Corte di Cassazione Civile sez. II 9/9/2008 n. 23333; Pres. Elefante A.

Redazione 09/09/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione in data 12.12.95 l’avv. B.G. conveniva davanti al Tribunale di Rovigo VI.Va. esponendo che, in data 31.8.94, aveva richiesto ed ottenuto dal Pretore di Rovigo nei confronti del VI. e della di lui moglie O.M. A. decreto ingiuntivo di pagamento della somma di L. 2 milioni in forza di atto di impegno da costoro sottoscritto con scrittura privata del 13.9.88; che gli ingiunti avevano proposto opposizione al decreto sostenendo di nulla dovere; che, ottenuta la provvisoria esecuzione del decreto, esso avvocato B. aveva intimato ai debitori precetto di pagamento e, non essendo il pagamento avvenuto, aveva notificato atto di pignoramento presso terzi (sullo stipendio della O.); che successivamente, in data 9.1.95, aveva inviato al legale di controparte lettera di quantificazione dell’importo dovuto, a cui il Vi. aveva risposto con lettera accompagnatoria del 18.9.95 del seguente tenore: "in risposta alla Sua del 9.1.95 il mio impulso era quello di trasmetterle esattamente le Sue spettanze, e cioè nulla. Meditando però sul suo atteggiamento e considerando che dovrei iniziare causa di opposizione preferisco, almeno per il momento, saziare il suo bisogno di denaro e versarLe l’intero importo da Lei richiesto, quale portato dall’unito assegno".

Tutto ciò premesso, l’avv. B., ritenendo offensive le espressioni contenute nella lettera, chiedeva la condanna del Vi. al risarcimento dei danni, quantificato nella misura di L. 10 milioni, oltre alle spese di causa.

Costituitosi, il convenuto negava il contenuto ingiurioso della missiva, sostenendo che questa andava valutata alla luce dei rapporti pregressi tra le parti, precisando, in particolare, che, come dedotto da lui e dalla moglie in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, la somma di L. 2 milioni, oggetto del decreto costituiva il residuo prezzo di un immobile da essi acquistato con scrittura privata in cui figuravano come venditori M.S., M.A. e B.A., in luogo dell’avv. B. che era in realtà l’effettivo proprietario e venditore del bene; che la detta somma era stata da essi trattenuta a garanzia della regolarizzazione di un abuso edilizio riscontrato nell’immobile, rilasciando al venditore, avv. B., la scrittura di impegno 13.9.88 posta a base del decreto ingiuntivo; che non avendo provveduto alla garantita regolarizzazione dell’immobile, il B. nulla poteva pretendere in forza della detta scrittura; che, in relazione alle difformità dell’immobile compravenduto, il Vi. e la moglie, con separato atto di citazione, avevano convenuto in giudizio i venditori apparenti nonchè l’avv. B., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ed il relativo giudizio era ancora pendente.

Tutto ciò premesso, il Vi. chiedeva, la sospensione della causa in attesa della definizione dei due giudizi pendenti tra le parti e, in ogni caso, il rigetto della domanda con la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c..

Poichè la comparsa di costituzione del Vi. conteneva, tra l’altro, la seguente frase: "il supposto creditore procedente ha svolto attività che pare di vera e propria persecuzione, se non è aur sacra; gli stessi documenti che l’attore produce danno contezza piena dell’urgente bisogno di realizzare un credito, peraltro contestato", l’attore avv. B., ritenendo tali espressioni offensive e non attinenti all’oggetto della causa, chiedeva la cancellazione della frase in questione e l’autorizzazione a chiamare in causa l’avv. V., difensore del convenuto, per sentirlo condannare ai sensi dell’art. 89 c.p.c., comma 2, al risarcimento del danno quantificato "prudenzialmente" in L. 10 milioni.

Autorizzata la chiamata in causa, l’avv. V. si costituiva contestando la ritualità della chiamata sia perchè tardiva sia perchè il difensore non può essere chiamato a rispondere per la parte da lui assistita; chiedeva, inoltre, la sospensione del giudizio e, nel merito, contestava la domanda contro di lui proposta dal B. perchè infondata e ne chiedeva il rigetto.

Con sentenza n. 252/95 il Tribunale di Rovigo, ritenute ingiuriose sia le espressioni contenute nella lettera 18.1.1995 del Vi. sia quelle contenute nella comparsa di risposta a firma dell’avv. V. per il convenuto Vi., in accoglimento di entrambe le domande attoree, condannava il Vi. e l’avv. V., ciascuno, al pagamento in favore dell’avv. B. di L. 7.500.000, a titolo di risarcimento del danno nonchè e alle spese processuali.

Entrambi i soccombenti proponevano appello, che veniva respinto dalla Corte d’appello di Venezia che, con sentenza 25.5.2002, condannava gli appellanti alle spese del grado.

Contro la sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da sei motivi di censura illustrati da una memoria.

L’avv. B. ha resistito con controricorso illustrato da una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – I primi cinque motivi di ricorso riguardano il capo della sentenza concernente la posizione dell’avv. V..

Nei confronti del professionista il giudice d’appello ha confermato la condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 89 c.p.c., per la frase, del seguente tenore, contenuta nella comparsa di risposta da lui redatta per il convenuto Vi.: "il supposto creditore procedente ha svolto attività che pare di vera e propria persecuzione, se non è aur sacra; gli stessi documenti che l’attore produce danno contezza piena dell’urgente bisogno di realizzare un credito, peraltro contestato".

Per tale frase, ritenuta dal giudicante ingiuriosa nei confronti dell’attore avv. B., la sentenza impugnata ha affermato la personale responsabilità dell’avv. V., chiamato in causa dal B., e lo ha condannato al risarcimento dei danni come richiesto dal chiamante.

La decisione non può essere condivisa.

Stabilisce l’art. 83 c.p.c., che il difensore sta in giudizio in luogo della parte del quale ha assunto il patrocinio.

Tale particolare rapporto, da alcuni qualificato come vera e propria sostituzione, più che di rappresentanza, a causa della identificazione tra i due soggetti, comporta che gli atti compiuti dal difensore sono direttamente riferibili alla parte da lui assistita. Ne consegue che non può il difensore assumere nell’ambito del processo la veste di parte.

In applicazione di tale principio, è stato affermato che delle offese contenute negli scritti difensivi risponde, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., sempre la parte, anche quando provengano dal difensore (Cass. 11063/02) e destinatario della domanda di risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c., comma 2, è sempre e solo la parte (legittimata passivamente), la quale – se condannata – potrà rivalersi nei confronti del difensore, cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni (Cass. 10916/01, specie in motivazione).

Nel caso di specie, quindi, la domanda di risarcimento ex art. 89 c.p.c., per la frase contenuta nella comparsa di risposta redatta per il convenuto Vi. dall’avv. V. doveva essere proposta (ma non lo è stata) soltanto nei confronti del Vi., quale parte del giudizio, e non contro il suo difensore, come invece è avvenuto.

Ne discende che la chiamata in causa del predetto difensore, indipendentemente dalla tempestività o meno della domanda, non poteva essere autorizzata perchè, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art. 106 c.p.c., mancavano i presupposti legittimanti la chiamata.

Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, col quale si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 89 cpv. c.p.c., artt. 101, 106, 107 c.p.c., art. 269 c.p.c., comma 3, e art. 269 c.p.c., per avere la Corte d’appello completamente omesso la motivazione in ordine ai rilievi, formulati dall’avv. V. con l’appello, in ordine ai detti profili di imtualità della sua chiamata in causa.

In accoglimento del motivo, ed assorbiti i restanti quattro motivi, di carattere non autonomo, la sentenza va, pertanto, cassata senza rinvio nella parte in cui, ritenendo implicitamente l’avv. V. legittimato passivamente, lo ha condannato al risarcimento del danno in favore dell’avv. B. e, potendo la causa B.- V. essere decisa anche nel merito, va dichiarata inammissibile la domanda proposta dall’avv. B. contro il V..

Ragioni di opportunità inerenti alla natura della causa e alla qualifica professionale dei due contendenti giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra i predetti.

2 – Va ora esaminato il sesto motivo, che come si sottolinea nello stesso ricorso, riguarda la posizione del solo Vi..

Nei confronti di costui la Corte d’appello ha confermato la condanna al risarcimento dei danni in favore dell’avv. B. per le espressioni, ritenute offensive, contenute nella lettera 18.1.1995 da lui inviata all’avv. B., del seguente tenore: "in risposta alla Sua del 9.1.95 il mio impulso era quello di trasmetterle esattamente le Sue spettanze, e cioè nulla. Meditando però sul suo atteggiamento e considerando che dovrei iniziare causa di opposizione preferisco, almeno per il momento, saziare il suo bisogno di denaro e versarLe l’intero importo da Lei richiesto, quale portato dall’unito assegno".

Il ricorrente censura la decisione lamentando che la Corte di merito ha interpretato le dette espressioni discostandosi dal suo tenore letterale e dal suo significato logico, non tenendo conto che il Vi. si era limitato a negare il suo debito, senza qualificare in alcun modo l’azione del B. e che attribuire al proprio interlocutore il bisogno di danaro nel momento in cui si è costretti a pagare una somma che si ritiene non dovuta, non significa tacciare il medesimo di disonestà.

La censura merita accoglimento.

– E’, infatti, erronea la premessa da cui muove il giudizio di offensività formulato dalla Corte di merito, e cioè che la lettera tacciava l’avv. B. di disonestà, il che equivaleva, si legge nella sentenza, ad una chiara manifestazione di disprezzo nei suoi confronti.

Ed invero, nè il tenore letterale delle parole usate, nè il senso logico delle stesse, quale si ricava prima facie dalla lettura della proposizione incriminata, contengono infatti alcuna affermazione di disonestà del destinatario della missiva, potendo le parole in questione essere anche lette, soprattutto se poste in relazione con il contenzioso pendente tra le parti, soltanto come espressione, ancorchè acerba, della critica mossa dal Vi. alla decisione assunta dall’avv. B. di intraprendere nei confronti azione esecutiva nonostante la pendenza del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.

Stante l’erroneità della premessa, le sbrigative conclusioni che la sentenza ne ha tratto in ordine al carattere dispregiativo delle espressioni usate dal Vi. e alla sua consapevolezza di offendere la controparte, risultano meramente assertive in quanto private di supporto logico.

Il motivo va, pertanto, accolto e la sentenza cassata in parte qua con rinvio della causa per nuovo esame alla stessa Corte d’appello, altra sezione.

Il giudice di rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di cassazione relative al solo rapporto B.- Vi..

P.Q.M.

La Corte:

In accoglimento del ricorso dell’avvocato V., cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda proposta dall’avv. B. contro il V.. Compensa interamente tra i predetti avvocati le spese dell’intero giudizio.

In accoglimento del ricorso proposto dal Vi., cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione