Corte di Cassazione Civile sez. II 24/6/2008 n. 17181; Pres. Pontorieri F.

Redazione 24/06/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su ricorso del geometra B.M., corredato da parere del competente ordine professionale, il Presidente del Tribunale di Spoleto emise decreto ingiuntivo in data 10.3.99 a carico di M. G., per il pagamento della somma di L. 32.552.712, oltre accessoria titolo di compenso per prestazioni professionali che l’istante assumeva avere espletato, su incarico dell’intimato, per la progettazione di fabbricati ad uso abitativo e diverso da erigere su un terreno di proprietà del medesimo.

Si oppose il M., deducendo di nulla dovere al professionista, a termini della convenzione con il medesimo stipulata in data 17.9.94, tra l’altro prevedente una permuta in forza della quale egli avrebbe dovuto cedere al geometra il complesso immobiliare, ricevendo quale corrispettivo un appartamento, oltre alle prestazioni professionali e che queste, comunque, non sarebbero state retribuite se il progetto di lottizzazione non fosse stato approvato entro la data del 30.9.95, per motivi non imputabili al proprietario; poichè tale autorizzazione non era intervenuta e, peraltro, anche un successivo tentativo di ottenere una concessione per la realizzazione di un fabbricato non aveva avuto esito, tanto che la relativa pratica era stata archiviata il l’11.6.97, la pretesa del B. sarebbe stata infondata ed addirittura temeraria, anche agli effetti dell’art. 96 c.p.c..

Si costituiva e resisteva l’opposto, replicando che la convenzione indicata dall’opponente e non pervenuta a buon e sito, esclusivamente finalizzata alla lottizzazione, era rimasta superata da un successivo incarico professionale, conferitogli dopo un anno dalla scadenza del termine in quella indicato; tale incarico prevedeva la costruzione, da parte del M. in proprio, di fabbricati ad uso sia abitativo, sia diverso; a tale secondo incarico, che sosteneva aver assunto ed espletato, senza alcuna condizione collegata all’esito della pratica, ascriveva la propria richiesta proposta in via monitoria.

Con sentenza n. 39/04 l’adito Tribunale accoglieva integralmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’opposto alle spese del giudizio, sugli essenziali rilievi che, in assenza di alcuna prova in ordine al conferimento di un secondo incarico ed in mancanza di alcuna dichiarazione ex art. 1456 c.c., anteriore alla causa, della parte interessata di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, i rapporti tra le parti fossero ancora regolati dalla convenzione del 17.9.94, a termini della quale anche le attività professionali svolte successivamente al 30.9.95 erano da considerarsi assoggettate alla clausola anzidetta, sicchè avendo il M. manifestato, con la domanda giudiziale, di volersene avvalere, non essendo stata rilasciata l’autorizzazione alla lottizzazione, nessun compenso sarebbe stato dovuto al B..

Su appello di quest’ultimo, resistito dall’appellatola Corte di Perugia, con sentenza del 6/4-4/7/06, in parziale riforma di quella impugnata, condannava il M. al pagamento in favore del B. della somma di Euro 16.894, 93, con gli interessi legali, così ridotte le spettanze di cui al decreto ingiuntivo, oltre al rimborso dei due terzi delle spese del giudizio, per il resto compensate.

A tale conclusione i giudici di appello pervenivano, per quanto ancora rileva in questa sede, considerando che le argomentazioni esposte dal Tribunale non fossero conferenti nella concreta fattispecie negoziale, nella quale non era configurabile una clausola risolutiva espressa, "preordinata ad operare a fronte di un comportamento di una delle parti costituente inadempimento in senso tecnico …, essendo stata invece pattuita l’inefficacia o caducazione dell’accordo in conseguenza dello spirare di un termine, senza che fosse stata rilasciata per qualsivoglia motivo, purchè non imputabile al M., la … concessione di lottizzazione ".

Peraltro, anche a voler ritenere protratta la vigenza della convenzione, la stessa non avrebbe potuto essere considerata fonte del secondo" incarico professionale, attesa la diversità dei rispettivi oggetti, il primo costituito unicamente da un progetto di lottizzazione, il secondo da un progetto di edificazione di fabbricati ad uso di abitazione e di ufficio, in tali termini concretamente espletato, come dimostrato dal B., anche se la specifica del medesimo andava ridimensionata.

Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, deducente vari profili di violazione di norme di diritto e connessi vizi di motivazione, e proponente ex art. 366 bis c.p.c una serie di quesiti a questa Corte.

Resiste il B., con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta "violazione degli artt. 1456, 1457, 1353, 1362, 1366, 1367, 1346, 1325 n. 3, 1418 c.c., della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28 come mod. dalla L. n. 725 del 1967, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5". La decisione impugnata viene, anzitutto, censurata per aver erroneamente ravvisato un termine essenziale, anzichè una clausola risolutiva espressa, nella pattuizione secondo la quale nessun compenso sarebbe stato dovuto al B. "ove le competenti autorità comunali per qualsivoglia motivo, purchè non imputabile al M., non dovessero rilasciare la concessione ovvero la stessa venisse rilasciata oltre il 30/9/95". Si sostiene, al riguardo, che in mancanza di alcun elemento dal quale poter desumere la natura essenziale del termine convenuto, nel senso di mancanza di utilità oggettiva o soggettiva dell’adempimento oltre la suddetta scadenza temporale, la clausola, essendo correlata all’inadempimento, da parte del B., di una precisa obbligazione, ed accordandoci riguardosi M. la facoltà di sciogliersi dal contratto, senza nulla dovere alla controparte, avrebbe dovuto essere considerata, come correttamente aveva ritenuto il giudice di primo grado, una clausola risolutiva espressa.

In subordine si deduce, con richiamo a giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5575/83, 419/06) che "si sarebbe potuto e dovuto parlare, se del caso, di condizione risolutiva (art. 1353 c.c.), perchè l’evento del rilascio della concessione da parte del Comune, ancorchè assistito da un termine, costituiva l’elemento futuro ed incerto, integrante la figura, appunto, della condizione risolutiva".

Conseguentemente, m osservanza all’art. 366 bis c.p.c., vengono posti a questa Corte, tre quesiti, nei seguenti testuali termini:

a) "se la previsione del mancato adempimento di una determinata obbligazione connessa anche ad un evento incerto e futuro (nel caso di specie il rilascio di un atto abilitativo urbanistico) integri l’ipotesi della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.)o, viceversa, l’ipotesi del termine essenziale (art. 1457 c.c.) o, ancora, escluse in ipotesi, sia l’una che l’altra, quella della condizione risolutiva (art. 1353 c.c.); b) se e quali siano, secondo il diritto comune, gli elementi o i principi, sulla base dei quali procedere alla qualificazione giuridica di una clausola, quale clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), quale termine essenziale (art. 1457 c.c.), quale condizione risolutiva (art. 1353 c.c.)"; c) "se gli elementi rilevati dalla Corte di Appello siano idonei a far ritenere la clausola de qua come riconducibile all’ipotesi del termine essenziale, anzichè a quella della clausola risolutiva espressa o ancora ali ‘ipotesi della condizione risolutiva".

Ai tre quesiti palesemente pertinenti alla fatti specie, in relazione alle censure che ne costituiscono la premessa, può fornirsi risposta unitaria, attesa l’evidente stretta connessione tra gli stessi.

Al riguardo va, anzitutto, osservato che caratteri comuni degli istituti previsti dagli artt. 1456 clausola risolutiva espressa) e art. 1457 c.c. (termine essenziale per una delle parti), entrambi collocati nell’ambito della sezione 1^, capo 14 del libro 4^, disciplinante le varie ipotesi di risoluzione per inadempimento del contratto, possono individuarsi nella sussistenza di un’ipotesi d’inadempienza contrattuale imputabile ad una delle parti e nell’attribuzione all’altra, in via di autotutela, di un diritto potestativo, comportante la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal contratto. Tale scioglimento, nel caso della clausola risolutiva espressa, richiede una manifestazione di volontà a tal fine, da parte del contraente non inadempiente, mentre in quella del termine essenziale l’effetto risolutivo, collegato ad una scadenza temporale, oltre la quale la prestazione è stata dai contraenti ritenuta priva di utilità per una delle partasi verifica di diritto, se entro i tre giorni successivi alla data prevista tale parte non dichiari di voler comunque esigere la prestazione, fino a quel momento inadempiuta.

Dall’esposizione dei suesposti elementi, comuni e differenziali, dei due istituti così come più volte evidenziati dalla giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 8881/00, 102/94), risulta palese come nell’uno e nell’altro caso la risoluzione, pur diversamente disciplinata nelle due ipotesi, debba essere comunque ricollegabile all’inadempimento di una prestazione imputabile ad una delle parti, elemento che nella concreta fattispecie negoziale, così come riportata nella sentenza impugnata e concordemente riferita dalle parti, non si riscontra, atteso che l’effetto risolutorio non risultava espressamente collegato al comportamento inadempiente dell’uno o dell’altro dei contraenti, ma, essenzialmente, al mancato conseguimento, entro vaia, determinata scadenza, "per qualsivoglia motivo, purchè non imputabile al M. …" del provvedimento amministrativo, indispensabile ai fini dello scambio di prestazioni contrattualmente previsto;vale a dire che, esclusa l’ipotesi ("patologica") di mancato conseguimento dell’autorizzazione alla lottizzazione per difetto di collaborazione da parte dell’istante M., l’esito negativo, per qualsiasi altra ragione, della pratica, avrebbe comportato lo scioglimento dei contraenti dal rapporto, con assoluzione, in particolare, del suddetto da ogni obbligazione correlata alla prestazione professionale del B..

Tanto premesso, considerato che la verificazione del fatto condizionante l’efficacia del contratto, in quanto integrante l’emanazione di un provvedimento essenzialmente rimesso all’esercizio di una facoltà discrezionale della P.A.(fatto del terzo, non dipendente dalla volontà delle parti), vale a dire un evento futuro ed incerto (cfr. Cass. n. 1900/00, per una fattispecie, in parte analoga, di condizione sospensiva), al cui mancato accadimento, ancorchè ancorato ad una scadenza temporale, veniva annesso l’effetto risolutorio, deve concludersi che nel caso di specie la riportata clausola contrattuale abbia integrato gli estremi di una condizione risolutiva negativa, ex art. 1353 c.c. comportante l’automatica caducazione degli effetti del negozio alla data prevista. Tale soluzione risulta in linea anche con la giurisprudenza al riguardo citata dal ricorrente (Cass. n. 419/06), nella quale è stato evidenziato come l’evento, incerto nell’an e nel quando, sebbene ancorato ad un limite temporale, allo scopo di evitare che le parti rimangano indefinitamente nell’incertezza sull’efficacia del contratto, debba qualificarsi, pur se la clausola sia prevista nel preminente interesse di una delle parti, quale condizione risolutiva, ferma restante la facoltà di rinuncia alla stessa, anche con comportamenti concludenti. Ma a tal ultimo proposito, la deduzione, da parte ricorrente, di siffatta rinunciaci limita alla proposizione una tesi meramente assertiva, non meglio specificatale comunque richiederebbe accertamenti di circostanze di fatto non dedotte nei precedenti gradi di merito, con conseguente inammissibilità del relativo profilo di censura.

Conclusivamente, in risposta ai quesiti come in precedenza formulati, questa Corte può enunciare il principio nei seguenti, riassuntivi, termini formulato:

"Premesso che, nei contratti a prestazioni corrispettive, il presupposto comune della clausola risolutiva espressa e del termine essenziale per una delle parti, rispettivamente previsti dagli artt. 1456 e 1457 c.c., è costituito dall’inadempimento imputabile ad una delle parti, e che tale elemento non si riscontra nel caso in cui, al mancato ottenimento entro una determinata scadenza temporale di un provvedimento amministrativo per qualsivoglia motivo, purchè non ascrivibile ad uno dei contraenti, sia stato annesso l’effetto risolutivo, siffatta clausola, in quanto condizionante tale effetto alla mancata verificazione di un evento futuro ed incerto, non esclusivamente dipendente dal comportamento dei contraenti, deve qualificarsi condizione risolutiva negativa ai sensi dell’art. 1353 c.c..

Resta pertanto confermata, sia pur con motivazione diversa, emendativa ex art. 384 c.p.c., u.c., di quella adottata dal giudice a quo (ravvisante nella clausola controversa un termine essenziale), la decisione impugnata, nella quale è stato ritenuto risolto l’originario contratto alla data del 30.9.95, individuandosi in una successiva fonte negoziale la diversa genesi dell’obbligazione azionata dal B.. Tale fonte, esclusa l’ormai caducata convenzione del 17.9.94, in mancanza di prove e rituale deduzione di elementi comportanti un rinnovo della stessa, in tutto o in parte, secondo gli originari complessi termini che l’avevano connotata (tra cui, segnatamente, quello della previsione di una scadenza temporale), non avrebbe potuto che individuarsi, come dalla Corte di merito lo è stata con motivazione esente da vizi logici, nei fatti concludenti, intervenuti a distanza di un anno dalla precedente scadenza, desunti dalla redazione di un nuovo progetto da parte del B. e dalla sottoscrizione, da parte del M. e sulla base di questo, di una nuova istanza diretta alla realizzazione di un fabbricato, con conseguente instaurazione di un contratto d’opera ex art. 2222 c.c., comportante, ai sensi dell’art. 2225 c.c., il diritto del prestatore al corrispettivo, indipendentemente dal buon esito della pratica amministrativa. Restano conseguentemente assorbiti i successivi profili di censura ed i connessi quesiti di diritto, formulati a pag. 23 del ricorso, sub d (relativo alla possibilità di proroga tacita di un contratto sottoposto a termine essenziale, la cui configurabilità è stata esclusa), sub e (relativo alla corretta interpretazione del contratto originario, la cui caducazione ne comporta l’irrilevanza ai fini della decisione sulla domanda di pagamento del compenso professionale), sub f (relativo alla possibilità di ottenere una concessione edilizia, senza aver prima conseguito l’autorizzazione alla lottizzazione del terreno edificabile).

Per quanto attiene, in particolare, a quest’ultima questione difetta anche di concreto interesse e rilevanza, tenuto conto che i giudici di appello hanno già fornito risposta al riguardo, nel senso sostenuto da parte dell’odierno ricorrente, laddove (v. pag. 8 u.p. della sentenza impugnata) danno atto che, sia pur "per linee teoriche", la lottizzazione costituisce "attività propedeutica a quella di realizzazione del fabbricato" e, pertanto, della necessità di produzione, a corredo della domanda di concessione edilizia, del "progetto di lottizzazione ed urbanizzazione di lotto di terreno edificabile", in precedenza redatto dal professionista a seguito dell’originaria convenzione del 17.9.94, tuttavia depennando dalla pretesa del B. le voci relative al compenso per tale specifica parte della prestazione , "non potendo farsi rientrare dalla finestra quanto già uscito dalla porta per un titolo poziore".

Il ricorso va, in definitiva, respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per la totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, considerate la complessità della vicenda, l’obiettiva controvertibilità delle questioni dibattute e la disposta correzione della motivazione, in conformità ad una tesi proposta, sia pur subordinatamente e senza positivo esito, dalla parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Redazione