Corte di Cassazione Civile sez. II 27/5/2009 n. 12354; Pres. Vella A.

Redazione 27/05/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.G. e R.C. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, l’avv. F.E. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità professionale.

Deducevano l’inadempimento del legale, che li aveva assistiti in un procedimento da loro instaurato nei confronti di C.C., denunciando fra l’altro che il legale non aveva comunicato tempestivamente agli attori la sentenza che li aveva visti soccombenti, sicchè non era stato possibile proporre la relativa impugnazione.

In contumacia del convenuto, con sentenza depositata il 2 giugno 1997, il Tribunale rigettava la domanda.

Con sentenza dep. il 22 aprile 2004 la Corte di appello di Roma rigettava l’impugnazione proposta dagli attori.

Nel confermare la decisione di primo grado, i giudici di appello ritenevano che, pur essendo l’inadempimento del difensore in astratto idoneo a produrre danno, gli appellanti non avevano ottemperato all’onere della prova incombente al cliente di dimostrare il danno in concreto causato dall’inadeguata o insufficiente attività professionale, dimostrando che – ove fosse stato proposto l’appello – gli effetti sarebbero stati migliori e diversi: in particolare, gli appellanti, che avevano dedotto la perdita di chance, non avevano dimostrato l’erroneità di quella decisione fornendo la ragionevole certezza o un grado elevato di probabilità che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto.

In realtà, gli appellanti, che avevano lamentato che il Tribunale non avesse soffermato l’attenzione sul nesso di causalità fra l’eventuale proposizione dell’appello e il suo accoglimento, si erano limitati a richiamare gli elementi già emersi nel procedimento in cui erano stati difesi dall’avv. F. e che erano stato tenuti presenti dalla sentenza, che aveva pronunciato la risoluzione del contratto intercorso con il C., per colpa degli attori, con esauriente motivazione che non era stata oggetto di specifica censura neppure nel presente grado di giudizio.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione S. G. e R.C. sulla base di un motivo illustrato da memoria. Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1223 e 1226 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censurano la decisione gravata che, nell’effettuare il collegamento fra l’inadempimento e le ripercussioni patrimoniali e non patrimoniali negative, non aveva considerato che, ai sensi dell’art. 1223 c.c. citato, deve tenersi conto soltanto delle conseguenze pregiudizievoli dirette ed immediate dell’inadempimento attraverso un giudizio ipotetico fra la situazione esistente dopo l’inadempimento e quella che avrebbe potuto essere in presenza di un’esatta e diligente prestazione contrattuale: nella specie, ciò che assumeva rilevanza era la circostanza che, per effetto dell’inadempimento del legale all’obbligo di informare i clienti del deposito della sentenza, i ricorrenti avevano subito la perdita del potere di impugnare la decisione, perdita di per sè risarcibile indipendentemente dalla fondatezza o meno dell’eventuale impugnazione, quale conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento del professionista, tenuto conto degli effetti che comunque sarebbero derivati dalla mera proposizione della sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, della possibilità di addivenire a un accordo transattivo, evidentemente ormai precluso dal passaggio in decisione o ancora di ottenere una riduzione della penale: la Corte aveva omesso di procedere a una liquidazione equitativa del danno e comunque non aveva motivato in ordine al danno consistito nell’aggravio di spese ed interessi verificatosi a cagione dell’impossibilità di procedere a un pagamento spontaneo. Il motivo va disatteso.

Occorre premettere che la sentenza impugnata ha precisato che con i motivi di appello era stata censurata la decisione di primo grado laddove era stata respinta la domanda risarcitoria invocata con riferimento all’inadempimento da parte dell’avv. F., consistito nell’inosservanza dell’obbligo di comunicare tempestivamente agli appellati la sentenza che li aveva visti soccombenti: pertanto, deve ritenersi che, in considerazione del principio devolutivo dell’appello, oggetto del giudizio di gravame, era esclusivamente tale inadempimento e non pure il mancato adempimento degli altri obblighi che, secondo quanto prospettato dal ricorrente in sede di discussione dinanzi al Collegio, erano pure stati posti a sostegno della originaria domanda: peraltro con il ricorso per cassazione non è stata formulata alcuna doglianza in ordine ad altri profili di inadempimento dedotti in giudizio e al loro mancato esame da parte del giudice di merito.

Orbene, correttamente i giudici hanno applicato il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, secondo cui, in materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine – positivamente svolta – sul sicuro e chiaro fondamento dell’azione, che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata, e, quindi, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista medesimo sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente, rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l’onere di dimostrare l’impossibilità (a lui non imputabile, della perfetta esecuzione della prestazione (Cass. 4044/1994; 5264/1996; 200516846/2005). Ed invero la perdita del diritto di impugnare la sentenza, non può configurarsi di per sè come una conseguenza patrimoniale pregiudizievole, tenuto conto che ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. il riconoscimento del risarcimento del danno postula che il creditore dimostri l’esistenza di un concreto danno consistito in una effettiva diminuzione patrimoniale derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dall’inadempimento del debitore.

D’altra parte, la perdita di "chance" si configura come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, atteso che non costituisce una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e anche, in tal caso, il creditore ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

Orbene, correttamente la sentenza impugnata, nell’escludere la prova di un danno subito dai ricorrenti, per effetto dell’inadempimento del legale all’obbligo di comunicare il deposito della sentenza, che li aveva visti soccombenti, ha ritenuto che la perdita del potere di impugnare la sentenza non poteva rappresentare di per sè una conseguenza patrimoniale negativa, dal momento che i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare in concreto i riflessi pregiudizievoli offrendo la prova dell’erroneità della decisione e della concreta possibilità di essere riformata in appello. Ed in proposito i giudici hanno accertato che gli appellanti non avevano offerto alcun elemento che potesse indurre a ritenere, con ragionevole probabilità, che il gravame, se esperito, sarebbe stato accolto, ovvero potesse costituire una base sufficiente ad indurre controparte, totalmente vittoriosa, ad addivenire ad una transazione, avendo evidenziato che, neppure nel presente giudizio, gli appellanti erano stati in grado di offrire elementi di prova ulteriori rispetto a quelli che aveva esaminato il giudice del procedimento in cui era stata pronunciata la risoluzione del contratto stipulato con C.C. per colpa degli attuali ricorrenti.

Per quanto concerne la doglianza di omesso esame e di omessa motivazione, in ordine all’aggravio di spese ed interessi conseguenti, che un pagamento spontaneo avrebbe evitatola questione – non essendo trattata dalla sentenza impugnata – è nuova e, involgendo accertamenti di fatto, deve ritenersi come tale inammissibile in sede di legittimità: i ricorrenti avrebbero dovuto dedurre e dimostrare, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere ritualmente e tempestivamente proposto la questione nel giudizio di merito, indicando l’atto o il verbale in cui la stessa era stata formulata.

Pertanto, avendo escluso l’esistenza stessa del danno lamentato, correttamente la sentenza ha negato il ricorso alla liquidazione equitativa che presuppone dimostrata la lesione patrimoniale di cui sia impossibile od estremamente difficoltosa la quantificazione.

Il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese, relative alla presente fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione