Corte di Cassazione Civile sez. II 9/12/2009 n. 25780; Pres. Schettino

Redazione 09/12/09
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Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 13.11.97 F. Z. citava in giudizio avanti al Tribunale di Roma A. S., deducendo che nel mese di aprile del 1997 aveva sottoscritto una "proposta d’acquisto" di un immobile sito in Manziana, accettata da quest’ultimo, ma che il relativo contratto preliminare non era mai stato stipulato per causa imputabile al convenuto, privo della documentazione riguardante la proprietà del bene. Tanto premesso e rilevato che aveva già corrisposto al S. la somma di lire 10.000.000, ne chiedeva la condanna alla restituzione di tale importo – ritenuta l’inesistenza di alcun rapporto contrattuale – essendo venuta meno la relativa causa attributiva ovvero ai sensi dell’art. 2041 c.c.; in subordine, qualora la scrittura dell’aprile 1997 fosse stata ritenuta un contratto preliminare, chiedeva dichiararsi risolto tale negozio per inadempimento del S. e per effetto condannarlo al pagamento della soma di lire 20.000.000 (pari al doppio della caparra confirmatoria).
Il convenuto – costituitosi in giudizio solo all’udienza di precisazione delle conclusioni – contestava la domanda attrice, affermando che l’inadempienza era invece ravvisabile soltanto nel comportamento dell’attore, per non avere egli versato le somme pattuite nei termini fissati, e perché non si era mai presentato per la stipula del rogito.
L’adito tribunale con sentenza n. 641/2000 rigettava la domanda attrice, compensando le spese del giudizio; il primo giudice, dopo aver accertato l’esistenza di un contratto preliminare intercorso tra le parti in relazione al quale la somma di lire 10.000.000 era stata versata dallo Z. a titolo di caparra confirmatoria, riteneva che quest’ultimo non avesse provato che il proprio inadempimento fosse dipeso da fatto imputabile al convenuto. Tale decisione veniva appellata dallo Z. che ne sollecitava la riforma, riproponendo le medesime domande in precedenza avanzate. Il S. si costituiva chiedendo il rigetto del gravame ed in via incidentale la condanna di controparte al pagamento delle spese di primo grado, ingiustamente compensate dal Tribunale.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3312/04 accoglieva per quanto di ragione l’appello, condannando per l’effetto il S. al pagamento di euro 5.164,57 (pari a lire 10.000.000), oltre interessi legali ed alla rifusione delle spese del grado; rigettava l’appello incidentale del S.. La Corte romana, pur considerando infondate entrambe le domande proposte dall’attore, riteneva che la somma di lire 10.000.000 a suo tempo corrisposta al S. dallo Z., era priva della causa che ne aveva giustificato l’originaria dazione. Per la cassazione della suddetta decisione, propone il S. ricorso sulla base di un solo complesso mezzo; l’intimato non ha proposto difese.

Motivi della decisione
Passando all’esame del ricorso, con il 1° motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385 c.c.; art. 112 – 345 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo. Rileva che la Corte d’appello, dopo aver considerate infondate sia la domanda principale che quella incidentale dello Z., contraddicendosi, ha ritenuto che la dazione della somma di lire 10.000.000 (avvenuta a titolo di caparra) fosse comunque priva della causa "che ne aveva giustificato l’originaria dazione". In realtà non erano state violate le norme sulla caparra da parte del ricorrente – come ritenuto dalla Corte – perché ai sensi dell’art. 1385 c.c. colui il quale ha ricevuto la caparra è tenuto a restituirla solo se egli stesso è inadempiente; nella fattispecie il S. non era stato giudicato inadempiente dalla Corte d’Appello per cui poteva trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra, indipendentemente dalla sua domanda tesa all’accertamento del suo diritto di ritenzione della somma in questione.
Rilevava inoltre il ricorrente, a questo proposito, che il S. convenuto in giudizio, in realtà non era tenuto a proporre né aveva proposto in riconvenzione domanda diretta a trattenersi i soldi ricevuti dallo Z., poiché l’incameramento della caparra è previsto direttamente dalla legge (art. 1385 c.c.). La Corte quindi doveva limitarsi solo a rigettare l’appello dello Z. ed ha così finito per decidere ultra petita in violazione dell’art. 112 c.p.c.
La doglianza appare fondata essendo evidente la contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge evidenziate dal ricorrente. Secondo la Corte romana … "il fatto che il primo giudice non abbia ritenuto fondate le cause petendi poste a sostegno della richiesta (mancata accettazione della proposta irrevocabile; inadempimento del promittente venditore) non toglieva che in presenza di un’irrituale (perché intempestiva) domanda di ritenzione della somma portata dall’assegno da parte del S., la somma corrisposta era comunque divenuta priva di causa che ne aveva giustificato l’originaria dazione, così che il primo giudicante avrebbe dovuto disporre la restituzione dell’importo ricevuto…".
Ciò posto, osserva il Collegio che si sarebbe potuto parlare di sopravvenuta carenza di causa giustificante la dazione della somma, solo nel caso in cui non era mai sorto o era venuto meno il rapporto obbligatorio da cui scaturiva tale prestazione. Ma è pacifico che ciò non si è mai verificato, perché, come correttamente sostenuto dal tribunale, deve ritenersi che tra le parti era intervenuto un vero e proprio contratto preliminare di vendita dell’immobile di Manziana, per il complessivo prezzo di lire 240.000.000 di cui lire 10.000.000 versate alla data di accettazione della "proposta" contrattuale sottoscritta dallo Z.. "Dalla documentazione suddetta emergono chiaramente la "proposta d’acquisto" e la relativa "accettazione" e dunque l’incontro delle volontà, mentre la dazione della somma di lire 10.000.000 risulta in modo espresso effettuata a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo".
Poste tali premesse e rilevato – come riconosciuto dallo stesso giudice a quo – che nessuna inadempienza è ascrivibile al S. in merito alla mancata stipula del contratto, non v’è dubbio che costui proprio in forza dell’art. 1385 c.c. poteva trattenersi la caparra ricevuta, stante l’inadempimento di controparte (anche questo riconosciuto dalla Corte d’Appello), per cui non si comprende in qual modo sarebbe venuta meno la "causa originaria" della dazione della somma di cui trattasi, atteso che siffatta causa originaria era evidentemente riconducibile proprio a tale caparra confirmatoria (nell’atto stipulato – si ribadisce ancora – la dazione della somma di lire 10.000.000 era stata qualificata espressamente quale "caparra confirmatoria e acconto prezzo").
Passando all’esame del secondo motivo, con esso il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91-92 c.p.c. nonché il vizio di motivazione, con riguardo all’appello incidentale proposto dal S. riguardante la compensazione delle spese operate dal giudice nonostante egli fosse risultato totalmente vittorioso. La Corte di merito avrebbe totalmente ignorato tale censura "… e si [era] costruita una motivazione sulla base di presupposti inesistenti. Invero il S. non aveva mai proposto domanda riconvenzionale di ritenzione della somma né mai tale domanda era stata respinta determinando così una reciproca condizione di soccombenza". Anche tale doglianza è fondata; la compensazione delle spese non poteva essere giustificata dalla soccombenza reciproca, proprio perché mancava la domanda riconvenzionale del convenuto né tale domanda era stata rigettata dal primo giudice.
Conclusivamente il ricorso dev’essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata. La causa può esser decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto; pertanto dev’essere rigettata la domanda introduttiva proposta da ******* relativa alla restituzione da parte del S., della somma di lire 10.000.000 versata in relazione alla "proposta d’acquisto" di cui trattasi. Le spese di tutti i gradi del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda proposta da F. Z. contro A. S.; condanna lo Z. al pagamento delle spese processuali che liquida come segue: a) per il giudizio di primo grado, euro 813,00 di cui euro 375,00 per onorario; euro 248,00 per diritti, oltre spese generali ed accessori di legge; b) per il giudizio d’appello, euro 973,00 di cui euro 490,00 per onorario; euro 238,00 per diritti, oltre spese generali ed accessori di legge; per il giudizio di cassazione: euro 1. 720,00 di cui euro 1.400,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

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