Corte di Cassazione Civile sez. III 10/9/2010 n. 19283

Redazione 10/09/10
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Svolgimento del processo
Con sentenza 25 gennaio – 3 marzo 2005, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Busto Arsizio, la Corte di Appello di Milano confermava la responsabilità del tour operator Francorosso International per l’incidente occorso ad un cliente, C.N., il quale – nel corso di una gita in una barca a motore sul fiume (omissis) – aveva subito la amputazione di alcune dita della mano sinistra, in conseguenza della collisione della imbarcazione con una barca a vela.

I giudici di appello riconoscevano una somma ulteriore, rispetto a quanto già liquidato dal primo giudice a titolo di danno biologico da permanente, da ITT e da ITP e di danno morale, a titolo di risarcimento del danno morale subito dal passeggero trasportato a bordo della imbarcazione.

Osservava la Corte che, in punto di fatto, non poteva profilarsi alcuna disattenzione nel comportamento tenuto dal cliente, il quale, della età di 72 anni, si reggeva, prudentemente, ad un sostegno interno della imbarcazione, quando la barca a motore era andata ad urtare contro una imbarcazione a vela (feluca). La mano sinistra aveva subito la amputazione di alcune dita, per effetto dello speronamento della barca a vela e dell’urto di una fiancata di questa contro il palo di sostegno della tettoia posta sulla barca a motore.

Le censure formulate dalla società appellante erano, poi, infondate, in diritto, nella misura in cui proponevano una inversione dell’onere della prova rispetto a quella legislativamente prevista.

La responsabilità del tour operator doveva essere affermata, ai sensi del D.Lgs. n. 111 del 1995, non avendo la Francorosso fornito la prova liberatoria.

I giudici di appello ritenevano inammissibile la ulteriore prova testimoniale richiesta dalla società appellante (in parte perchè implicante giudizi e perchè non rilevante, riguardando solo alcuni aspetti della vicenda.

I giudici di appello, da ultimo, ponevano in evidenza (condividendoli) i numerosi profili di colpa individuati già dal primo giudice a carico del timoniere della imbarcazione a motore.

Questi aveva posto in essere una serie di comportamenti imprudenti ed omissivi (tra l’altro, senza dare la precedenza alla imbarcazione a vela secondo le regole marinare che valgono anche per la navigazione nei fiumi) e non aveva posto in essere tutte le manovre necessarie per evitare l’urto, tenendo una condotta particolarmente imprudente, in considerazione della cattive condizioni meteorologiche e della situazione di vicinanza delle due imbarcazioni che rendeva prevedibile la virata di bordo assunta dal pilota della feluca.

Avverso tale decisione Alpitour s.p.a. (quale incorporante di Francorosso international) ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste C.N. con controricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 111 del 1995, artt. 14, 15 e 17 nonchè dell’art. 5 della direttiva CE n. 90/314 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

I giudici di appello avevano affermato che la responsabilità del tour operator per danni alla persona del viaggiatore sarebbe presunta ex lege, ai sensi del D.Lgs. n. 111 del 1995, artt. 14 e 15, e che la stessa potrebbe essere vinta solo mediante la prova che il danno si sia verificato per uno dei tre casi di esonero previsti dall’art. 17 del predetto decreto.

In realtà, ad avviso della ricorrente, le regole della responsabilità devono desumersi, in primo luogo dall’art. 5 della direttiva comunitaria, il quale stabilisce che la responsabilità dell’organizzatore di viaggi costituisce una responsabilità presunta da inadempimento contrattuale, che sussiste ogniqualvolta detto organizzatore non dimostri che tale inadempimento non è a lui imputabile, in quanto derivante:

– dal fatto del consumatore;

dal fatto del terzo estraneo ai fornitori del servizio turistico che rivesta un carattere di imprevedibilità o insormontabilità;

dal caso fortuito o dalla forza maggiore, nella speciale accezione precisata dalla direttiva del 1990.

In altre parole, non vi è inadempimento tutte le volte in cui vi sia fatto del consumatore, fatto del terzo o forza maggiore.

Qualora il giudice di appello avesse inteso dare corretta applicazione della predetta regola di responsabilità, avrebbe dovuto ammettere le prove di cui ai capitoli da 5 a 9 dedotti dalla parte convenuta, in quanto tendenti, appunto, alla dimostrazione del carattere imprevedibile o insormontabile del fatto del terzo e, come tali, utili a provare la ricorrenza di uno dei suddetti casi di esonero.

Nel caso di specie la Francorosso aveva dimostrato – o comunque offerto di dimostrare – la ricorrenza dei casi di esonero da imputabilità dell’asserito inadempimento, con la conseguenza che sarebbe stato preciso onere del C. fornire una prova rigorosa della negligenza del tour operator.

Non vi era prova alcuna che il timoniere della imbarcazione a motore sarebbe stato in grado di manovrare la imbarcazione in modo tale da evitare la collisione. Tra l’altro, non era stata dimostrazione della esistenza della regola secondo la quale, anche in (omissis), le imbarcazioni a vela dovrebbero avere la precedenza sulle altre a motore.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia errata e/o falsa applicazione degli artt. 116 e 184 c.p.c., oltre che illogica e carente motivazione in relazione a punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La Corte territoriale aveva respinto – in parte – le istanze istruttorie (in particolare la richiesta di prova per testi, reiterata nelle conclusioni in appello), ritenendole non rilevanti ai fini di causa oltre che inammissibili, in quanto contenenti giudizi e valutazioni.

I capitoli di prova non ammessi, al contrario, erano funzionali alla difesa della Francorosso, la quale – in buona sostanza – aveva sostenuto che la presenza di un forte vento, pur rendendo difficili le manovre – non era tale da impedire i movimenti della imbarcazione e che le imbarcazioni a vela sono più agili di quelle a motore e quindi maggiormente in grado di evitare collisioni.

Anche la valutazione delle testimonianze raccolte offriva spazio a censure. Infatti, i giudici di appello si erano limitati a concordare con il giudizio già espresso in proposito dal primo giudice, senza spiegare le ragioni per le quali era stato dato maggior peso ad alcune deposizioni testimoniali, rispetto ad altre.

Le conclusioni cui era giunto il giudice di appello – secondo la quale la intera responsabilità dell’incidente doveva essere posta a carico del timoniere della barca a motore – si ponevano pertanto in contrasto con la norma in base alla quale il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento e in violazione del generale principio dell’obbligo di motivare i provvedimenti giudiziali in modo completo, logico e non contraddittorio.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce errore e/o falsa applicazione degli artt. 2059, 2049 e 1228 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In via del tutto subordinata, e per la ipotesi in cui questa Corte non ritenesse di procedere all’annullamento integrale della sentenza impugnata, la ricorrente rileva che in ogni caso la stessa meritava di essere annullata per la parte in cui aveva accertato l’obbligo del tour operator di risarcire anche il danno morale da reato, oltre che quello da vacanza rovinata, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal C..

Si trattava, infatti, di domanda nuova, mai proposta nei giudizi di merito. Inoltre, il risarcimento del danno morale non poteva essere riconosciuto a carico di Francorosso, poichè l’eventuale commissione dell’illecito da parte del timoniere della imbarcazione non era riconducibile al tour operator, trattandosi di prestatore di servizi del tutto indipendente dall’organizzazione Francorosso e sul quale quest’ultima non poteva esercitare alcun controllo, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2049 c.c. al caso di specie.

Osserva il Collegio: i primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra dì loro, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

Con motivazione che sfugge a qualsiasi censura, in quanto esente da vizi logici ed errori giuridici, la Corte territoriale ha affermato che – una volta accertato che il passeggero ebbe a subire un danno alla persona durante un trasporto che rientrava nel viaggio organizzato – l’onere della prova liberatoria incombeva sotto ogni profilo, sul tour operator.

Ed ha concluso che, poichè tale prova liberatoria non era stata, nel caso di specie, fornita, doveva affermarsi la esclusiva responsabilità di Francorosso per l’incidente in questione.

Il principio affermato dai giudici di appello nella sentenza impugnata appare in tutto conforme alla consolidata giurisprudenza dì questa Corte, secondo la quale il creditore il quale agisce per il risarcimento del danno da inadempimento deve allegare solo la inesattezza dell’adempimento, mentre è a carico del debitore l’onere di dimostrare l’esatto adempimento.

Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Cass. S.U. 30 ottobre 2001 n. 13533).

Tale principio, di carattere generalissimo, trova poi conferma in subiecta materia, nelle disposizioni di legge richiamate dalla sentenza impugnata.

In particolare, l’assetto delle responsabilità trova regolamentazione nel D.Lgs. n. 111 del 1995, ed, in positivo, nell’art. 14 (Mancato o inesatto adempimento) il quale dispone: "1.

In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno…" e nell’art. 15 (Responsabilità per danni alla persona) secondo il quale: "Il danno derivante alla persona dall’inadempimento o dalla inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico è risarcibile nei limiti delle convenzioni internazioni che disciplinano la materia ed, in particolare, nei limiti previsti dalla Convenzione di Bruxelles del 23 aprile 1970). In negativo, la responsabilità è esclusa nei soli casi previsti dall’art. 17 (Esonero di responsabilità) secondo cui: "1. L’organizzatore ed il venditore sono esonerati dalla responsabilità di cui agli artt. 15 e 16, quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore, o è dipesa dal fatto di un terzo a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero da un caso fortuito o di forza maggiore..").

In pratica, al D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 14 (comma 1) ricalca la formulazione dell’art. 1218 c.c. adottando così il modello di responsabilità’ che caratterizza le obbligazioni di risultato, rinviando, per quel che riguarda la delimitazione dell’ambito di responsabilità dell’operatore turistico, all’art. 17.

Ai sensi dell’art. 14 – analogamente all’art. 1218 c.c. – è a carico dell’organizzatore (e del venditore) l’onere della prova dell’esistenza di una causa allo stesso non imputabile.

Infatti, la disposizione è chiara nello stabilire, in caso di mancato od inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, la responsabilità – con il consequenziale risarcimento dei danni dell’organizzatore (e del venditore secondo le loro rispettive responsabilità), se questi non prova che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa allo stesso non imputabile.

L’art. 17, poi, nel richiamare soltanto le fattispecie disciplinate dagli artt. 15 e 16, ma non quella dell’art. 14, circoscrive maggiormente il novero delle esimenti ai soli eventi nella stessa disposizione indicati, vale a dire il fatto del consumatore o del terzo, a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero il caso fortuito o la forza maggiore, fattispecie al di fuori di quella in esame -come è stato accertato incensurabilmente dai due giudici del merito.

Nessuna violazione o falsa applicazione della normativa richiamata può essere, pertanto, addebitata al giudice di merito, che ha ritenuto la esclusiva responsabilità di Francorosso nella causazione dell’evento.

La Corte ha richiamato le risultanze delle prove testimoniali sui capitoli ammessi (spiegando le ragioni per le quali gli altri capitoli dedotti non potevano ritenersi ammissibili). Ha ricordato che apparteneva al "notorio" la regola di precedenza delle imbarcazioni a vela su quelle a motore, secondo la normativa di carattere internazionale, applicabile anche alla navigazione sui corsi fluviali.

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio) ex art. 115 c.p.p., comma 2, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito. Pertanto, l’esercizio sia positivo, sia negativo, del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità, ed il giudice non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda.(Cass. 29 aprile 2005 n. 9001).

L’addotta inveridicità di tale fatto non è denunciabile con ricorso per cassazione ma, nel caso in cui ne ricorrano gli estremi, solo in sede di revocazione.

Da ultimo, i giudici di appello hanno richiamato i numerosi, concreti, profili di colpa individuati dal Tribunale a carico del timoniere della imbarcazione a motore, sulla quale era trasportato il C. al momento dell’incidente (condivisi nella loro rilevanza e gravità dalla Corte territoriale).

La avversa situazione meteorologica e le diverse caratteristiche delle due imbarcazioni – hanno ancora osservato i giudici di appello con ampia e logica argomentazione – avrebbero dovuto imporre ben altro comportamento di prevenzione al timoniere della barca a motore, di attenzione ed osservanza delle norme sulla precedenza. Invece, quest’ultimo aveva iniziato una vivace discussione con il timoniere della barca a vela, ritardando quelle che apparivano come necessarie ed imprescindibili manovre di emergenza.

In questa prospettiva, ha concluso la Corte territoriale, doveva considerarsi del tutto irrilevante – nella situazione di pericolo venutasi a creare per la vicinanza delle due imbarcazioni – che non potesse essere prevista la virata di bordo, da ultimo posta in essere dal timoniere della feluca.

Può dunque concludersi che con il ricorso per cassazione, la ricorrente finisce con il censurare l’apprezzamento del fatto compiuto dal giudice di appello, non reiterabile in sede di legittimità, dove è esclusivamente consentito il controllo dell’iter logico mediante il quale il giudice è pervenuto alla propria decisione, censurabile solo se il ragionamento si rilevi incompleto, incoerente o illogico e non anche quando come nella specie – il giudice abbia, con motivazione del tutto congrua, semplicemente attribuito agli elementi vagliati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni della parte.

Per quanto riguarda, poi, la mancata ammissione di alcuni capitoli di prova è sufficiente sottolineare che la ricorrente non ha riportato integralmente il testo dei capitoli (onere che comunque era a suo carico anche se la decisione è stata depositata prima del 2 marzo 2006).

Costituisce principio consolidato, anche con riferimento al regime processuale anteriore alle modifiche introdotte con D.Lgs. n. 40 del 2006, quello secondo il quale il ricorso per cassazione, nel caso in cui si censuri con esso l’omessa ammissione dì prove testimoniali (o di alcuni capitoli di esse) da parte del giudice di merito, deve contenere a pena dì inammissibilità – in ossequio al principio di autosufficienza la specifica indicazione del capitolato di prova non ammesso, riportandone il testo integrale. (Cass. 17 maggio 2006 n. 11501, 19 marzo 2004 n. 5539, 18 giugno 2003 n. 9712, 1 agosto 2001 n. 10493, 9 maggio 2000 n. 5876).

Da ultimo, deve rilevarsi la assoluta infondatezza del terzo motivo di ricorso.

Già il primo giudice aveva riconosciuto, in parte, il risarcimento del danno morale, richiesto sin dall’atto introduttivo del giudizio.

L’appello incidentale del C. riguardava, pertanto, solo il maggior danno reclamato.

Del tutto inammissibile è dunque la censura di ultrapetizione (peraltro neppure esplicitamente formulata dalla ricorrente, con riferimento all’art. 112 c.p.c. e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: pag. 18 del ricorso).

In ordine alla responsabilità attribuita alla Francorosso, ed alla mancanza di un rapporto di lavoro subordinato con il timoniere della imbarcazione, si richiamano le disposizioni di cui all’art. 1228 c.c. relative alla responsabilità per fatto degli ausiliari e quelle dell’art. 2049 c.c. che riguardano, invece, la responsabilità dei padroni e dei committenti per i danni arrecati da fatti illeciti dei loro dipendenti, commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti.

In base tali principi, la società è chiamata,’ a rispondere delle conseguenze giuridiche, compreso il risarcimento del danno non patrimoniale, della condotta (commissiva od omissiva) dei propri dipendenti ed ausiliari, che configuri un reato e sia stato commesso nell’esercizio delle incombenze cui essi sono adibiti (artt. 185 cod. pen. artt. 2049 e 2059 cod. civ.).

Ipotesi, questa, ricorrente nel caso di specie.

Sotto un profilo più generale va richiamata l’orientamento di questa Corte, per cui l’organizzatore o venditore di un pacchetto turistico, secondo quanto stabilito nel D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 14 emanato in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE ed applicabile ai rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (esterni all’organizzatore turistico), salvo il diritto della stessa a rivalersi nei confronti di questi ultimi (Cass. 29 febbraio 2008 n. 5531).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso, Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.600,00 (duemilaseicento/00) di cui Euro 2.400,00 (duemilaquattrocento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione