Corte di Cassazione Civile sez. II 24/2/2009 n. 4422; Pres. Rovelli L.

Redazione 24/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 9 marzo 1998, la s.a.s. ****, premesso di avere stipulato con la C.M.R. un accordo per la vendita di prodotti di detta azienda prevedendo come compenso la differenza tra il prezzo di listino e quello applicato al cliente, comprensivo della provvigione per la Rind; di avere maturato un credito provvigionale di L. 52.312.500 per la fornitura di un tornio ad autoapprendimento fatta a favore della s.p.a. *********; che la C.M.R. non aveva riconosciuto tale credito ed aveva comunicato la decisione di riconoscere una provvigione di L. 7.500.000, pari al 3,58% del prezzo complessivo lordo della fornitura; tanto premesso conveniva in giudizio la C.M.R. perchè, previa declaratoria della applicabilità delle norme relative al contratto di agenzia anche al contratto di procacciamento di affari, venisse dichiarato risolto il contratto per inadempimento della mandante, con condanna della stessa al pagamento della provvigione concordata nella misura del 25% e quindi della somma residua di L. 44.812.500, oltre le indennità relative alla risoluzione del rapporto. La C.M.R. chiedeva il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza depositata il 23 maggio 2000, in accoglimento della eccezione di prescrizione, rigettava la domanda, con compensazione delle spese processuali.

Proponeva appello la s. a. s. **** e la Corte d’appello di Napoli, ricostituitosi il contraddittorio, con sentenza in data 24 febbraio 2003 lo rigettava.

Con riferimento al primo motivo, con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza nella parte in cui aveva accolto l’eccezione di prescrizione annuale sull’assunto che il contratto intercorso tra le parti dovesse essere qualificato come contratto di mediazione, la Corte rilevava che per la configurabilità di un rapporto di agenzia era necessaria la prova dell’affidamento, da parte del preponente, di un incarico con carattere di stabilità in una zona determinata, di regola con un rapporto di esclusiva. Ma una simile prova non era stata offerta dall’appellante che non aveva prodotto alcuna scrittura privata, nè aveva provato di essere iscritto al ruolo istituito dalla L. n. 204 del 1985, presso la camera di commercio.

Dal carteggio intercorso tra le parti emergeva che correttamente il giudice di primo grado aveva ravvisato nell’accordo intervenuto tra le parti per la stipula dell’affare *********, come degli altri singoli affari conclusi in precedenza, un mero rapporto di procacciamento di affari, con riferimento al quale trovava applicazione la prescrizione breve prevista per la mediazione, ormai maturata, senza che potesse rilevare la tardiva eccezione di interruzione, peraltro infondata e comunque inammissibile in appello.

Quanto agli altri motivi di gravame, relativi al mancato riconoscimento delle pretese dell’appellante volte ad ottenere l’indennità per la risoluzione del contratto e la corresponsione delle provvigioni nei termini previamente concordati, la Corte rilevava che l’esame degli stessi era irrilevante, non potendo portare ad alcun risultato di rilievo, atteso che, con l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, era stato dichiarato estinto il diritto della **** derivante dall’asserito contratto di agenzia.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre la s.a.s. **** sulla base di cinque motivi; resiste, con controricorso, la s.r.l.

********************, già s.p.a. C.M.R. Costruzioni ********************. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente rilevarsi che il controricorso è stato proposto nell’interesse della s.r.l. ********************, già C.M.R. Costruzioni ********************, laddove la sentenza di appello era stata emessa nel giudizio proposto dalla **** s.a.s. nei confronti della s.r.l. *****************

La ricorrente ha eccepito che sarebbe quindi diverso il soggetto che ha resistito nel presente giudizio rispetto a quello che era stato parte nel giudizio di appello.

Ritiene tuttavia il Collegio che, pur dovendosi evidenziare la diversa denominazione che la controricorrente ha affermato di avere assunto, non sussiste alcun dubbio circa il fatto che, nella specie, si sia in presenza del mutamento della denominazione della società controricorrente, piuttosto che della proposizione del controricorso da parte di un soggetto diverso da quello nei confronti del quale era stata pronunciata la sentenza di appello, una simile conclusione essendo chiaramente desumibile dalla circostanza che sia la s.r.l **************** (soggetto nei confronti del quale è stata pronunciata la sentenza di appello ed è stato notificato il ricorso), sia la ******************** s.r.l. costituiscono derivazione della medesima società C.M.R. Costruzioni ******************** s.p.a.. Non vi è quindi ostacolo alla possibilità di tenere conto delle deduzioni svolte dalla resistente nel proprio atto difensivo.

Con il primo motivo, la ricorrente deduce travisamento dei fatti e violazione dell’art. 112 c.p.c., – error in procedendo. La Corte ha riferito che l’appellante avrebbe sostenuto che "nell’accordo intercorso tra le parti erano riscontrabili gli elementi distintivi del contratto di agenzia", mentre nell’atto di appello era stato indicato più volte che il rapporto intercorso tra le parti era di procacciamento di affari. Essa ricorrente, quindi, non avrebbe potuto in alcun modo fornire la prova della stipulazione di un contratto di agenzia, non avendo mai sostenuto la tesi della esistenza di un siffatto rapporto. Sin dall’atto di citazione, invero, essa aveva chiesto di riconoscere che al contratto di procacciamento di affari dovevano essere applicate, per analogia, le norme del contratto di agenzia.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione sui seguenti due punti decisivi. La Corte d’appello non avrebbe indicato le ragioni per le quali, sulla premessa che il Tribunale aveva correttamente ritenuto sussistente un contratto di procacciamento di affari, ad esso dovevano applicarsi le norme sulla mediazione in luogo di quelle in tema di agenzia, assai diverse soprattutto quanto al regime della prescrizione. Nè la Corte territoriale avrebbe motivato l’affermazione secondo cui per la mediazione (e quindi per il procacciamento di affari) si applica la stessa prescrizione breve.

Con il terzo motivo, la s.a.s. **** deduce la contraddittorietà della decisione, perchè dall’affermazione della corretta qualificazione del contratto come procacciamento di affari non ha tratto le necessarie conseguenze giuridiche. Innanzitutto, la Corte avrebbe dovuto accogliere il gravame che sulla qualificazione del rapporto come procacciamento di affari si fondava; inoltre, per la individuazione del termine di prescrizione, la Corte avrebbe dovuto avere riguardo, in via analogica, alla disciplina stabilita per il contratto di agenzia, con conseguente applicazione del termine quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione delle seguenti norme di legge: a) dell’art. 189 c.p.c., perchè la C.M.R. nelle conclusioni nel giudizio di primo grado non aveva riproposto l’eccezione di prescrizione, limitandosi a concludere genericamente per la reiezione della domanda attrice; nè di siffatta eccezione aveva trattato nella conclusionale, sicchè l’eccezione stessa doveva ritenersi implicitamente abbandonata; b) dell’art. 2944 c.c., perchè la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione il riconoscimento del diritto da parte della C.M.R., che aveva riconosciuto, nella comparsa di costituzione, di essere tenuta al pagamento delle provvigioni nella misura del 3,58%; c) dell’art. 2959 c.c., per non avere la Corte d’appello tenuto conto dell’ammissione della controparte che l’obbligazione non era stata estinta.

Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la falsa applicazione delle seguenti norme di diritto : a) dell’art. 345 c.p.c., perchè la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile l’eccezione di interruzione della prescrizione, in quanto formulata solo in sede di appello. Il Tribunale, in realtà, aveva ritenuto che la prescrizione non fosse stata interrotta perchè, nonostante il deposito delle copie delle raccomandate inviate alla C.M.R., non poteva ritenersi certa la data, per non essere quei documenti corredati da alcun timbro postale attestante la spedizione e/o la ricezione dei medesimi. Ebbene, alla Corte sarebbe stato sufficiente esaminare i documenti prodotti per accertare che il timbro risultava apposto sul retro del foglio prodotto. Del resto, la ricezione delle raccomandate risultava corroborata dalle risposte della C.M.R., prodotte in primo grado; b) dell’art. 115 c.p.c., perchè la Corte avrebbe erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di interruzione della prescrizione, con ciò mostrando di non aver preso in esame i documenti prodotti.

I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della connessione esistente tra le censure proposte, sono fondati.

Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere rigettato il gravame sul rilievo che con il primo motivo dello stesso essa ricorrente avrebbe censurato la sentenza di primo grado asserendo che "nell’accordo intercorso tra le parti erano riscontrabili gli elementi distintivi del contratto di agenzia, cui andava applicata la prescrizione ordinaria". La Corte d’appello ha quindi ritenuto siffatta censura infondata osservando che della avvenuta stipulazione di un contratto di agenzia non vi era alcuna prova in atti, sicchè correttamente il Tribunale aveva qualificato il rapporto intercorso tra le parti in termini di mediazione o, al più, di procacciamento di affari, con la conseguenza che ai diritti vantati dalla appellante doveva applicarsi il termine di prescrizione previsto per la mediazione; termine ampiamente decorso al momento della proposizione della domanda.

Dalla stessa sentenza impugnata emerge con evidenza che nell’atto di citazione la ricorrente aveva qualificato il rapporto intercorso con la C.M.R. come procacciamento di affari e non già di agenzia, chiedendo l’applicazione al detto rapporto delle norme relative al contratto di agenzia e, conseguentemente, che venisse dichiarato risolto il contratto per inadempimento della convenuta (odierna resistente) e che la stessa fosse condannata al pagamento della provvigione nella misura convenuta. Del resto, che la qualificazione del rapporto fosse quella di procacciamento di affari e non già di agenzia, risulta ammesso dalla stessa resistente, la quale, pur affermando nel controricorso che la **** s.a.s. aveva asserito, nell’atto di citazione, di avere svolto attività di agente (in contrasto, quindi, con quanto risulta invece dalla sentenza impugnata), ha tuttavia riferito di avere eccepito, nel costituirsi nel giudizio di primo grado, che il rapporto intercorso con la **** s.a.s. era un rapporto di procacciamento di affari.

Già sulla base di tali elementi risulta evidente la fondatezza del primo motivo di ricorso, dal momento che deve escludersi che la ricorrente avesse formulato la propria domanda asserendo essere intercorso con la C.M.R. un rapporto di agenzia, ed avendo essa anzi richiesto che venissero applicate a detto rapporto le norme sul contratto di agenzia, non in via diretta, sul presupposto, appunto, della conclusione di un siffatto contratto, quanto piuttosto in via integrativa, sul presupposto che il rapporto intercorso con la C.M.R. fosse un rapporto di procacciamento di affari.

Nell’atto di appello, alla lettura del quale il Collegio può procedere in considerazione della natura della censura proposta, emerge poi che il motivo di gravame svolto nei confronti della sentenza di primo grado presupponeva essere pacifico tra le parti che il rapporto tra loro intercorso fosse di procacciamento di affari. Si legge, infatti, in detto atto che "Entrambe le parti hanno sostenuto che il contratto regolante il loro rapporto era un contratto di procacciamento di affari. Lo ha scritto l’attrice nella citazione e lo ha riconosciuto la convenuta fin dalla comparsa di costituzione.

Il Tribunale, perciò, anche a norma dell’art. 1362 c.c., comma 2, non avrebbe potuto qualificarlo diversamente".

Risulta dunque evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello, la quale ha ritenuto che la ricorrente avesse censurato la sentenza impugnata sul rilievo che il rapporto intercorso tra le parti fosse un rapporto di agenzia.

Risulta altresì evidente il denunciato vizio di motivazione (secondo e terzo motivo), in quanto la Corte d’appello, da un lato, ha ritenuto che correttamente il giudice di primo grado avesse qualificato il rapporto intercorso tra le parti come mediazione o procacciamento d’affari, e, tuttavia, dall’altro, non ha in alcun modo esplicitato le ragioni per le quali, pur ritenendo detto rapporto qualificabile come procacciamento di affari, allo stesso dovessero applicarsi, in via integrativa, le norme sul contratto di mediazione e non già quelle sul contratto di agenzia.

Motivazione, questa, che sarebbe stata del tutto necessaria ove si consideri che, secondo quanto affermato da questa Corte, è elemento comune delle astratte fattispecie della mediazione e del procacciamento di affari la prestazione di un’attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, sicchè ad entrambe le ipotesi sono applicabili alcune identiche disposizioni normative in materia di diritto alla provvigione, secondo le quali è sufficiente, perchè nasca il diritto di credito al compenso a favore del mediatore o del procacciatore, che questi ponga in contatto tra loro due o più parti per la conclusione di un affare, che questo venga concluso per effetto del suo intervento e che la sua attività nota alle parti sia stata quanto meno da loro accettata, nella ipotesi della mediazione, o determinata da un incarico unilateralmente affidato anche tacitamente e desumibile per facta concludenti (Cass. n. 11244 del 1996, in motivazione).

In particolare, poi, questa Corte ha chiarito che "per integrare uno degli elementi essenziali del contratto di mediazione è necessario che il mediatore sia un soggetto imparziale e che la sua attività consista nel mediare fra le parti poste in contatto per la conclusione dell’affare. Qualora, invece, l’attività dell’intermediario è prestata esclusivamente nell’interesse di una delle parti si rientra nell’ambito del procacciamento oneroso d’affari che non è soggetto all’applicazione del disposto della L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 6" (Cass. n. 12106 del 2003).

Quanto al rapporto tra contratto di agenzia e contratto di procacciamento di affari, nella giurisprudenza di questa Corte si è ulteriormente precisato che "caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.

Conseguentemente, al rapporto di procacciamento d’affari possono applicarsi in via analogica solo le disposizioni relative al contratto di agenzia (come le provvigioni) che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto e non anche quelle – di legge o di contratto – che lo presuppongono (come nella specie l’indennità di mancato preavviso, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità di cessazione del rapporto). (Cass. n. 13629 del 2005). In particolare, Cass. n. 11024 del 2007 ha affermato che "il diritto dell’agente alle provvigioni si prescrive in cinque anni ex art. 2948 c.c.; altrettanto vale per il procacciatore d’affari al quale sono applicabili in via analogica le disposizioni del contratto d’agenzia che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto" (Cass. n. 11024 del 2007).

Alla luce di tali principi, dunque, non può predicarsi, cosi come ha fatto la Corte d’appello, confermando la decisione di primo grado, la indifferenza della qualificazione di un rapporto in termini di mediazione o di procacciamento di affari, giacchè dalla qualificazione del rapporto in termini di procacciamento di affari discende l’applicabilità allo stesso delle norme in tema di agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all’agente, diverse da quelle relative alla prescrizione della provvigione spettante al mediatore.

L’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso determina l’assorbimento degli altri, concernenti le diverse questioni della ritualità della eccezione di prescrizione e della tempestività della eccezione di interruzione della prescrizione.

In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale procederà a nuovo esame dell’atto di gravame emendando gli accertati vizi della sentenza impugnata, tenendo altresì conto dei richiamati principi di diritto.

Al giudice di rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa sezione della Corte d’appello di Napoli.

Redazione