetto della pronuncia caducatoria del giudice del gravame di quel procedimento.

Il giudice dell’opposizione, rilevato in limine come il ricorso proposto dallo S. contenesse, in realtà, una opposizione all’esecuzione contestandosi, da parte del ricorrente, il diritto dei creditori intervenuti e muniti di titolo a proseguire l’azione esecutiva nonostante la caducazione del pignoramento conseguente al venir meno del titolo azionato dal creditore procedente, in ipotesi determinativo della nullità di tutti gli atti esecutivi – evidenzierà che le questioni poste dal ricorrente concernevano, da un canto, la immediatezza, o meno, dell’effetto caducatorio della sentenza di appello che, nell’accogliere l’opposizione al decreto ingiuntivo, aveva revocato quel provvedimento monitorio (se fosse, cioè, necessario attenderne il passaggio in giudicato, questione peraltro non più oggetto di contestazioni in questa sede);

dall’altro, la sorte degli atti esecutivi posti in essere dai creditori muniti di titolo intervenuti nella procedura esecutiva introdotta da altro creditore in forza di titolo successivamente caducato (se, cioè, il venir meno del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente fosse o meno idoneo a travolgere, con efficacia ex tunc, tutti gli atti esecutivi, a partire dal pignoramento, così determinando l’arresto della procedura esecutiva non più utilmente proseguibile da parte degli altri creditori benchè muniti di titolo, ovvero se la detta caducazione operasse soltanto ex nunc, consentendo per l’effetto agli intervenuti con titolo di continuare a giovarsi degli effetti del pignoramento).

Richiamata la più recente giurisprudenza di questa corte, il giudice dell’opposizione opinerà che l’immediato effetto caducatorio che la sentenza di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo determina sul provvedimento monitorio sia quello di travolgere gli atti esecutivi già compiuti in conseguenza della privazione ex tunc dell’efficacia esecutiva del decreto.

Ne trarrà la conseguenza che il decreto di trasferimento dell’immobile posto all’asta ed aggiudicato ad L.A. il 24 maggio 2002 dovesse ritenersi affetto da nullità derivata, per essere stati il pignoramento e la successiva attività esecutiva irrimediabilmente travolti, con efficacia ex tunc, dalla caducazione del decreto ingiuntivo posto a fondamento dell’esecuzione, senza che l’aggiudicatario potesse utilmente invocare la tutela di cui all’art. 2929 c.c., tale regula iuris afferendo, difatti, ai soli vizi formali del procedimento esecutivo (in presenza, cioè, di atti del procedimento esecutivo anteriori alla vendita o all’assegnazione destinati alla declaratoria di nullità), e non trovando, viceversa, applicazione quando la dedotta nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione, oppure quando i vizi denunciati si configurino come motivi di opposizione all’esecuzione.

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata da ***** con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi di gravame.

Resiste con controricorso S.F..

Parte ricorrente ha depositato memoria e, all’esito delle conclusioni del P.G. di udienza, altresì note di replica ex art. 379 c.p.c., u.c..

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Le questioni di diritto che il collegio è chiamato ad esaminare, a tutt’oggi controverse nella giurisprudenza di questa corte, traggono linfa dalla seguente situazione in fatto.

Viene iniziata una esecuzione immobiliare nei confronti del debitore in base a decreto ingiuntivo.

Vi intervengono altri creditori muniti di titolo esecutivo.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il debitore ottiene sentenza di appello che accoglie l’opposizione, revoca il decreto, rigetta la domanda di condanna originariamente avanzata dal creditore procedente.

Nelle more, in seno al processo esecutivo viene autorizzata la vendita all’incanto.

Il debitore rivolge istanza al G.E. affinchè questi dichiari improcedibile il processo esecutivo per caducazione del titolo che ne era alla base (il decreto ingiuntivo).

Il G.E. rigetta una prima volta l’istanza sul presupposto che tale processo possa proseguire in ragione della presenza di creditori muniti di autonomo titolo esecutivo.

L’immobile viene aggiudicato al terzo offerente.

L’ordinanza di aggiudicazione viene impugnata con opposizione tempestivamente proposta, ove è nuovamente sottoposta al G.E. la questione dell’improseguibilita del processo esecutivo.

Questa volta l’opposizione viene accolta, il processo esecutivo viene dichiarato improseguibile, l’intera attività esecutiva compiuta (ivi compreso il decreto di trasferimento dell’immobile all’aggiudicatario) viene dichiarata nulla, viene altresì dichiarata l’insussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata in capo ai creditori intervenuti in forza di autonomo titolo esecutivo.

Con il primo motivo di ricorso, sono denunciati a questa corte i vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 615, 611, 564, 565, 566, 630, 474, 493, 496 c.p.c.; artt. 2740, 2741, 2910, 2913, 2915, 2916, 2917, 2918 c.c.).

Viene formulato il seguente quesito di diritto (in realtà articolato non in forma di quesito, ma di affermazione di un principio):

La revoca, in corso di esecuzione, del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente per promuovere la procedura espropriativi non impedisce la legittima prosecuzione della stessa da parte dei creditori muniti di titolo esecutivo intervenuti anteriormente a detta revoca per realizzare in tale sede la pretesa, dagli stessi vantata in via coattiva, cosicchè gli atti provocati con il concorso di questi ultimi sono pienamente validi ed efficaci.

A tale "quesito" questa corte ritiene di dover fornire risposta negativa, dovendosi per l’effetto confermare la statuizione adottata, sul punto, dal giudice di merito.

Va, difatti, osservato in argomento:

1. I creditori muniti di titolo esecutivo hanno la facoltà di scelta tra due diversi itinerari processuali in sede di esecuzione, l’intervento nel processo già instauratosi a seguito di iniziativa di altro creditore procedente, ovvero l’esecuzione di altro pignoramento del medesimo bene (art. 561 c.p.c.); la scelta della seconda alternativa comporta che il pignoramento autonomamente eseguito ha un effetto indipendente da quello che lo ha preceduto (artt. 493 c.p.c., commi 2 e 3), nonchè quello di un intervento (tempestivo o tardivo, a seconda del tempo della sua esecuzione rispetto allo stadio in cui è pervenuto il processo di esecuzione) nel processo iniziato con il primo pignoramento.

Il pignorante successivo si avvale, così, dell’effetto di "prenotazione" operata con il primo pignoramento (art. 2913 c.c.);

2. I creditori muniti di titolo esecutivo possono provocare i singoli atti dell’espropriazione a cui partecipano (art. 564 c.p.c), e la rinuncia di ciascuno di essi è condizione necessaria affinchè il processo si possa estinguere ex art. 629 c.p.c., (ovverosia per rinuncia agli atti da parte del creditore procedente intervenuta prima dell’aggiudicazione o assegnazione);

3. E’ oggetto di indagine ermeneutica, pertanto, in tale contesto normativo, il significato della disposizione relativa alla facoltà, per i creditori intervenuti, di "provocare gli atti dell’espropriazione a cui partecipano", se essa debba, cioè, intendersi nel (solo) senso che il titolo esecutivo consente all’intervenuto di sopperire anche all’eventuale inerzia del creditore procedente onde far proseguire il processo, compiendo in sua vece gli ulteriori atti di impulso processuale necessari ad impedirne l’estinzione, ovvero nel senso che, una volta iniziato il processo in base ad un titolo esecutivo esistente al momento in cui l’intervento si è realizzato in base ad altro titolo, il processo stesso può legittimamente proseguire a prescindere dalla sorti del titolo originario.

4. E’ convincimento del collegio che la prima delle due predicate soluzioni sia preferibile, in sostanziale consonanza con quanto opinato dalla più recente giurisprudenza di questa stessa corte (Cass. 985/2005; 11904/2004; 5192/1999, mentre in senso contrario, come correttamente rileva il ricorrente, sembra essersi espressa, diversamente da quanto affermato in sentenza dal giudice del merito, Cass. 427/1978, ove si legge di una differenziazione temporale tra interventi, limitandosi la declaratoria di improseguibilità alla sola ipotesi di arresto dell’azione precedente, ma non anche successiva, all’intervento), in ragione di una interpretazione logico – sistematica delle disposizioni coordinate dettate in tema di intervento e di pignoramento successivo. Se, difatti, vi è senz’altro corrispondenza logica tra l’autorizzare i creditori muniti di titolo a compiere gli atti del processo in sostituzione del creditore procedente e il rendere necessaria la loro rinuncia affinchè quello si estingua, non sembra altrettanto logico ravvisare una "equivalenza" tout court tra titoli esecutivi in seno al medesimo processo, i cui effetti sopravviverebbero diacronicamente al di là ed a prescindere dalle sorti dell’originario titolo esecutivo che vi dette vita. Non troverebbe, difatti, spiegazione la fattispecie del pignoramento successivo, se il creditore munito di titolo fosse comunque posto al riparo da qualsiasi conseguenza pregiudizievole per il solo fatto dell’intervento, mentre le norme sul pignoramento successivo indicano, di converso, non soltanto una ovvia esigenza processuale di accorpamento in un unico processo delle varie pretese creditorie, ma ne disciplinano proprio uno specifico effetto "cautelare" che si affianca e si aggiunge a quello tipico del semplice intervento titolato.

5. Quantunque la soluzione di consentire agli interventori titolati di proseguire l’azione esecutiva nel medesimo processo benchè il titolo esecutivo del creditore procedente sia venuto meno risponda all’esigenza di garantire una più celere ed economica celebrazione del giudizio (dacchè l’azione esecutiva dell’interveniente, paralizzata dalla caducazione del titolo originario, sarà successivamente esercitata in via principale mediante un pignoramento successivo) e garantisca la concorsualità delle esecuzioni individuali (indiscutibile ratio generalis dell’art. 2741 c.c.), essa purtuttavia confligge con il fondamento stesso della norma di cui all’art. 493 c.p.c., che, predicando un evidente principio di autonomia dei singoli pignoramenti (ogni pignoramento ha effetto indipendente anche se unito ad altri in un unico processo) conduce alla speculare conclusione che il pignoramento iniziale del creditore procedente, se non "integrato" da pignoramenti successivi, travolge ogni intervento, titolato o meno, nell’ipotesi di sua successiva caducazione. E proprio l’esistenza di una norma derogatoria a tale principio, l’art. 629 c.p.c., (che, nel richiedere, ai fini dell’estinzione del processo esecutivo, la rinuncia tanto del procedente quanto degli intervenuti muniti di titolo, fa implicitamente salvi gli interventi titolati rispetto alla caducazione per rinuncia del pignoramento riferibile al procedente) conferma che, al di fuori di tale, eccezionale (e ampiamente giustificabile dalla stessa morfologia dell’atto di rinuncia, per sua natura "neutra" rispetto a qualsivoglia valutazione circa la fondatezza dell’azione esecutiva) ipotesi normativa, la prosecuzione dell’azione esecutiva ad opera degli interventori muniti di titolo postula necessariamente la permanenza attuale di una valida procedura esecutiva, fattispecie all’evidenza impredicabile nell’ipotesi di caducazione del titolo originario. L’intervento è, difatti, non altro che manifestazione di volontà collaterale e accessoria, da parte del creditore, di partecipare ad un processo che altri ha legittimamente fondato su un proprio titolo esecutivo e legittimamente iniziato con l’atto inaugurale di quel processo, il pignoramento. Sicchè la scelta tra intervento e pignoramento successivo (cui il creditore è legittimato senza condizioni dalla legge) è scelta "di rischio", scelta, cioè, che non potrà non tener conto della possibile, futura caducazione del titolo del creditore procedente, rischio tanto più evidente quando tale titolo sia (o sia addirittura già stato) passibile di impugnazione. Senza considerare, ancora, che la mancanza di un qualsivoglia obbligo od onere di comunicazione dell’intervento al debitore comporta che quest’ultimo, esperita vittoriosamente l’azione volta alla caducazione del titolo del creditore procedente, potrebbe, per difetto incolpevole di conoscenza, purtuttavia trovarsi esposto all’azione esecutiva esercitata dall’interventore ove a questi si ritenesse consentita la prosecuzione dell’azione pur nell’ormai avvenuta caducazione del titolo esecutivo originario.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ancora, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2929 c.c., artt. 615, 617, 564, 565, 566 c.p.c.).

Viene formulato il seguente quesito di diritto (anche in questo caso espresso non in veste di quesito, ma di affermazione di un principio di diritto):

La revoca del titolo azionato in via esecutiva dal creditore procedente non spiega effetti pregiudizievoli nei confronti dell’acquirente il bene pignorato, in particolare allorquando, anteriormente alla predetta revoca, nella medesima procedura è stato spiegato intervento da parte di altri creditori muniti di titolo esecutivo che hanno concorso a provocare gli atti espropriativi.

Con il terzo motivo, logicamente connesso a quello precedente, si denuncia una ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 2929 c.c., e dei principi dallo stesso desumibili di tutela dell’affidamento incolpevole, formulandosi, all’uopo, il quesito di diritto a mente del quale l’art. 2929 c.c., costituisce espressione e realizza una particolare applicazione del più generale principio di tutela dell’affidamento incolpevole, il quale consente di risolvere in favore dell’acquirente il conflitto tra questi e il debitore espropriato in assenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata.

I motivi, da esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca connessione, sono infondati.

La norma di cui all’art. 2929 c.c., (a mente della quale, come è noto, la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei riguardi dell’acquirente e dell’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente) pone, in premessa, un problema interpretativo di non agevole soluzione (e, difatti, anche a tal proposito la giurisprudenza di questa corte non pare univocamente orientata), poichè essa pare riferibile, in astratto, ai vizi degli atti tout court rilevabili in seno al processo esecutivo, e pare altresì ispirato al concetto che, se il processo ha superato una delle sue fasi "critiche" (quella dell’autorizzazione alla vendita) senza che siano state sollevate contestazioni, non sarebbe più consentito opporre all’acquirente, estraneo a tutta la pregressa fase processuale, i vizi dei singoli atti che abbiano preceduto la vendita, intesa quest’ultima in termini di sub procedimento che si svolge sulla base della (e a partire dalla) ordinanza di autorizzazione.

E’ noto che la prevalente interpretazione che la giurisprudenza di questa corte ha adottato in subiecta materia è nel senso che la norma non disciplini anche le vicende del processo astrattamente configurabili come opposizioni all’esecuzione – in cui si tratti di opporre all’aggiudicatario la mancanza tout court del diritto stesso di agire in executiviis. Interpretazione, questa, che, pur condotta attraverso itinerari non sempre lineari (e talvolta non del tutto coerenti), lascia comunque aperto il problema della effettiva portata dell’intento di salvaguardia dell’acquirente nella vendita forzata (che inevitabilmente si sovrappone alle ragioni del debitore) e del concreto limite entro cui tale clausola di salvaguardia è chiamata ad operare.

E’ convincimento anche di questo collegio, da un canto, che l’art. 2929 c.c., tuteli senza riserve l’acquirente tutte le volte che le questioni relative all’accertamento delle ragioni dell’esecutato siano dedotte nel processo in una fase successiva all’aggiudicazione, dall’altro, che per le fasi precedenti, la regula iuris in esame si riferisca ai vizi formali del procedimento esecutivo che abbia condotto alla vendita o all’assegnazione (si riferisca, cioè, all’ipotesi in cui singoli atti del procedimento esecutivo, anteriori alla vendita o all’assegnazione, debbano essere dichiarati nulli), ma non trovi spazio tutte le volte in cui la nullità riguardi proprio tali due atti, ovvero quando i vizi denunciati si configurino come motivi di opposizione alla stessa esecuzione, di talchè (come già condivisibilmente affermato, in passato, da questa stessa sezione con la sentenza 21439/2004) l’eventuale estinzione del procedimento esecutivo e la perdita di efficacia del pignoramento possono essere fatte valere nei confronti dell’aggiudicatario, attenendo all’an della procedura esecutiva e non al quomodo (in senso conforme, ancora, Cass. 11 gennaio 2001, n. 328, anch’essa predicativa del medesimo principio di diritto che questo collegio condivide e a cui intende dare continuità, pur se in dissonanza con quanto diversamente opinato, in passato, da Cass. 1 agosto 1991, n. 8471, a mente della quale in base al principio generale di tutela dell’affidamento incolpevole, di cui l’art. 2929 c.c., costituisce una applicazione particolare, anche l’accertamento della inesistenza del titolo esecutivo, in base al quale si sia proceduto all’esecuzione forzata ed alla vendita forzata del bene dell’esecutato, non pregiudica il terzo il quale se ne sia reso acquirente a seguito del procedimento esecutivo). Ulteriore conferma della bontà dell’interpretazione oggi adottata pare potersi ancora rinvenire nel disposto dell’art. 632 c.p.c, che autorizza a porre sul medesimo piano l’estinzione del processo – per cause diverse dalla rinuncia -intervenuta prima dell’aggiudicazione e dell’assegnazione e l’accertamento della inesistenza del credito o del titolo, "non potendo in entrambi i casi il giudizio stesso proseguire".

Nè vale invocare, come pure suggestivamente si legge nell’articolazione del motivo di ricorso, il principio dell’affidamento incolpevole, poichè anche tale principio (non diversamente da quello generale della buona fede "sostanziale") prevede un equo riparto di oneri conoscitivi in capo a ciascuna dei protagonisti del processo esecutivo, di talchè sarà onere dell’aspirante aggiudicatario quello di accertarsi se, prima dell’instaurazione del sub procedimento finalizzato all’alienazione coattiva e prima della sua definizione con il prodursi dell’effetto traslativo, il titolo esecutivo sulla cui base il creditore procedente ha agito abbia o meno il carattere della irrevocabilità, ovvero sia ancora oggetto di contestazione.

Con il quarto motivo, si denuncia, infine, un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 623 c.p.c., art. 187 bis disp. att. c.p.c.).

La doglianza non può essere accolta.

Pur vero, in premessa, che l’art. 187 bis c.p.c., si come introdotto della L. n. 80 del 2005, art. 2, comma 4 novies, lett. b), deve ritenersi applicabile anche ai procedimenti pendenti, attesone il carattere di norma di interpretazione autentica (Cass. ss.uu.

25507/2006), va in punto fatto rilevato che, nel caso di specie, l’estinzione del processo esecutivo è precedente, e non sopravvenuta all’aggiudicazione provvisoria. Nessuna questione è stata, difatti, sollevata dal ricorrente in ordine all’interpretazione adottata dal giudice di merito circa il tempo del prodursi dell’effetto caducatorio a seguito della decisione della corte di appello di revoca del decreto ingiuntivo opposto, si che, intervenuta la predetta decisione nel marzo del 2002, essa risulta senz’altro precedente all’aggiudicazione, che risale al successivo mese di maggio.

Il motivo (e con esso l’intero ricorso) è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese (che possono essere, per motivi di equità, attesa la complessità e la non univocità delle questioni trattate, in questa sede compensate) segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso principale. Spese del giudizio di cassazione interamente compensate tra le parti.

Redazione