Corte di Cassazione Civile sez. III 11/2/2009 n. 3358; Pres. Di Nanni L.

Redazione 11/02/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Cessato il rapporto di collaborazione professionale con Fiat Avio s.p.a., del quale era stato legale di fiducia per alcuni anni, l’avv. A.R.G. avviò una corrispondenza col **********, responsabile degli affari legali della società.

Nel 2001 convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Fiat Avio ed il ******** chiedendo di essere risarcito dei danni derivatigli dal comportamento di quest’ultimo, per aver il medesimo concorso a determinare l’attore a rinunciare ai mandati difensivi già ricevuti da Fiat Avio e per avergli inviato una lettera offensiva, recante la seguente affermazione: "non mi pare comunque che risponda a specchiati criteri deontologici una rinuncia al mandato determinata dal marginale problema di tempistica dei pagamenti da parte del cliente". Il ******** resistette e produsse una diversa missiva, recante la data dell’8.5.2001, spedita dall’avv. A. all’avv. Z.F., responsabile degli affari legali del gruppo Fiat e, per conoscenza, all’avv. F.G.S., dalla quale affermò risultare che l’avv. A. s’era determinato alla cessazione della collaborazione professionale con Fiat Avio in ragione di decisioni attribuite in quella stessa lettera al Dott. R.P., e concernenti la distribuzione dei compensi professionali tra l’avv. A. ed altro avvocato.

2. Di quella produzione si dolse l’avv. A. con ricorso del 29.7.2003 al Garante per la protezione dei dati personali, assumendo che si vertesse in ipotesi di trattamento e diffusione contra legem di un dato personale, essendo stata la lettera spedita a persone diverse da colui che la aveva versata in atti nel procedimento di cui s’è detto. Chiese che il Garante ordinasse la cessazione del descritto comportamento illegittimo mediante ritiro della lettera dell’8.5.2001 dal fascicolo di parte (nel giudizio civile pendente innanzi al tribunale di Roma col numero di R.G. 70313/01) ed adottasse gli ulteriori provvedimenti del caso.

Con provvedimento decisorio del 6.1.2004, comunicato il 12.2.2004, il Garante respinse il ricorso.

3. L’avv. A. propose opposizione innanzi al tribunale di Torino, al quale domandò:

a) che fosse affermato che il Garante aveva violato la L. n. 675 del 1996, art. 31, che era stata violata la corrispondenza tra l’avv. A. e l’avv. Z., che sussistevano ipotesi di reato;

b) che gli atti fossero trasmessi al P.M. per quanto di sua competenza in ordine all’esercizio dell’azione penale;

d) che fosse ordinata la cessazione del comportamento illegittimo del ********** mediante il ritiro della lettera dell’8.5.2001 dal fascicolo di parte;

e) che il ******** ed Avio s.p.a. fossero condannati al risarcimento del danno morale, di relazione e di immagine cagionatigli;

f) che fosse ordinata la pubblicazione della sentenza su due giornali a tiratura nazionale.

Con sentenza in data 19.7.2004 l’adito tribunale respinse tutte le domande, ordinò (ex art. 89 c.p.c.) la cancellazione di una frase da una memoria difensiva del ricorrente e lo condannò alle spese nei confronti dei convenuti L. ed Avio s.p.a..

4. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione A.R., affidandosi a tre motivi, cui resistono con unico controricorso la Avio s.p.a. e L.L. e, con distinto controricorso, il Garante per la protezione di dati personali, difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Il ricorrente ed i controricorrenti L. ed Avio hanno depositato anche memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo sono dedotte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione delle norme e dei principi in tema di segreto della corrispondenza e di diritto di accesso da parte di terzi alle lettere scambiate tra mittente e destinatario, violazione del principio secondo il quale l’utilizzo di un dato personale (lettera) deve svolgersi nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali con particolare riferimento alla riservatezza, violazione del principio in base al quale i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; in particolare, violazione dell’art. 15 Cost.; L. n. 675 del 1996, art. 1, (ora, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4), L. n. 675 del 1996, art. 9, (ora D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11), art. 616 c.p., art. 8 CEDU, art. 7 della Direttiva comunitaria n. 95/46.

Il ricorrente si duole che il tribunale abbia taciuto sulla portata precettiva della L. 31 dicembre 1996, n. 675, art. 9, (ora D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11) e che abbia omesso di dare risposta alla questione centrale della vicenda, se cioè fosse lecita e corretta l’utilizzazione della lettera e se dovesse essere risarcito il danno ex art. 2050 c.c..

Afferma che impropriamente era stata fatta una distinzione tra dati attinenti alla sfera intima e dati ad essa estranei, giacchè il dato personale contenuto in una lettera comunque rientra nella tutela specialistica garantita dalla L. n. 675 del 1996; e che erroneamente era stato dato rilievo alla omessa (ma niente affatto necessaria) avvertenza della riservatezza della lettera in relazione al suo contenuto, esclusivamente attinente all’incarico professionale svolto per conto di Fiat Avio (ma in realtà concernente fatti scabrosi relativi a persone fisiche nominativamente menzionate).

Il ricorrente lamenta anche che il tribunale abbia ritenuto ragionevole (e prevedibile dal mittente) che la lettera venisse a conoscenza di tutte le persone coinvolte nei rapporti professionali menzionati nella missiva in ragione del fatto "che era stata inviata presso la sede di Fiat Avio", mentre era stata in realtà inviata all’avv. Z. presso la sede di Fiat s.p.a..

Sostiene poi che sentenza sia incorsa in un duplice errore laddove (pur avendo aderito alla tesi secondo la quale anche l’utilizzazione a fini probatori, mediante produzione in giudizio, di un documento contenente dati personali ne costituisce "trattamento" agli effetti della legislazione speciale), ha condiviso il provvedimento del Garante nel senso che l’illiceità del trattamento invito domino andava tuttavia esclusa perchè la L. n. 675 del 1996, artt. 9, 12 e 20, non richiedono il consenso sul trattamento del dato quando quest’ultimo formi oggetto del diritto di difesa che fa capo alla parte che produce il documento.

Il primo errore – afferma il ricorrente – è consistito nel non avere il Tribunale considerato il trattamento illecito per essere stata la lettera acquisita in violazione del divieto di accedere alla corrispondenza altrui, sicchè si sarebbe dovuto dare automaticamente ingresso alla tutela risarcitoria, posto che il trattamento deve comunque riguardare "dati leciti" (ex art. 4, D.Lgs. citato); il secondo, nell’aver errato sulla materia del contendere, ritenendo necessaria e pertinente la produzione in chiave difensiva senza considerare che la causa promossa dall’ A. concerneva l’offesa arrecatagli e che in quella causa Fiat Avio era stata "evocata in giudizio a titolo di responsabilità dei padroni e committenti di cui all’art. 2050 c.c.", (così testualmente il ricorso, a pagina 29, primo capoverso).

1.1. Il motivo è infondato.

Va immediatamente rilevato che – come risulta dall’incontestata affermazione contenuta a pagina 16, capoverso, della sentenza impugnata, – il ******** e Fiat Avio s.p.a. erano stati convenuti in giudizio innanzi al tribunale di Roma dall’avv. A., il quale aveva "chiesto loro il risarcimento del danno conseguente al comportamento del L., consistente nell’aver concorso a determinare l’attore alla rinuncia ai mandati difensivi già ricevuti dalla Fiat Avio, oltre che per aver rimproverato all’ A., in una lettera inviata il 20 luglio 2001, di aver tenuto un comportamento non rispondente a specchiati criteri deontologici in relazione ad una rinuncia al mandato determinata dal marginale problema della tempistica dei pagamenti da parte del cliente".

Le censure mosse dal ricorrente alla sentenza in punto di valutazione della pertinenza della produzione della lettera contenente i suoi dati personali si infrangono dunque contro l’incensurato apprezzamento del Tribunale di Torino in ordine al complessivo oggetto della causa promossa innanzi al Tribunale civile di Roma, cui non era evidentemente estranea l’indagine sulla ragione della rinuncia dell’attore alla collaborazione professionale con Fiat Avio. Ragione che i convenuti in quel giudizio sostenevano essere stata identificata dallo stesso avv. A., che coinvolgeva il comportamento anche di terzi e che essi (e, con loro, il Garante ed il Tribunale di Torino) consideravano potenzialmente rilevante ai fini dell’eventuale rigetto delle pretese risarcitorie dell’attore nel diverso giudizio civile già promosso.

Quanto all’altro errore che il ricorrente imputa alla sentenza impugnata, va rilevato che la L. 31 dicembre 1996, n. 675, art. 9, comma 1, lett. a), ("Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali", applicabile ratione temporis, essendo i fatti che vengono in considerazione anteriori al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il "codice in materia di trattamento dei dati personali"), ha riguardo (come il corrispondente art. 11, del D.Lgs. citato) alla liceità del "trattamento" dei dati, non alla liceità o illiceità del dato in se stesso, non contemplata nè dall’art. 1, del primo testo normativo, nè dall’art. 4 del secondo. Dato personale è, in ogni caso, per quanto in questa sede rileva, "qualunque informazione relativa a persona fisica…", mentre trattamento è qualunque "utilizzo" o "comunicazione".

Non è contestato da alcuno – ed è stato anzi riconosciuto sia dal Garante che dal Tribunale – che la produzione in giudizio di una lettera contenente informazioni relative a persona fisica sia una forma di utilizzazione e, dunque, di trattamento del dato personale, che la L. n. 675 del 1996, art. 11, (l’unica cui si avrà a questo punto riguardo) in via generale subordina al consenso dell’interessato, nel senso che, in difetto di quel consenso, il trattamento non è consentito ed è dunque suscettibile di provocare un danno risarcibile (art. 18). Esistono tuttavia dei casi nei quali dal consenso dell’interessato si può prescindere: fra questi, quello di cui all’art. 12, lett. h), che consente comunque il trattamento (id est: l’utilizzazione e la comunicazione) del dato quando esso è necessario "… per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria…".

Il ricorrente non nega che, per questo scopo, il dato personale sia stato trattato. Assume invece che, essendo la missiva illegittimamente pervenuta nella disponibilità dell’utilizzatore, in affermata violazione dell’art. 15 Cost., e art. 616 c.p., a tanto avrebbe dovuto conferirsi determinante rilievo preclusivo della possibilità di utilizzazione.

Sarebbe sufficiente ad elidere la valenza dell’argomento l’osservazione che, nella specie, non è affatto addotto che il L. abbia preso contezza del contenuto della lettera ad altri diretta contro la volontà del destinatario e che non è evidentemente configurabile il reato di cui all’art. 616 c.p. (comunque perseguibile a querela, nella specie non presentata) a carico di chi (nel nostro caso il L. o altri prima di lui) riceva dal destinatario (l’avv. Z.), così acquisendone conoscenza, la corrispondenza da altri (l’avv. A.) indirizzatagli.

Ma va anche affermato che, ai sensi della L. n. 675 del 1996, citato art. 12, lett. h, (e della corrispondente disposizione del successivo D.Lgs. n. 196 del 2003), quali che siano le modalità con le quali la conoscenza dei dati è acquisita (nella specie, peraltro, predicate come assolutamente lecite dal Tribunale di Torino), la loro utilizzazione è comunque consentita dell’interessato, se lo sia "per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento" e nella cornice dei principi generali di correttezza, pertinenza e non eccedenza indicati nell’art. 9, lett. a) e d), della legge (cfr., sul punto, Cass., n. 12285/08), essendo così nella stessa legge assunto che, per gli effetti perseguiti ed alle condizioni predette, l’esercizio del diritto di difesa prevale rispetto a quello alla riservatezza. Sicchè, in definitiva, è nel bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza tutelabile, e le esigenze di difesa che va rinvenuto il criterio per apprezzare la legittimità della produzione in giudizio di un documento contenente informazioni relative ad una persona fisica o giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili.

Del resto, così come è certamente ipotizzatale (cfr. Cass., n. 10290/08, in motivazione) una violazione della legge sul trattamento dei dati personali anche nel caso in cui il "dato" riguardi il mittente e sia poi utilizzato dal destinatario medesimo senza il consenso del mittente (salvo che appunto ricorra una delle ipotesi, elencate dall’art. 12, di non necessità del consenso e purchè siano rispettati i limiti di cui all’art. 9), allo stesso modo non può ritenersi che il trattamento del dato sia illegittimo – e che dunque sussista violazione del diritto alla riservatezza garantita dalla legge sul trattamento dei dati personali – per la sola circostanza che l’informazione integrante il dato sia contenuta in una lettera indirizzata a persona diversa dalle parti del procedimento nel quale la missiva sia prodotta.

Nella specie, la sussistenza dei presupposti per la legittima utilizzazione della lettera mediante la produzione in giudizio (id est: il trattamento dei dati riguardanti il ricorrente) è stata positivamente apprezzata dal tribunale, in relazione sia a quanto nella missiva affermato sia alla pretesa risarcitoria avanzata in sede civile. Segnatamente nelle parti in cui ha osservato, quanto alla utilizzazione da parte del L., che la sostanziale posizione del medesimo nella vicenda "rilevava solo nella qualità di responsabile dell’ufficio legale di Fiat Avio s.p.a., e non a titolo personale" (pagina 10, capoverso); e, quanto ai contenuti della lettera ed alle esigenze di difesa del convenuto, che la missiva costituiva un "tassello essenziale" della sua difesa, essendosi egli "visto costretto a produrre in causa la prova, di provenienza dello stesso attore, del fatto che le vere ragioni della rottura del rapporto professionale andavano ricercate, come confessato nella lettera dello stesso A., nel comportamento e nelle determinazioni proprietarie del Dott. R.P.G…." (pagina 19 della sentenza impugnata).

Va infine chiarito che il riferimento del tribunale ai dati attinenti alla "sfera intima dell’interessato" rispetto a quelli relativi alla "sfera professionale" è stato effettuato soprattutto per escludere, in relazione alla diversità di disciplina che si affermava prospettata dallo stesso ricorrente, che tale contrapposizione fosse "rinvenibile in alcuna parte della disciplina vigente" (a pagina 15 della sentenza impugnata, capoverso).

2. Col secondo motivo sono denunciate violazione delle norme e dei principi in tema di onere probatorio e di richiesta di assunzione dei mezzi di prova (artt. 115 e 116 c.p.c.) ed omessa motivazione in ordine alla mancata ammissione, per essersi il tribunale limitato a ritenere – in ordine alla richiesta di ammissione di prova testimoniale su 25 capitoli con 16 testi ed alla richiesta emissione di un ordine di esibizione di tre documenti – che "le considerazioni predette rendono poi del tutto evidente l’ultroneità delle richieste istruttorie". 2.1. Il motivo è infondato per l’assorbente ragione che il giudice non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente la richiesta di mezzi istruttori avanzata dalle parti qualora la superfluità degli stessi possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata (cfr., ex plurimis, Cass. nn., 2563703, 7715/2000, 2950/99, 5742/95).

Che così fosse nella specie è reso palese dalle considerazioni svolte nella sentenza impugnata (e da quelle di cui sopra) in relazione all’oggetto delle prove, affatto estraneo alla tutela dei diritti connessi al trattamento dei dati personali e piuttosto proprio di un giudizio ordinario di merito introdotto per la soddisfazione di una pretesa risarcitoria.

3. Col terzo motivo la sentenza è censurata per violazione dell’art. 89 c.p.c., e degli artt. 21 e 24 Cost., nonchè per omessa e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere il tribunale ordinato la cancellazione dalla memoria difensiva dell’esponente della frase "che l’intuizione e l’istinto fanno cogliere anche al più sciocco dei cittadini", senza dar conto anche delle parole che la precedevano ("Oggi ci troviamo ad affrontare un caso in cui devono essere sprecate abbondanti energie intellettuali per far capire che, nel nostro ordinamento, le cose stanno negli stessi termini in cui stavano nell’ordinamento romano: la riservatezza della corrispondenza, cioè, è un dato ontologico che l’intuizione e l’istinto fanno cogliere anche al più sciocco dei cittadini").

3.1. Il motivo è manifestamente infondato, costituendo principio più volte enunciato – che va anche in quest’occasione ribadito – quello secondo il quale l’ordine, contenuto nella sentenza, di cancellazione di alcune parti degli scritti difensivi, ritenute offensive, esprime l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, esercitabile anche d’ufficio, riconosciuto in via generale dall’art. 89 c.p.c., ed incensurabile in sede di legittimità – anche nel caso di motivazione sintetica, riferita cioè all’indicazione delle sole espressioni da censurare -, essendo preclusa alla Corte di cassazione una nuova valutazione dei fatti (in termini Cass. n. 6077/2004, cui adde, ex multis, Cass. nn. 4742/2001, 2954/2003, 12479/04 e 7731/07).

4. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.100,00, di cui 5.000,00, per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, quanto a L.R.L. ed Avio s.p.a. in solido tra loro, ed in Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito, quanto al Garante per la protezione dei dati personali.

Redazione