Corte di Cassazione Civile sez. II 3/9/2008 n. 22133; Pres. Colarusso V.

Redazione 03/09/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 2.1.91 i coniugi C.G. e Z.M., comproprietari di un appartamento al primo piano dell’edificio condominiale sito in (omissis), acquistato dal costruttore P.A., convenivano in giudizio costui, davanti al Tribunale di Pescara, per sentirlo condannare alla demolizione parziale del manufatto da costui realizzato nell’area scoperta dallo stesso riservatasi in proprietà, nonchè alla demolizione e rimozione dell’ancoraggio di un cancello al muro perimetrale del condominio con il risarcimento dei danni e il pagamento delle spese di lite.

Asserivano gli attori che il convenuto,in luogo dei due locali consentiti,aveva realizzato, su tale area e in aderenza al muro perimetrale del fabbricato, un manufatto di ml. 6,59 per m. 4, che si ergeva sotto la soletta del loro balcone,in tal modo contravvenendo alla norme edilizie sulla distanza minima tra fabbricati e delle vedute.

Instauratosi il contraddittorio, il convenuto respingeva le opposte lagnanze, controdeducendo di essersi conformato alla clausola contrattuale che gli consentiva "di edificare i due locali nella ubicazione che più riterrà idonea, senza che gli acquirenti abbiano a chiedere e a pretendere dal venditore indennità di sorta".

Il Tribunale con sentenza n. 592/01, in parziale accoglimento della domanda, condannava il convenuto alla demolizione della parte del manufatto eccedente le dimensioni stabilite nel contratto di compravendita e alla eliminazione del cancello ancorato al muro perimetrale del condominio.

La Corte di Appello dell’Aquila con sentenza n. 986/03, depositata il 26.11.03 e notificata il 12.2.04, in accoglimento dell’appello proposto dagli stessi coniugi C. e Z., condannava il P. alla demolizione dell’intero manufatto, ponendo a suo carico le spese del grado.

Rilevava la Corte di merito che la pretesa del P. di realizzare un manufatto di mq 36 circa in luogo dei due previsti di mq. 15 ciascuno non era sostenibile,perchè la facoltà di apportare modifiche era espressamente limitata all’area scoperta di sua esclusiva proprietà, "che era quella costituente l’intero distacco sul lato mare, l’intero distacco sul lato (omissis) e metà circa del distacco verso (omissis), come meglio individuata con colorazione rossa nella planimetria allegata all’atto di vendita sotto la lettera A", con la conseguenza che la possibilità riconosciuta al venditore di apportare modifiche all’edificazione dei locali da costruire poteva estrinsecarsi solo sulle predette due aree e giammai su quella diversa su cui lo stesso aveva realizzato un unico locale di mq. 36.

Per la cassazione della decisione ricorre il P. esponendo quattro motivi, cui resistono gli intimati con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso,deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. si censura la sentenza impugnata, per avere posto a fondamento della decisione un fatto pacifico fra le parti, che non aveva formato oggetto di espressa lamentela da parte degli attori e cioè "di avere posizionato il manufatto sulla parte dell’area scoperta alienata agli attori quale area di pertinenza del fabbricato e non già sulla superficie che esso venditore si era riservata in proprietà".

Il motivo è infondato,in quanto la Corte di merito si è attenuta alla causa petendi (violazione della clausola contrattuale circa il posizionamento del manufatto) e al petitum (rimozione del manufatto realizzato in violazione della menzionata clausola) propri della domanda introduttiva proposta dagli attori ed è pacifico, per principio più volte enunciato in sede di legittimità che rientra nell’ordinaria potestà decidendi del giudice di gravame prendere in considerazione argomentazioni nuove e diverse rispetto a quelle dibattute fra le parti, senza esorbitare dai limiti dalla causa petendi e del petitum della domanda (Cass. civ. n. 1273/2003).

Con il secondo e terzo motivo di ricorso,deducendo violazione e falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale e segnatamente dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la sentenza impugnata, per essere pervenuta alla individuazione dell’area di posizionamento del manufatto, procedendo all’interpretazione della clausola contrattuale di cui all’art. 2 del contratto di compravendita sulla base della planimetria allegata al contratto sotto la lettera "A" omettendo, però, ogni esame e valutazione del contenuto della clausola come risultante dal menzionato art. 2 di contratto e prendendo in considerazione la normativa sulle distanze legali che non aveva formato oggetto di discussione in sede di merito.

Si sostiene che l’art. 2 del contratto individua l’area scoperta riservata in esclusiva proprietà del venditore, in quella "costituente l’intero distacco sul lato mare, l’intero distacco sul lato (omissis), metà circa del distacco verso (omissis)" e che tale inequivoca collocazione dell’area riservata al venditore sarebbe stata del tutto pretermessa dalla Corte di merito,che avrebbe ritenuto di individuare l’area de qua, limitandola a quella del solo lato mare del fabbricato e, per giunta, non all’intero lato, bensì a due minime parti di tale lato.

Il motivo non trova riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, ove si legge che l’area riservata al venditore è costituita proprio "dall’area scoperta annessa, costituente l’intero distacco sul lato mare, l’intero distacco sul lato (omissis) e metà circa del distacco verso via (omissis), come meglio risulta individuata con colorazione rossa nella planimetria allegata a questo atto sotto la lettera A".

Risulta, quindi, che v’è corrispondenza fra l’area descritta in sentenza e quella indicata in ricorso, mentre non è dato cogliere in punto di fatto la denunciata diversità dell’area individuata dalla Corte di merito da quella indicata in contratto.

Vale allora considerare che la doglianza attiene ad una censura in fatto,in quanto tale, censurabile per revocazione e non in sede di legittimità.

Il richiamo alla disciplina sulle distanze legali fra fabbricati non costituisce un tema estraneo al tema decidendum, perchè trova innanzitutto ragione nel contenuto dell’atto introduttivo del giudizio e poi la sua giustificazione nella disposta demolizione dell’intero manufatto realizzato dal P., avendone la Corte di merito riscontrata la completa difformità dalle pattuizioni intercorse fra le parti e conseguentemente rilevato che, in quanto tale, doveva essere realizzato nel pieno rispetto della normativa vigente sia in tema di distanze tra fabbricati sia in tema di luci e vedute.

Il ricorrente nemmeno ha ragione di lamentarsi dell’omesso esame della doglianza relativa alla disposta eliminazione dell’ancoraggio del cancello al muro perimetrale del Condominio, avanzata con il relativo motivo di appello incidentale, essendo rimasta la relativa pronuncia assorbita nella decisione adottata di disporre la completa eliminazione dell’opera realizzata dal P. sull’area in questione. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per spese.

Redazione