Corte di Cassazione Civile sez. III 13/2/2009 n. 3525; Pres. Vittoria P.

Redazione 13/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I.D.L. svolgeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, su ricorso della Riomaggiore di ************************ & *********, dal Pretore di Firenze l’11.7.1998 per il pagamento della somma di L. 71.019.602, oltre accessori.

Respinta l’opposizione con sentenza dell’11.7.2001, n. 716, lo stesso I. proponeva appello davanti alla Corte distrettuale di Firenze.

La Riomaggiore si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte territoriale di Firenze rigettava l’appello proposto da I..

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione I. L.D. con tredici motivi.

Resisteva la Riomaggiore che proponeva altresì ricorso incidentale con due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per ragioni di priorità logico giuridica si deve anzitutto esaminare il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale la Riomaggiore denuncia: "NULLITA’ DEL PROCEDIMENTO (art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli artt. 414 c.p.c. e segg. ed all’art. 447 bis c.p.c.). OMESSA, INSUFFICIENTE E CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA (art. 360 c.p.c., n. 5)." Ricorda la Riomaggiore che la Corte di Appello di Firenze ha respinto il suo l’appello incidentale, relativo alla inammissibilità dell’opposizione dell’ I. al decreto ingiuntivo, in considerazione della autonomia del contratto di fideiussione rispetto a quello di locazione, ancorchè il primo fosse proprio destinato a garantire l’adempimento del secondo.

Tale motivazione secondo la ricorrente incidentale è "illogica e contraddittoria" perchè la presenza, accanto al conduttore – debitore principale, di un garante, debitore solidale tenuto all’adempimento delle medesime obbligazioni, non modifica in alcun modo la natura di queste ultime che hanno pur sempre la loro fonte nel contratto di locazione. Ne consegue che la disciplina dettata dal codice di rito per i procedimenti inerenti la materia locatizia si impone qualunque sia il soggetto chiamato ad adempire dette obbligazioni.

Il motivo è infondato.

L’oggetto di questo processo non è infatti un rapporto di locazione, bensì un rapporto fideiussorio nel quale non sono quindi coinvolte le parti del contratto di locazione bensì il locatore ed il terzo fideiussore. A questi ultimi, come non può applicarsi la disciplina sostanziale della locazione, così non può applicarsi la relativa disciplina processuale.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la Riomaggiore denuncia "VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). OMESSA MOTIVAZIONE SU PUNTO, DECISIVO DELLA CONTROVERSIA (art. 360 c.p.c., n. 5)".

Ricorda la ricorrente incidentale di aver già rilevato nella sua comparsa conclusionale d’appello che il gravame dell’ I. era privo degli specifici motivi d’impugnazione richiesti dall’art. 342 c.p.c., e comunque di una puntuale censura alla sentenza del Tribunale di Firenze. Proprio per tale ragione l’appello avrebbe quindi dovuto essere dichiarato inammissibile.

Il motivo non può essere accolto perchè non autosufficiente. Esso infatti fa riferimento ad atti del giudizio di secondo grado senza tuttavia riportarne il testo e non indica comunque in modo specifico.

Nè la denuncia è svolta ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, si da consentire a questa Corte di esaminare gli atti processuali.

Con il primo motivo del ricorso principale I.L.D. denuncia "1) Violazione o falsa applicazione degli artt. 1938, 1418, 1421 e 1346 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

Osserva il ricorrente che la Corte d’Appello, ignorando l’esatta formulazione della sua doglianza, ha individuato quest’ultima nella richiesta di applicazione della L. 17 febbraio 1992, n. 154, salvo ritenere poi tale legge inapplicabile alla fattispecie per cui è causa in quanto soggettivamente limitata agli enti creditizi e/o di prestito o finanziamento fra i quali non rientra la Riomaggiore che tali attività non esercita.

Sostiene invece l’I. che la modificazione dell’art. 1938 c.c., nel porre un importo massimo garantito per le obbligazioni condizionali o future, non ha configurato limitazioni di carattere soggettivo alla sua applicazione. Di conseguenza, la fideiussione prestata il 16.10.92, avente ad oggetto un’obbligazione futura, rientra nell’ambito dell’art. 1938 c.c., ma essendo priva dell’indicazione di un importo massimo garantito, deve secondo il ricorrente considerarsi invalida ai sensi degli artt. 1418 e 1346 c.c.. Ed essendo tale fideiussione l’unico titolo su cui si basava la pretesa della Riomaggiore nei suoi confronti l’impugnata sentenza dovrebbe a suo avviso essere cassata senza rinvio.

Il motivo è infondato, Sotto il profilo temporale deve anzitutto rilevarsi che il nuovo testo dell’art. 1938 c.c., quale risulta modificato dalla L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 10, è senz’altro applicabile alla fideiussione de qua perchè quest’ultima fu prestata dall’ I. il 16.10.1992 mentre la suddetta disposizione è entrata in vigore dopo 120 giorni dall’entrata in vigore della L. n. 154 e quindi dal 7 luglio 1992.

Non è tuttavia condivisibile la motivazione della Corte d’appello secondo la quale l’art. 1938 c.c., come modificato dalla L. n. 154 del 1992, art. 10, è applicabile soltanto ai soggetti di cui all’art. 1 della medesima legge. Sia il tenore letterale dell’art. 1938, sia considerazioni di carattere sistematico, sia la sua stessa ratio non consentono infatti di ritenere fondate quelle limitazioni di carattere soggettivo che, alla sua applicazione, ritiene di dover porre la Corte d’appello.

Al chiaro dato testuale, che non lascia spazio alla configurazione di limiti soggettivi, si affianca infatti quello sistematico: il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 161, ha abrogato la L. 17 febbraio 1992, n. 154, compreso l’art. 1, (contenente le limitazioni soggettive) ma ha fatto salvo l’art. 10 che ha modificato l’art. 1938 c.c.. Anche la ratio di quest’ultima disposizione conferma l’interpretazione proposta, se si tien conto che l’indicazione di un "importo massimo garantito" mira a tutelare il fideiussore a prescindere dalle qualità del soggetto in favore del quale la fideiussione stessa venga prestata.

Accertata l’applicabilità dell’art. 1938 c.c., nuovo testo, alla fideiussione rilasciata dell’ I., deve tuttavia rigettarsi la tesi del ricorrente secondo la quale tale fideiussione è in contrasto con la disciplina dettata dallo stesso art. 1938 c.c., in quanto prestata per un importo di cui non è indicato il massimo garantito.

Come ha sottolineato questa Corte, infatti, all’interno della lex contractus, sussistono una serie di indici certi e non opinabili mediante i quali è possibile precisare esattamente la prestazione dedotta in obbligazione. E così nell’oggetto della fideiussione omnibus, sono presenti "indici di determinabilità" dell’impegno assunto dal fideiussore, attraverso il riferimento al contenuto del contratto principale (Cass. 19 marzo 1993, n. 3291; Cass. 18 marzo 1991, n. 2890; Cass. 20 luglio 1989, n. 3385-6-7-8; Cass. 18 luglio 1989, n. 3362; Cass. 31 agosto 1984, n. 4738). E per mezzo di tali indici il terzo promittente, allorchè si impegna nei confronti del creditore può rendersi conto dell’importo complessivo dell’esposizione debitoria.

Nella fattispecie per cui è causa i canoni del contratto di locazione erano predeterminati e l’oggetto del contratto di garanzia era di conseguenza determinabile "per relationem" con riferimento al negozio principale (Cass. 1.7.1998, n. 6414).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1945, 1939, 1325, 1326, 1341, 1342, 1418, 1421 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

I.L.D. lamenta che la Corte d’Appello, erroneamente interpretando il suo secondo motivo di gravame, ha individuato una sua rinuncia ad avvalersi delle eccezioni del conduttore per aver sottoscritto, anche ai sensi dell’art. 1341 c.c., una apposita clausola della detta fideiussione. In tal modo, prosegue l’I., la Corte d’Appello non ha dato atto nè della omessa sottoscrizione della fideiussione stessa, nè della non corrispondenza fra la rinuncia contenuta nel corpo del contratto fideiussorio e la clausola di rinuncia in calce al medesimo contratto, a sottoscrizione separata. Infine l’I., ritenuto che l’impugnata sentenza, ha totalmente travisato il contenuto della fideiussione, afferma di aver diritto, in quanto fideiussore, di opporre alla Riomaggiore tutte le eccezioni che spettavano al P. ed in particolare, ai sensi dell’art. 1939 c.c., quelle di invalidità dell’obbligazione principale.

Il motivo, in tutte le sue articolazioni, è infondato per le seguenti ragioni: 1) quanto alla circostanza che la fideiussione sia stata sottoscritta soltanto dall’attuale ricorrente e non anche dal creditore, va osservato come tale negozio possa avere carattere unilaterale ed essere quindi valido ed efficace nonostante la sottoscrizione ad opera di una sola (Cass. 9.3.1995 n. 2747; Cass. 1.10.1993, n. 9777; Cass. 29.3.1990, n. 2581); 2) la non integrale riproduzione delle due menzionate clausole nel testo del ricorso per cassazione, rende la relativa censura non autosufficiente ed impedisce sia il raffronto fra le stesse, sia la loro interpretazione secondo il criterio sistematico di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale; 3) deve infine ritenersi valida la clausola con la quale il fideiussore rinunci ad eccepire l’invalidità dell’obbligazione principale, in quanto la disposizione dell’art. 1945 c.c., che non tutela un interesse di ordine pubblico ma un interesse di natura privata, può essere derogata dalle parti nell’esplicazione del principio di autonomia contrattuale (Cass. 17 luglio 2002, n. 10400).

Con il terzo e quarto motivo del ricorso, che per la stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, il ricorrente rispettivamente denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1956, 1175, 1375 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5"; "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1957, 1175, 1375 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3:

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5." Con tali motivi l’I. sostiene di non essere vincolato ai sensi dell’art. 1956 c.c., nei confronti della Riomaggiore in quanto quest’ultima ha omesso di procedere contro il P., inadempiente all’obbligo di pagare i canoni, così facendo maturare nei suoi confronti importi che il conduttore non sarebbe stato in grado di pagare anche per il peggioramento delle sue condizioni economiche.

Con tale suo comportamento, precisa il ricorrente, la Riomaggiore ha soprattutto violato gli obblighi di buona fede e correttezza su di essa incombenti ed ha inoltre omesso quelle cautele che, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., avrebbe dovuto normalmente osservare ove non avesse potuto contare sul patrimonio del fideiussore.

L’I. quindi non si ritiene vincolato per quelle operazioni che, essendo risultato di una condotta dolosa o gravemente colposa del creditore, hanno a suo avviso aggravato oltre il consentito i margini di rischio cui egli stesso aveva inteso sottoporsi stipulando la fideiussione.

Su tali punti, prosegue il ricorrente, la Corte d’Appello ha invece completamente omesso di pronunciarsi mentre non ha tenuto conto che il creditore ha altresì violato l’art. 1957 c.c.. La Riomaggiore infatti, essendo il rapporto inter partes cessato il (OMISSIS), non ha proposto le proprie istanze nei confronti del P., debitore principale. Nè ha tenuto conto che quando la fideiussione ha ad oggetto obbligazioni con scadenze periodiche, il dies a quo agli effetti dell’art. 1957 c.c., è quello di scadenza delle singole prestazioni, non già quello dell’l’estinzione dell’intero rapporto.

Gli argomenti sono fondati.

Rispetto ad un’obbligazione di pagamento del canone di locazione, che matura dopo la conclusione del contratto e la concessa fideiussione con cadenza mensile, una volta che si determina la morosità e che alla morosità il locatore può reagire chiedendo la risoluzione del contratto, è giustificata l’applicazione dell’art. 1956 c.c., nel senso di imporre al locatore di riferire al garante della morosità del conduttore, si da farsi autorizzare ad attendere il pagamento e così sostanzialmente a fare credito al conduttore con la garanzia del fideiussore. In caso di rifiuto si dovrà agire per la risoluzione ed il rilascio, così limitando l’esposizione del fideiussore sino al momento in cui il locatore non riesca ad affittare ad altri.

Nell’atto d’appello, che la denuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., consente di esaminare anche in questa sede, si rileva in effetti che l’I. già in quell’atto ha denunciato come "Riomaggiore avesse trascurato di procedere contro il P. non appena cessato il pagamento del canone, facendo maturare importi che egli non sarebbe stato in grado di pagare ictu oculi" e che "ciò imponeva in ogni caso liberazione dell’ I. ex artt. 1956 e 1957 c.c." (pp. 3 – 4, sub motivo 2) La Corte d’appello (nella narrativa, a p. 4 n. 3) ha richiamato tali censure, ma non si è pronunciata nè sulla eccezione di estinzione ex art. 1956 c.c., nè su quella di omessa proposizione delle istanze di cui all’art. 1957 c.c..

Quanto alla non configurabilità come fideiussione per obbligazione futura di quella stipulata anteriormente alla scadenza delle rate del canone di locazione, ma successivamente alla conclusione di tale contratto, si rinvia alla considerazioni svolte in sede analisi del primo motivo.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1344, 1421, 1495 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 79, artt. 112, 115, 184, 188, 356, 359 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., nn. 3 e 4; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5." Sotto questo profilo ricorda in particolare l’I. di aver dedotto in appello l’illiceità della causa del contratto di locazione ai sensi dell’art. 1344 c.c. sia in quanto la Riomaggiore sapeva che l’effettivo conduttore dell’immobile era I. A.; sia perchè il contratto stesso costituiva il mezzo per eludere le norme imperative di cui alla L. n. 392 del 1978 qualificando di natura transitoria il rapporto del P., mentre l’effettiva durata era di tre con possibilità di rinnovo.

Proprio per tale ragione il ricorrente afferma di aver chiesto l’ammissione di prova per testi sulle circostanze relative alla simulazione contrattuale, avvalendosi delle eccezioni spettanti al debitore principale ex art. 1945 c.c..

La nullità del contratto era, secondo il ricorrente, rilevabile d’ufficio in ogni tempo ex art. 1421 c.c.. E non poteva perciò la Corte d’Appello respingere il motivo d’impugnazione sostenendo che l’appellante non aveva provato la conoscenza da parte della Riomaggiore che il vero locatario era l’I. e non il P..

Il motivo è fondato. La Corte d’appello non poteva infatti sostenere che non era stata fornita alcuna prova senza aver prima spiegato per quali ragioni aveva ritenuto le prove dedotte non ammissibili o comunque non idonee a dimostrare che il contratto dissimulasse una locazione conclusa per esigenze non transitorie.

Nè può addursi a sostegno della decisione sul punto la circostanza che il fideiussore aveva rinunciato ad opporre le eccezioni spettanti al debitore principale non valendo tale rinuncia per le eccezioni attinenti alla validità della medesima fideiussione.

Con il sesto motivo I.L. denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1325, 1326, 1331, 1418, 1421, 1387 c.c. e segg., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3;

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c. n. 5".

Sostiene l’I. che il "c.d. contratto in atti era semplice opzione ex art. 29 dello stesso" e che per potersi perfezionare come vero e proprio negozio bilaterale era necessario il consenso scritto così come previsto dai patti sociali che limitano i poteri dell’amministratore (art. 29, lett. B "contratto). La Corte d’Appello, secondo il ricorrente, ha invece omesso di pronunciarsi sulla domanda, ed ha scambiato "la sottoscrizione che apparirebbe in calce al contratto con il separato "consenso scritto previsto dai patti sociali che limitano i poteri dell’amministratore" (art. 29 lett. B "contratto"). Di conseguenza, conclude l’I., non può sussistere nessuna obbligazione in capo al fideiussore per obbligazioni che non sono in realtà sorte.

Il motivo non può essere accolto. Il ricorrente avrebbe infatti dovuto allegare d’aver dedotto in primo grado la relativa eccezione;

invece, non soltanto manca tale allegazione ma nello stesso motivo di ricorso si legge che la detta eccezione è stata sollevata "col quarto motivo d’impugnazione", in appello.

Con il settimo motivo si denuncia: "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1325, 1326, 1418, 1421, 1341, 1342 c.c., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

Sostiene al riguardo il ricorrente che, essendo state sottoscritte da un solo soggetto le clausole in calce al "c.d. contratto" inter partes, rubricate "agli effetti dell’art. 1341 c.c.", deve anzitutto escludersi la formazione dell’accordo.

D’altra parte la sottoscrizione unilaterale non è comunque idonea, secondo l’I., ad integrare il requisito della specifica approvazione per iscritto richiesto dell’art. 1341 c.c., comma 2 e art. 1342 c.c., comma 2 per i moduli prestampati.

Anche per la fideiussione prosegue il ricorrente, valgono le medesime considerazioni: ai fini dell’efficacia delle suddette clausole non basta infatti la loro mera indicazione numerica ed una sintetica descrizione del loro contenuto. Il contratto inter partes è infatti "un condensato di vessatorietà tale da rendere vistosamente sproporzionate le prestazioni delle parti".

Anche questo motivo è infondato.

Quanto agli effetti dell’unilateralità della sottoscrizione delle clausole vessatorie, si è già visto che la fideiussione non può dirsi inesistente, invalida od inefficace per il solo fatto che sia stata sottoscritta da una sola parte (Cass. 9.3.1995 n. 2747; Cass. 1.10.1993, n. 9777; Cass. 19 29.3.1990, n. 2581). Quanto invece alla dedotta irregolarità della sottoscrizione delle suddette clausole ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. deve condividersi la tesi la Corte d’Appello che, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, ha rilevato come le stesse "sono state espressamente richiamate mediante l’indicazione numerica dell’articolo del contratto e la sintetica descrizione del loro contenuto" talchè la loro approvazione deve ritenersi "pienamente valida ed efficace" (Cass. 3.9.2007, n. 18525).

Nè risulta dallo stesso ricorso che, nel testo della fideiussione, il richiamo cumulativo numerico e la distinta sottoscrizione di gran parte delle condizioni generali di contratto siano stati effettuati con modalità tali da rendere difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto vessatorio (Cass. Ordinanza, 29.2.2008, n. 5733).

L’ottavo motivo denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1469 bis – ter – quater – quinquies c.c., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5" La nuova normativa sui contratti dei consumatori di cui all’art. 1469 bis c.c. e segg., premette l’I., è stata introdotta con L. 6 febbraio 1996, n. 52 (in G.U. del 10 febbraio 1996), in ossequio alla Direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5.4.1993, in G. U. CEE 21.4.1995, che assegnava agli stati membri, per adeguarsi, il termine del 31.12.1994 (art. 10).

A tale data non era ancora cessato il rapporto avente ad oggetto la cessione del godimento di un appartamento, ovvero la prestazione di servizi, da parte della Riomaggiore (art. 36 del "contratto"). Detto rapporto, già rientrante nella precedente formulazione dell’art. 1469 bis c.p.c., deve a maggior ragione considerarsi ricompreso, secondo l’I., nella previsione dell’attuale testo novellato, sia perchè la sentenza d’appello afferma che il rapporto cessò il (OMISSIS), sia perchè la stessa Riomaggiore pretende delle somme anche per il periodo incluso nelle date di cui sopra.

Il motivo è infondato.

Come ha già affermato questa Corte, il principio della irretroattività della legge, di cui all’art. 11 disp. gen., preclude l’applicazione della nuova normativa non soltanto ai rapporti giuridici già esauriti, ma anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, qualora gli effetti sostanziali scaturenti da tale normativa siano eziologicamente collegati con un fattore causale non previsto da quella precedente (Cass. 18 luglio 2002, n. 10436).

Nel caso di specie, il rapporto oggetto di giudizio era già risolto alla data di entrata in vigore dell’art. 1469 bis c.p.c., (introdotto con L. 6 febbraio 1996, n. 52) mentre l’appartamento, secondo quanto afferma lo stesso ricorrente, era stato restituito nell’aprile 1994.

Lo stesso I. poi, nell’atto di appello, aveva espressamente eccepito che il rapporto era stato sciolto o per recesso o per rescissione o per risoluzione per inadempimento.

Essendo il contratto cessato il 31 ottobre 1995 non rileva l’applicabilità o no ad esso dell’art. 1469 bis c.p.c., come formulato prima della modifica introdotta dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 142, che ha soppresso la frase "la cessione di beni o la prestazione di servizi" (frase soppressa dalla L. 21 dicembre 1998, n. 526, art. 251) non era applicabile ad un contratto di locazione.

Il nono motivo denuncia: "Violazione o falsa applicazione degli artt. 13332, 1453 e 1324, 1447, 1448, 1453 c.c. e segg., art. 1463 c.c. e segg., art. 1945 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 4, art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

Con tali censure il ricorrente lamenta in particolare che la Corte d’appello ha non solo negato il suo diritto di recedere dal contratto di fideiussione, ma ha anche omesso di pronunciare sulle altre ipotesi di scioglimento del rapporto quali la rescindibilità o la risolubilità di cui, a suo avviso, esistevano senz’altro i presupposti.

Quanto alla prima, I.D. richiama la necessità, nota alla controparte, di salvare I.A. attraverso le cure delle quali solo a Firenze poteva usufruire; la previsione contrattuale di penali manifestamente eccessive; l’esistenza di altre clausole a suo avviso vessatorie e tali da rendere sproporzionate le prestazioni delle parti, come risulta dal maturare a suo carico di debito di notevole entità, soprattutto se si tien conto della durata della locazione.

La risoluzione del contratto poteva invece, secondo il ricorrente, essere dichiarata per l’inadempimento della Riomaggiore alle prescrizioni dell’art. 1956 c.c..

Infine I. ritiene di essere titolare, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 4, di un diritto di recesso per gravi motivi (la malattia ed il ricovero ospedaliere del figlio) con la conseguenza che doveva considerarsi valida ed efficace la sua dichiarazione di scioglimento dalla fideiussione.

Il motivo è infondato.

La garanzia prestata dall’ I. non prevedeva infatti che egli potesse recederne, mentre in ordine alla sua eventuale facoltà di opporre le eccezioni spettanti al debitore principale ai sensi dell’art. 1945 c.c., si deve tener conto che egli rinunciò a tale facoltà con l’ulteriore sottoscrizione di cui all’art. 1341 c.c.; Di conseguenza egli non poteva opporre nessun’altra eccezione diversa da quella di nullità dell’obbligazione principale e quindi nemmeno quella di rescindibilità del contratto.

In ordine infine al dedotto, mancato rispetto delle prescrizioni degli artt. 1956 e 1957 c.c., deve ritenersi, tenuto anche conto di quanto si è osservato in relazione ai motivi 3 e 4, che la risoluzione per inadempimento della fideiussione non può fondarsi su tale inosservanza.

Nè ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 4 l’I. poteva opporre di essersi sciolto dalla fideiussione a seguito del recesso del conduttore dal contratto di locazione.

Ragioni di consequenzialità logico giuridica inducono ad invertire l’esame delle censure sviluppate nel decimo e nell’undicesimo motivo.

Con quest’ultimo il ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5." Secondo la Corte d’Appello il fideiussore non poteva pretendere la restituzione della cauzione, non avendola versata, nè l’equivalente del costo della caldaia, di cui non era il proprietario.

Parte ricorrente ritiene invece che Riomaggiore ha in più occasioni ammesso di aver trattenuto la cauzione di L. 2.592.000 e che secondo l’art. 10 del contratto la caldaia doveva essere fornita dall’inquilino, I.A., proprietario della stessa, del quale era erede il padre *****

I rilievi di parte ricorrente sono condivisibili: l’attore era infatti erede del conduttore e perciò poteva pretendere la restituzione sia della cauzione che dell’importo della caldaia.

Con il decimo motivo I.D. denuncia:

"Violazione o falsa applicazione degli artt. 1372, 1180, 1945 c.c., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazioni circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5" La Corte d’Appello, nel punto nono della motivazione, sostiene che la riconsegna delle chiavi, pur pacificamente avvenuta e pacificamente accettata, non aveva alcuna rilevanza ai fini dello scioglimento del contratto perchè tale riconsegna era stata effettuata da un terzo e perchè il locatore non aveva mai manifestato la volontà di sciogliere il contratto.

Osserva invece l’I.: di essere proprio lui il terzo che ha consegnato le chiavi; che il P. non ha mai abitato nell’appartamento oggetto del contratto; che l’art. 1180 c.c., ammette l’adempimento del terzo; che Riomaggiore non ha mai rifiutato la riconsegna ed anzi l’ha espressamente accettata come proveniente dal conduttore.

La restituzione delle chiavi e la correlativa ricezione ed accettazione delle stesse, insieme alle altre circostanze appena richiamate sono, secondo il ricorrente, un significato univoco di consensuale cessazione dei rapporto.

L’I., a sostegno della sua tesi aggiunge ancora che con lettera del 12.8.1994 era stata disdetta la fornitura dell’energia elettrica, mentre sembra impossibile che l’immobile sia rimasto sfitto dopo la riconsegna delle chiavi, soprattutto se si tien conto che la principale attività della Riomaggiore è quella della locazione dei propri appartamenti.

Il motivo deve considerarsi assorbito dal quinto e la dedotta circostanza deve essere allora rivalutata, a seconda che risulti provata o no la conclusione del contratto fra I.A. e la Riomaggiore.

Una ulteriore inversione rispetto al loro ordine numerico si rende necessaria, per ragioni logico – giuridiche, nell’esame del dodicesimo e tredicesimo motivo.

Con quest’ultimo parte ricorrente denuncia: "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1945, 1957 c.c., art. 2948 c.c., n. 3, artt. 2954, 2958, 2932 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 9, L. n. 841 del 1973, art. 6, art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

La Corte d’appello, considerato che la Riomaggiore aveva chiesto il pagamento del proprio credito il 15 settembre 1997, al termine del rapporto di locazione, ha respinto le eccezioni di prescrizione fatte valere dall’ I. anche avvalendosi dei relativi diritti spettanti al debitore principale, P.C..

Il ricorrente ritiene invece infondata la tesi della Corte distrettuale ed in senso contrario osserva: 1) che la Riomaggiore avrebbe dovuto interrompere la prescrizione tempestivamente, sia nei suoi confronti, sia nei confronti del P.; 2) che egli stesso poteva opporre la prescrizione anche in proprio; 3) che la Corte territoriale ha omesso di precisare nei confronti di chi e con quale atto sia stata eventualmente interrotta la prescrizione, così impedendogli una valida difesa; 4) che la stessa Corte ha collocato la cessazione del rapporto di locazione al 15.9.97, mentre dagli atti risulta che la consegna delle chiavi avvenne nell’aprile 1994 e lo scioglimento della fideiussione il 5.7.1994; 5) che la prescrizione decorre anche se sono proseguite le somministrazioni o le prestazioni (art. 2958 c.c.); 6) che essendo stata opposta l’eccezione di prescrizione, l’onere della prova dell’interruzione grava sul preteso creditore; 7) che. il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali a carico del conduttore si prescrive nel termine di due anni di cui alla L. 22 dicembre 1973, n. 841, art. 6 (Cass. 10.2.2003, n. 1953,); 8) che allorquando la fideiussione riguardi obbligazioni aventi scadenze periodi che, il "dies a quo" agli effetti dell’art. 1957 c.c. è quello di scadenza delle singole prestazioni e non quello che segna l’estinzione dell’intero rapporto;

9) che era decorso il termini previsto dall’art. 1957 c.c., senza che fosse stata svolta la necessaria attività giurisdizionale interruttiva; 10) che erroneamente la Corte basa i suoi assunti sull’art. 2932 c.c., relativo invece all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto.

Il motivo deve considerarsi assorbito dal quinto.

Premesso che è erroneo il richiamo all’art. 2932 c.c., deve anzitutto rilevarsi come non sia dato sapere per quale periodo sono stati chiesti, da un lato i canoni, dall’altro gli oneri condominiali.

Nè può attribuirsi un significato univoco all’invio ed al ricevimento delle chiavi, spedite per posta dallo stesso I. D..

Per quanto risulta in atti il contratto è stato stipulato il 24/9/1992, mentre la Riomaggiore ha richiesto il pagamento del proprio credito il 15.9.1997, al termine del rapporto.

Considerato che per il corrispettivo delle locazioni il termine di prescrizione è quinquennale, non può dunque ritenersi che sia maturato il termine di prescrizione ordinario quinquennale.

Per quanto riguarda invece le prescrizioni presuntive, non risulta che vi siano norme su tali prescrizioni applicabili al caso.

Occorre tuttavia osservare che il pagamento, come afferma la stessa Riomaggiore nel controricorso, è stato richiesto al conduttore P. con raccomandata inviata il 15.9.1997.

Ne deriva che se quest’ultimo potrà considerarsi l’effettivo conduttore il decorso della prescrizione sarà stato effettivamente interrotto dalla lettera di cui sopra, mentre se dovesse risultare che il conduttore era I.A. dovrebbe ammettersi l’avvenuta scadenza del termine prescrizionale.

Le medesime considerazioni valgono per la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, da identificare con l’effettivo conduttore.

Il motivo in esame deve quindi considerarsi assorbito dal quinto.

Con il dodicesimo motivo che si ritiene opportuno affrontare da ultimo, parte ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione dell’art. 1945 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 79, artt. 112, 115, 184, 188, 356, 359 c.p.c., in relazione all’art. 3601 c.p.c., nn. 3 e 4; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 3601 c.p.c., n. 5".

Sviluppando quanto anticipato nel titolo il ricorrente lamenta in primo luogo che la Corte d’Appello ha omesso qualunque pronuncia in merito alla sua richiesta di risarcimento del danno da liquidare in via equitativa e, in subordine, di ricondurre il contratto di locazione ad equità, decurtando le pretese della Riomaggiore nella misura in cui eccedevano il canone legale ovvero le attribuivano vantaggi non previsti dalla L. n. 392 del 1978.

I.L.D. sostiene inoltre che, come fideiussore, aveva il diritto di opporre alla Riomaggiore le eccezioni spettanti al debitore principale P.; che tale diritto gli spettava anche come erede del vero conduttore dell’immobile I.A., e che comunque ogni pretesa pecuniaria nei suoi confronti avrebbe dovuto essere provata e documentata da controparte, anche nell’ammontare.

Alle luce di quanto si è detto nei precedenti motivi anche quest’ultimo deve intendersi assorbito dal quinto dato che le questioni con esso prospettate dipendono dalla decisione del suddetto motivo (Cass. 6 giugno 2006, n. 13259).

Per tutte le considerazioni sin qui svolte il ricorso principale deve essere accolto e rigettato l’incidentale. La sentenza dev’essere quindi cassata in relazione alle ragioni esposte in ciascun motivo con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie in parte il ricorso principale. Rigetta l’incidentale. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione