Corte di Cassazione Civile sez. II 20/3/2009 n. 6882; Pres. Mensitieri A.

Redazione 20/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti atti di citazione notificati il 4 gennaio 1999, la Sicura s.r.l, in persona del legale rappresentante pro tempore C. B., e quest’ultimo in proprio, convenivano la Winterthur Assicurazioni s.p.a. e la Winterthur Vita s.p.a. dinnanzi al Tribunale di Milano, chiedendo che venisse accertato e dichiarato il diritto della S.r.l. Sicura al pagamento, relativamente agli esercizi (omissis), delle sovraprovvigioni previste nelle appendici (omissis) del mandato (omissis) e nell’accordo (omissis), nella misura complessiva di L. 285.111.021 e, per l’effetto, che la Wintertur Assicurazioni s.p.a. venisse condannata al pagamento, in suo favore, della somma di L. 44.233.058 (o della somma risultante all’esito del giudizio) quale credito residuo a titolo di sovraprovvigioni per gli indicati esercizi. Gli attori chiedevano altresì che venisse accertata e dichiarata la illegittimità del recesso dal rapporto di agenzia, comunicato il (omissis), e, per l’effetto, che venissero condannate le convenute al pagamento della somma di L. 3.250.000.000, per mancata liberalizzazione del portafoglio, di L. 550.000.000, per indennizzi vari e di L. 200.000.000, per danni non patrimoniali.

Le società convenute si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande e proponendo domanda riconvenzionale relativamente alle somme (saldi decadali) non versate dalla società attrice, con condanna di quest’ultima al pagamento di dette somme, previa compensazione con il debito per indennizzi di fine rapporto.

Il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva depositata il 18 dicembre 2000, dichiarava il diritto della società attrice di ottenere il saldo delle sovraprovvigioni per gli anni (omissis); dichiarava illegittimo il recesso dal rapporto di agenzia comunicato dalle società convenute e rimetteva la causa in istruttoria per la quantificazione delle somme richieste dalle parti.

Proponevano appello la Winterthur Assicurazioni s.p.a. e la Winterthur Vita s.p.a.; resisteva la Sicura s.r.l..

La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 15 aprile 2003, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, confermata per il resto, escludeva il diritto della Sicura s.r.l ad ottenere il pagamento delle sovraprovvigioni per l’anno (omissis), compensando interamente tra le parti le spese del grado.

La Corte riteneva, quanto alle sovraprovvigioni per gli anni (omissis) e 1993, che il diritto dell’attrice discendesse dall’appendice n. 18, sottoscritta dall’agente e dalla compagnia, nella quale, sotto la voce rappel, era stabilito che "per gli esercizi (omissis) all’agenzia viene assegnato un budget di incremento incassi lordi R.P. (escluso I.F.A. – Kasko – Grandine – Trasporti – Credito – Guasti) di L. 100.000.000 da realizzarsi in ciascuno degli esercizi rispetto al 31/12 dell’anno precedente". Osservava la Corte che, stante la mancata inclusione del ramo R.C.A. tra i rischi esclusi dalla previsione del riconoscimento delle sovraprovvigioni (R.P.), le Compagnie erano tenute alla corresponsione del rappel anche con riferimento a detto ramo. Del resto, l’interesse delle Compagnie all’incremento del ramo R.C.A. si desumeva dalla documentazione prodotta e comunque ogni questione in proposito doveva ritenersi superata alla luce della chiara lettera della convenzione intercorsa tra le parti.

La Corte riteneva invece non dovute le richieste sovraprovvigioni per l’anno (omissis), dato che le Compagnie avevano prodotto un documento in data (omissis), sottoscritto da entrambe le parti, in cui, sotto la voce "appendice n. (omissis)", era stabilito che "per l’esercizio (omissis), avendo l’agenzia fatto registrare un decremento incassi R.P., non spetta quanto previsto nell’appendice n. 19 sotto la voce rappel". E in tal senso riformava la sentenza impugnata.

Quanto alla questione della legittimità o meno del recesso delle Compagnie, la Corte riteneva che il Tribunale avesse correttamente qualificato come illegittimo il recesso comunicato con lettera del (omissis), in quanto, una volta accertato il diritto della Sicura s.r.l. al pagamento delle sovraprovvigioni per gli anni (omissis), l’agente ben aveva trattenuto l’importo del suo credito, non contestato nel suo ammontare matematico, dalle somme di pertinenza delle Compagnie. Infondato era poi il rilievo mosso dalle appellanti, secondo cui il Tribunale avrebbe errato nel rifarsi alla normativa relativa al mandato con rappresentanza, dato che, alla luce della documentazione in atti, l’agente, nell’esecuzione del mandato conferitogli, aveva anche il compito di "incassare in contanti in nome e per conto della società i premi dovuti dagli assicurati".

Risultava quindi sussistente il diritto dell’agente di trattenere sugli incassi le somme dovute per gli anni (omissis). In ogni caso, proseguiva la Corte d’appello, dalla documentazione prodotta da entrambe le parti, emergeva che in relazione al circoscritto episodio contestato vi era stato anche un incomprensibile rifiuto delle Compagnie di tenere conto delle ragioni dell’agente, posto che si trattava di un singolo episodio circoscritto, in un contesto molto più ampio di proficua collaborazione tra le parti, che in precedenza avevano trovato il modo di risolvere bonariamente ogni questione tra loro insorta, sicchè non poteva ritenersi giustificato il ricorso delle Compagnie all’istituto del recesso per giusta causa, presupponente un fatto – inesistente nella fattispecie – di tale gravità da far venire meno immediatamente e irreparabilmente il rapporto fiduciario intercorrente tra le parti. In considerazione dell’esito della lite, la Corte disponeva la compensazione tra le parti delle spese del grado.

Il giudizio per la quantificazione delle somme richieste dalle parti, proseguito a seguito della sentenza non definitiva, veniva deciso con sentenza definitiva n. 12624/2003, con la quale il Tribunale di Milano, ritenuto che la sentenza non definitiva aveva "affrontato in realtà interamente l’an delle domande attoree, come emerge chiaramente dalla statuizione di rimessione in istruttoria, disposta esclusivamente e rigorosamente per la quantificazione", condannava Winterthur Assicurazioni e Winterthur Vita a pagare agli attori la somma di Euro 8.623,23 a titolo di indennità monte premi, Euro 44.068,73 ed Euro 13.001,01 a titolo di indennità ex artt. 27 e 28 ANA, Euro 26.436,28 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, euro 5.897,84 a titolo di sovraprovvigioni ed Euro 2.207,37, a titolo di provvigioni arretrate.

Proponevano appello avverso tale sentenza La Sicura s.r.l. e il C., sostenendo la erroneità dell’iter processuale seguito dal primo giudice che, nella decisione definitiva, si era limitato a prendere in esame il quantum della pretesa attorea connessa alla affermata illegittimità del recesso per giusta causa, omettendo la disamina delle ulteriori questioni sull’an. In particolare, ad avviso degli appellanti, il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto già decisa la questione inerente il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata liberalizzazione del portafoglio agenziale;

aveva omesso di decidere sul versamento dell’ulteriore somma prevista dall’accordo (omissis), scheda n. (omissis); aveva omesso di decidere sul risarcimento del danno non patrimoniale subito da essi appellanti; aveva omesso altresì di provvedere in ordine al pagamento delle differenze provvigionali tra quanto versato da Winterthur Assicurazioni s.p.a. a Sicura dal 1 gennaio 1997 sino alla cessazione del rapporto agenziale e quanto effettivamente maturato e dovuto a tale titolo in base alle provvigioni stabilite dai mandati agenziali (omissis), nella misura di Euro 23.830,22; aveva omesso di condannare le convenute al pagamento di interessi legali sulle somme riconosciute come dovute.

Resisteva al gravame Aurora Assicurazioni s.p.a. (nuova denominazione di Winterthur Assicurazioni).

La Corte d’appello, preso atto della sentenza non definitiva pronunciata in grado di appello, puntualizzava, in primo luogo, che la sentenza non definitiva, contrariamente all’assunto degli appellanti, aveva deciso interamente l’an della controversia, rimettendo all’ulteriore corso del giudizio l’esame dei mezzi istruttori già articolati relativi al quantum delle pretese attoree.

Rilevava altresì che il Tribunale, con la sentenza definitiva, non aveva affrontato le problematiche inerenti alla divergenza tra preponenti e agenti riguardo alle diverse indennità, limitandosi a liquidare gli importi minimi riconosciuti dalle prime, senza motivare le ragioni di tale scelta. Quanto alle doglianze concernenti il risarcimento danni da mancata liberalizzazione del portafoglio e il supplemento di provvigioni che gli agenti avrebbero avuto diritto di percepire nel caso in cui il rapporto si fosse risolto per giustificato motivo, la Corte rilevava, in particolare, che le stesse trovavano fondamento in titoli estranei alla decisione di merito sull’an della vertenza che, non oggetto di impugnazione incidentale, non poteva essere esaminata in sede di gravame.

Quanto al danno morale conseguente all’illegittimità del recesso per giusta causa e al mancato pagamento delle differenze provvigionali dal (omissis) alla cessazione del rapporto, la Corte rilevava che del pari si trattava di questioni non prese in considerazione dal primo giudice e non riproposte in sede di appello incidentale avverso la sentenza non definitiva.

La Corte riteneva invece fondate sia la censura concernente la ingiustificata esclusione delle differenze per provvigioni maturate dal (omissis), nella misura riconosciuta dovuta dalle convenute, sia quella concernente il mancato riconoscimento degli interessi legali sulle somme come liquidate dal Tribunale.

Per la cassazione della sentenza non definitiva hanno proposto ricorso, con distinti atti di analogo tenore, Aurora Assicurazioni s.p.a. e Winterthur Vita s.p.a., sulla base di due motivi, cui hanno resistito, con controricorso, La Sicura s.r.l. e C.B..

Per la cassazione della sentenza definitiva hanno proposto ricorso per cassazione La Sicura e il C., sulla base di un unico motivo, cui hanno resistito Aurora Assicurazioni e Winterthur Vita.

Tutte le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente essere disposta la riunione di tutti i ricorsi.

Invero, "i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente, definiscono un unico giudizio (come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva) vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello – previsto dall’art. 335 c.p.c., – della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza" (Cass. n. 9377 del 2001;

Cass. n. 6854 del 1996).

Con il primo motivo dei ricorsi proposti avverso la sentenza non definitiva, le ricorrenti si dolgono dell’errata valutazione delle risultanze processuali e dei documenti, sulla base dei quali è stata pronunciata la sentenza, nonchè dell’errata valutazione in ordine al mancato assolvimento dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., gravante sulla parte attrice.

La Corte d’appello avrebbe errato nel porre a fondamento della propria decisione l’appendice n. (omissis), che non contemplava tra i rami esclusi da quelli preferiti – per i quali era convenuta la sopraprovvigione – il ramo R.C.A., senza tenere conto dell’altra documentazione prodotta da esse ricorrenti, dalla quale emergeva chiaramente come il ramo R.C.A. non potesse in alcun modo ritenersi incluso tra quelli preferiti. Peraltro, che il ramo R.C.A. non potesse rientrare tra i preferiti doveva desumersi, ad avviso delle ricorrenti, sia dalla elevata sinistrosità del ramo, sia dalla obbligatorietà della assicurazione, sia ancora dal rilievo che i contratti del ramo avevano durata annuale. Ed ancora, la prova che il ramo R.C.A. non fosse da comprendere nei rami preferiti derivava dalla appendice n. (omissis), nella quale si affermava che, avendo l’agenzia fatto registrare per il (omissis) un decremento incassi RP, non spettava la sopraprovvigione. Infatti, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’appello, posto che il C. sottoscrisse tale documento, dichiarandosi così d’accordo che per l’esercizio (omissis) vi era stato un decremento di produzione nei rami preferiti, tra questi non poteva esservi il ramo R.C.A. per il quale le attrici pretendevano, invece, la corresponsione delle sovraprovvigioni.

Con il secondo motivo, le società ricorrenti si dolgono della errata valutazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento al riconoscimento del diritto di ritenzione, in violazione degli artt. 1721 e 2761 c.c., in capo all’agenzia in virtù di un potere di presunta rappresentanza conferito dalle Compagnie.

La Corte d’appello avrebbe errato nel giustificare a posteriori il comportamento dell’agente il quale aveva trattenuto somme di proprietà delle compagnie che aveva invece l’obbligo di rimettere, essendo un mero depositario temporaneo, sul presupposto dell’esistenza di un diritto di compensazione con suoi presunti crediti, che certo non potevano ritenersi certi ed esigibili, nè tanto meno liquidi, e in ogni caso in presenza di contestazioni delle Compagnie circa l’esistenza del diritto alle sovraprovvigioni.

La sentenza sarebbe poi viziata in quanto, contrariamente a quanto dalla stessa affermato, la Sicura s.r.l. era agente senza rappresentanza, giacchè l’originaria procura conferita al C. non era più in vigore nel momento in cui gli incarichi agenziali furono trasferiti, a far data dal (omissis), alla Sicura s.r.l., essendo indubbio che a quest’ultima erano stati conferiti incarichi agenziali senza rappresentanza e quindi senza che all’agenzia potesse applicarsi l’art. 1903 c.c.. In quei mandati si legge, del resto, che il contenuto del mandato consisteva nel "raccogliere senza impegnare la società proposte di assicurazione in conformità delle tariffe e delle condizioni adottate dalla società attenendovi alle istruzioni e norme impartite dalla Direzione", sicchè apparirebbe illogico il richiamo della sentenza impugnata al fatto che l’agente poteva incassare importi, al fine di dimostrare che fosse un agente con rappresentanza, essendo ulteriormente precisato nella lettera di incarico che l’agente avrebbe dovuto tenere quelle somme costantemente a disposizione della società che avrebbe potuto ritirarle in ogni tempo.

Per altro verso, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’importo di L. 240.000.000, fosse marginale e che quindi non fosse configurabile la giusta causa di recesso, stante la non gravità del comportamento dell’agente. La Corte ha omesso di valutare che la condotta era stata reiterata e si era verificata anche in presenza di una diffida a non ritenere somme di spettanza della Compagnia.

Il primo motivo del ricorso proposto dalle Compagnie di Assicurazione è in parte infondato e in parte inammissibile.

Come si è visto, la Corte d’appello ha fondato la propria decisione, di conferma della sentenza del Tribunale di Milano nel senso della spettanza alla Sicura s.r.l. e al C. delle sovraprovvigioni per gli anni (omissis) anche con riferimento al ramo RCA, sul tenore letterale dell’appendice n. 19, nella quale si affermava che "per gli esercizi (omissis) all’agenzia viene assegnato un budget di incremento incassi lordi R.F. (escluso I.F.A. – Kasko – Grandine – Trasporti – Credito – Guasti) di L. 100.000.000 da realizzarsi in ciascuno degli esercizi rispetto al 31/12 dell’anno precedente". Da tale documento, la Corte d’appello ha desunto che, stante la mancata inclusione del ramo R.C.A. tra i rischi esclusi dalla previsione del riconoscimento delle sovraprovvigioni (R.P.), le Compagnie erano tenute alla corresponsione del rappel anche con riferimento a detto ramo.

A fronte di tale argomentazione, le ricorrenti deducono che la Corte avrebbe omesso di considerare altri documenti versati in atti dai quali si sarebbe dovuto trarre il convincimento che il ramo R.C.A. non poteva essere incluso tra i rami preferiti (R.P.). Le ricorrenti, peraltro, pur menzionando, in particolare, due documenti prodotti nel giudizio di merito dagli attori (lettera (omissis) e appendice n. (omissis)), ha tuttavia omesso di riprodurne il contenuto, sostenendo invece con ulteriori argomentazioni che il ramo RCA non poteva in alcun modo essere ritenuto compreso tra i rami preferiti.

In proposito, ritiene il Collegio che degli indicati documenti non può in questa sede tenersi conto. E’ noto, infatti, che "nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse". (ex plurimis, Cass., n. 384 del 2003; Cass., n. 13430 del 2004; Cass., n. 10598 del 2005; Cass., n. 14793 del 2006). Il motivo di ricorso in esame, dunque, per la parte in cui si riferisce alla mancata considerazione degli indicati documenti è inammissibile.

E’ invece infondato per la restante parte, giacchè, le ricorrenti, da un lato, non deducono la violazione dei canoni ermeneutici nella valutazione della documentazione esaminata dalla Corte d’appello;

dall’altro, evidenziano profili che si contrappongono, sul piano della individuazione della portata effettiva dell’appendice n. (omissis), a quanto espresso dalla Corte d’appello, sulla premessa che la Corte avrebbe fondato il proprio convincimento in via esclusiva su tale documento senza tuttavia considerare che la Corte ha anche rilevato come l’interesse delle Compagnie all’incremento del ramo R.C.A. fosse desumibile dalla documentazione prodotta, pur concludendo che ogni questione in proposito doveva ritenersi superata alla luce della chiara lettera della convenzione intercorsa tra le parti.

In tale contesto, le circostanze della cui mancata valutazione le ricorrenti si dolgono al fine di sostenere che la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque desumere che il ramo RCA non poteva essere considerato incluso tra i rami preferiti, appaiono inidonee ad inficiare la tenuta logica e argomentativa della sentenza impugnata.

Invero, posto che la Corte d’appello ha sottolineato l’esistenza di un interesse delle Compagnie allo sviluppo del ramo RCA e quindi all’inclusione dello stesso tra i rami preferiti, le censure delle ricorrenti si risolvono nella richiesta di un diverso apprezzamento di risultanze istruttorie già adeguatamente valutate dalla Corte d’appello sulla base di una motivazione congrua ed immune da vizi logico – giuridici.

A diverse conclusioni non può condurre il rilievo secondo cui la Corte d’appello non avrebbe valutato in tutta la sua significatività il documento in data (omissis), sottoscritto da entrambe le parti, nel quale, sotto la voce "appendice n. (omissis)", era stabilito che "per l’esercizio (omissis), avendo l’agenzia fatto registrare un decremento incassi R.P., non spetta quanto previsto nell’appendice n. (omissis) sotto la voce rappel". Secondo le ricorrenti, proprio questo documento denoterebbe che il ramo RCA non era incluso tra i rami preferiti, giacchè se così non fosse stato certamente il C., che rivendicava le sovraprovvigioni per l’anno (omissis) per il ramo RCA (con ciò supponendo il verificarsi delle condizioni per il riconoscimento della propria pretesa), non lo avrebbe sottoscritto.

Rileva il Collegio che, con riferimento al citato documento, le ricorrenti prospettano una questione di interpretazione dei documenti in atti, senza peraltro dedurre la violazione dei canoni ermeneutici, e quindi dolendosi unicamente della motivazione in base alla quale la Corte d’appello è pervenuta al proprio convincimento.

Orbene, è noto che "il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, denunciatile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti" (v., tra le pronunce più recenti, Cass. n. 15489 del 2007; Cass. n. 18119 del 2008).

Così delineati i limiti del sindacato di questa Corte sulla motivazione della sentenza impugnata e sulla interpretazione dei documenti, e in genere delle risultanze istruttorie, offerta dal giudice del merito, si deve rilevare che le argomentazioni delle ricorrenti non evidenziano alcun vizio nella motivazione della sentenza impugnata. L’argomentazione, infatti, avrebbe potuto essere significativa ove le ricorrenti avessero dedotto che per il (omissis) il ramo RCA, contrariamente agli altri RP, non aveva subito un decremento ed anzi aveva registrato l’incremento che, in base all’appendice n. (omissis), avrebbe comportato il diritto dell’agente alla sopraprovvigione. La sottoscrizione dell’accordo in tale caso avrebbe potuto indurre a ritenere che effettivamente, nel dichiararsi d’accordo sul mancato verificarsi della condizione per il pagamento delle sovraprovvigioni per l’anno (omissis), l’agente avesse supposto che il ramo RCA non poteva ritenersi incluso tra i RP. Nella diversa ipotesi in cui il ramo RCA avesse subito perdite, o comunque non avesse avuto l’incremento previsto, il diritto non sarebbe certamente maturato, sicchè dalla circostanza della sottoscrizione dell’accordo del settembre 1995 nessuna congettura in termini idonei a vincolare l’interpretazione può essere desunta. E sulla questione dell’andamento del ramo RCA nell’esercizio (omissis) le ricorrenti nulla hanno specificamente riferito nell’atto introduttivo del presente giudizio che consenta di orientare l’interpretazione nel senso dalle stesse preteso.

Il documento è infatti stato esaminato dalla Corte d’appello, la quale, proprio rilevando che dallo stesso si desumeva il mancato raggiungimento degli obiettivi cui era subordinato il riconoscimento della sopraprovvigione per l’anno (omissis), ha riformato la sentenza di primo grado, che dette sovraprovvigioni aveva ritenuto spettassero all’agente anche per l’anno (omissis), oltre che per gli anni (omissis).

Il primo motivo dei ricorsi delle Compagnie di assicurazione deve quindi essere rigettato.

Il secondo motivo dei medesimi ricorsi è del pari infondato.

La sentenza impugnata, come si è visto, ha ritenuto insussistente la giusta causa di recesso, e ciò sulla base del duplice rilievo che, in presenza di un mandato con rappresentanza, l’agente potesse esercitare, con riferimento alle sovraprovvigioni dovutegli, il diritto di ritenzione, e che comunque la condotta contestata non era di gravità tale da giustificare, nel contesto complessivo del rapporto protrattosi per molti anni tra le parti, la risoluzione del rapporto stesso.

Obiettano le ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe errato sia nel ritenere sussistente, in capo all’agente, un mandato con rappresentanza, sia nel ritenere la contestata condotta non tanto grave da giustificare il recesso per giusta causa.

Le censure non colgono nel segno.

Quanto alla questione della individuazione nel rapporto intercorso tra l’agente, sia in forma individuale che in forma societaria, e le preponenti di un mandato con rappresentanza, giova rilevare che la Corte d’appello ha espressamente valutato la censura rivolta dalla compagnie di assicurazione alla sentenza del Tribunale nella parte relativa al mandato con rappresentanza, e le ha disattese osservando che alla luce della documentazione versata in atti l’agente, nell’esecuzione del mandato conferito, aveva anche il compito di "incassare in contanti, in nome e per conto della società i premi dovuti dagli assicurati", richiamando, in proposito, il documento (omissis) di parte attrice. Da tale premessa, la Corte d’appello ha desunto l’esistenza del "diritto del mandatario di trattenere sugli incassi le somme dovute per gli anni (omissis) a titolo di rappel, come giustamente affermato dal Tribunale".

A tale argomentata motivazione, le ricorrenti oppongono che la procura rilasciata al C., quale agente individuale, doveva necessariamente intendersi revocata al momento della costituzione del rapporto di agenzia con la Sicura s.r.l., e che altro documento espressamente escludeva che l’agente avesse il potere di impegnare la società preponente. In proposito, si deve rilevare, in primo luogo, che le stesse ricorrenti, con il riferimento alla procura rilasciata al C., ammettono che quella procura suffragava la conclusione raggiunta dalla Corte d’appello circa la esistenza di un mandato con rappresentanza; inoltre, la circostanza che la procura stessa dovesse intendersi revocata a fronte della instaurazione del rapporto di agenzia con la Sicura s.r.l., della quale il medesimo C. era presidente e legale rappresentante, rimane, non essendo neanche stata dedotta l’esistenza di una revoca formale del mandato e comunque in mancanza di altre prove sul punto, una mera allegazione delle ricorrenti che si contrappone alla diversa valutazione della Corte d’appello, la quale, come detto, alla luce della documentazione in atti (e in particolare proprio del documento n. (omissis) della produzione di parte attrice, indicato dalle ricorrenti come documento escludente la rappresentanza in capo all’agente), ha ritenuto invece configurabile, conformemente del resto alla valutazione già espressa dal tribunale, un mandato con rappresentanza.

Non sussiste, quindi, il denunciato vizio di violazione di legge, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente, in capo all’agente, il diritto di ritenzione a fronte del proprio credito per sovraprovvigioni, posto che, come da questa Corte affermato, "qualora, in un contratto di Agenzia il preponente conferisca allo agente oltre all’incarico di promuovere – in una zona determinata stabilmente e dietro retribuzione – la conclusione di contratti, anche quello di concluderli per conto ed, eventualmente, in nome di esso preponente, sul rapporto di Agenzia si inserisce un rapporto di mandato, che conferisce all’agente la facoltà di soddisfarsi sui crediti sorti dall’esecuzione del mandato con precedenza sul mandante e sui creditori di questo (art. 1721 c.c.), in aggiunta al privilegio generale sui mobili (art. 2751 c.c., n. 6 e, rispettivamente, art. 2161 c.c., comma 2) ed al diritto di ritenzione (art. 2761 c.c., u.c., e art. 1756 c.c., u.c.)" (Cass. n. 2035 del 1966).

Nè sussiste il denunciato vizio di motivazione, essendo evidente che le censure delle ricorrenti si risolvono nella richiesta di un apprezzamento del documento indicato in ricorso difforme da quello cui è pervenuta la Corte d’appello senza incorrere in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale e sulla base di una motivazione logicamente e coerentemente argomentata. Ed è noto che "in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito.

Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche" (Cass. n. 732 del 203; Cass. 4261 del 2004).

La esclusione del vizio denunciato con riferimento alla prima delle ragioni poste dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione (sussistenza del diritto di ritenzione e conseguente insussistenza di una giusta causa di recesso) comporta il venir meno dell’interesse delle ricorrenti all’esame del secondo profilo del motivo in esame, con il quale si censura l’apprezzamento della Corte d’appello svolto in ordine alla insussistenza di una giusta causa di recesso. Opera, in proposito, il noto principio secondo cui "nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato" (Cass. S.U., n. 16602 del 2005).

I ricorsi proposti dalle Compagnie avverso la sentenza non definitiva vanno quindi rigettati.

Si può quindi procedere all’esame del ricorso proposto avverso la sentenza definitiva.

Con l’unico motivo di ricorso, la Sicura s.r.l. e C.B. deducono violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 277 c.p.c., comma 2, art. 278 c.p.c. e art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

I ricorrenti premettono che può parlarsi di sentenza di condanna generica nel caso in cui la decisione sull’ali di una pretesa sia separata da quella sul quantum della medesima pretesa, ma non nel caso in cui, come quello di specie, l’attore proponga una pluralità di domande, il cui esame sia frazionato. In particolare, essi ricorrenti avevano chiesto: a) l’accertamento del credito per le sovraprovvigioni relative agli anni (omissis); b) l’accertamento della illegittimità del recesso per giusta causa comunicato dalle preponenti; c) il risarcimento del danno subito a causa dell’illegittimo recesso, quantificato secondo voci gradate, nonchè del danno non patrimoniale. All’esito del giudizio di primo grado, osservano i ricorrenti, il Tribunale emise una sentenza di condanna generica relativamente alla prima domanda, statuendo che effettivamente sussisteva il credito per sovraprovvigioni, condannando le convenute, per il saldo, al pagamento della somma risultante nel prosieguo del giudizio all’esito dell’ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalle parti; accolse la seconda domanda, dichiarando, che essendo legittima la trattenuta operata da essi ricorrenti, il recesso per giusta causa doveva ritenersi illegittimo, mentre nulla statuì quanto alla domanda risarcitoria relativa alle conseguenze pregiudizievoli dell’intimato recesso. Che si trattasse di una pluralità di domande emergeva chiaramente dalla stessa sentenza del Tribunale, nella quale si parla appunto di prima e di seconda domanda. E mentre con riferimento alla prima domanda era possibile parlare di condanna generica, doveva invece escludersi ogni collegamento tra la prima domanda e la terza, concernente un credito risarei torio per illegittimità del recesso. L’omesso esame della domanda risarcitoria configurerebbe quindi un vizio della sentenza di appello.

In sostanza, osservano i ricorrenti, il Tribunale ha fatto semplicemente uso del potere di decidere, in base all’art. 277 c.p.c., comma 2, solo alcune delle domande cumulativamente proposte rimettendo al prosieguo del giudizio la decisione di quelle per cui era necessaria un’ulteriore istruzione, sicchè sarebbe stata impropria un’impugnazione della sentenza di primo grado sul punto della mancata statuizione in ordine alla domanda risarcitoria. Il dato certo è, secondo i ricorrenti, che doveva escludersi che il Tribunale avesse emesso una qualsivoglia pronuncia in ordine alla terza domanda e che vi fosse un loro onere di impugnazione della sentenza non definitiva per tale aspetto. La domanda risarcitoria doveva quindi ritenersi rimessa alla decisione in sede di prosecuzione del giudizio e il suo omesso esame sia parte del Tribunale che della Corte d’appello integra un vizio della sentenza di appello.

In ogni caso, osservano i ricorrenti, le conclusioni non muterebbero anche se si volesse individuare nella sentenza non definitiva una sentenza di condanna generica, giacchè nella affermazione circa la illiceità del recesso si sarebbe dovuta ravvisare anche una pronuncia sull’an della pretesa risarcitoria. Tutte le domande di danni, infatti, trovavano il proprio fondamento nell’accertamento della illegittimità del recesso per giusta causa e, pur se nel dispositivo, il Tribunale di Milano, con la sentenza non definitiva, non ebbe a pronunciare la condanna generica ai danni, da accertarsi in prosieguo di giudizio, la pronuncia di mero accertamento di illegittimità del recesso poteva essere regolata come una sentenza di condanna generica. Il giudizio sul quantum, invero, non è volto solo alla valutazione monetaria del pregiudizio subito, ma anche all’accertamento dell’esistenza in sè delle singole voci di danno, e dunque dell’esistenza di singoli, specifici pregiudizi subiti in virtù della condotta illecita accertata con la sentenza non definitiva. In altri termini, posto che la condanna generica presuppone solo l’esistenza di un fatto potenzialmente dannoso, mentre la prova in concreto del danno e della sua reale entità, nonchè del rapporto di causalità, è riservata alla fase successiva di determinazione e liquidazione, non vi sarebbe stato ostacolo, una volta accertata la illegittimità del recesso, a procedere alla quantificazione dei danni nel prosieguo del giudizio pur in mancanza di una statuizione espressa di condanna generica, non essendo contenute nella sentenza non definitiva affermazioni che potessero integrare una preclusione al riesame, in sede di quantificazione, delle singole voci di danno richieste, con particolare riferimento alla fonte applicabile per la determinazione del danno.

In ogni caso, proseguono i ricorrenti sarebbe del tutto inspiegabile la mancata pronuncia sul danno non patrimoniale, giacchè su tale voce non vi era alcuna possibilità di equivoco.

Da ultimo, i ricorrenti rilevano che dalla espressione contenuta nella sentenza non definitiva di rimessione della causa in istruttoria per la quantificazione delle somme richieste dalle parti, non poteva desumersi alcunchè di preclusivo del successivo accertamento e della successiva determinazione del danno, in quanto tale espressione si riferiva esclusivamente all’unico capo di condanna generica contenuto in detta sentenza e concernente le somme dovute a titolo di provvigioni.

I ricorrenti formulano, quindi, il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se, in presenza di distinte domande attoree, il fatto che la sentenza non definitiva, che abbia accertato la fondatezza dell’an di alcune delle domande formulate (nella specie, accertamento del diritto dell’agente al pagamento di sovraprovvigioni e conseguente illegittimità del recesso per giusta causa della preponente dal rapporto agenziale per insussistenza dell’inadempimento dell’agente) e abbia rimesso la causa in istruttoria per la quantificazione delle somme richieste, non possa consentire di ritenere, in applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 277, comma 2, art. 278 c.p.c. e art. 2909 c.c., che detta sentenza abbia affrontato interamente l’an delle domande attoree e che essa debba essere conseguentemente appellata dagli attori in relazione all’omessa decisione sull’an delle restanti domande (nella fattispecie, il risarcimento dei danni subiti dall’agente a causa dell’illegittimo recesso della preponente, quantificati secondo voci gradate), essendo tali questioni rimesse alla decisione del giudice del definitivo, posto che il giudizio sul quantum non è volto solo alla valutazione monetaria del pregiudizio subito, ma anche all’accertamento della sussistenza in sè delle singole voci di danno e degli specifici pregiudizi derivanti dalla condotta illecita accertata nella sentenza non definitiva ed è, quindi, investito a sua volta di accertamenti attinenti all’an della pretesa e non strettamente quantificatori".

In considerazione delle censure proposte, è necessario ricordare quali fossero le domande proposta dalla Sicura s.r.l. e dal C. nei confronti delle Compagnie di assicurazione.

Dalla sentenza impugnata emerge che, a seguito delle deduzioni svolte dalle convenute, gli attori modificarono le conclusioni nel modo seguente: "1) Accertare e dichiarare il diritto di Sicura s.r.l, al pagamento, relativamente agli esercizi (omissis), delle sovraprovvigioni previste nelle appendici (omissis) al mandato (omissis) e nell’accordo (omissis) nella misura di complessive L. 285.111.021, e per l’effetto condannare la Winterthur Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di L. 44.233.059, o il diverso importo che risulterà in corso di causa, quale residuo a saldo dovuto a Sicura per i titoli sopra detti, oltre agli interessi legali dal dovuto al saldo; 2) conseguentemente, in via principale, accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o l’illegittimità del recesso per giusta causa dal rapporto agenziale comunicato da Winterthur Assicurazioni s.p.a. e Winterthur Vita s.p.a., nonchè l’infondatezza dei motivi di recesso in relazione a quanto previsto e disciplinato dall’Accordo aziendale (omissis) (scheda n. (omissis)) e per l’effetto condannare Winterthur Assicurazioni s.p.a. e Winterthur Vita s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore: 2.1.) in principalità, al risarcimento del danno subito da Sicura s.r.l. conseguente alla mancata liberalizzazione del portafoglio, da quantificarsi in Lit. 3.250.000.000 ovvero nella maggiore o minor somma che il giudice riterrà di giustizia, anche ai sensi dell’art. 1226 c.c.; subordinatamente, al versamento a Sicura s.r.l. delle indennità dovute per la risoluzione del rapporto ai sensi degli art. 12 – bis e da art. 26 a art. 33 dell’ANA Imprese – Agenti 1994, per un importo complessivo pari a L. 357.867.043, nonchè dell’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 13 ANA 1994 per un importo di L. 51.187.769, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; 2.2.) e comunque al versamento a Sicura s.r.l. dell’ulteriore somma nella misura prevista dalla clausola dell’accordo (omissis), scheda n. (omissis), per un importo di L. 141.570.000, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; 3) in via subordinata, ove non venisse ritenuto vigente l’accordo integrativo (omissis) all’atto dello scioglimento del rapporto agenziale de quo, accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o l’illegittimità del recesso per giusta causa dal rapporto agenziale comunicato da Winterthur Assicurazioni s.p.a. e Winterthur Vita s.p.a., nonchè l’infondatezza dei motivi di recesso in relazione a quanto previsto e disciplinato dall’Accordo aziendale (omissis) (scheda n. (omissis)) e per l’effetto condannare Winterthur Assicurazioni s.p.a. e Winterthur Vita s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore: – al versamento a Sicura s.r.l. delle indennità dovute per la risoluzione del rapporto ai sensi degli art. 12 – bis e da art. 26 a art. 33 dell’ANA Imprese – Agenti 1994, per un importo complessivo pari a L. 357.867.043, nonchè dell’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 13 ANA 1994 per un importo di L. 51.187.769, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; – al pagamento delle differenze provvigionali tra quanto effettivamente versato da Winterthur Assicurazioni e Winterthur Vita s.p.a. a Sicura s.r.l. dal (omissis) fino alla cessazione del rapporto agenziale e quanto effettivamente maturato e dovuto a tale titolo in base alle provvigioni stabilite dai mandati agenziali (omissis), nella misura che verrà quantificata in corso di causa, anche a mezzo di espletando CTU; in ogni caso, sia nell’ipotesi di accoglimento delle domande di cui al punto 2, sia nell’ipotesi di accoglimento delle domande di cui al punto 3: – al risarcimento del danno non patrimoniale subito da Sicura s.r.l. e da C.B., da liquidarsi in L. 200.000.000, o nella diversa misura che il tribunale riterrà di giustizia, anche in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.; – al pagamento degli ulteriori crediti a titolo di provvigioni (seconde semestralità) maturate successivamente alla conclusione del contratto per polizze già perfezionate al momento dello scioglimento del contratto stesso, per un importo da calcolarsi a mezzo di espletando CTU, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; 4) respingere la domanda riconvenzionale avanzata da Winterthur Assicurazioni e Winterthur Vita s.p.a. in comparsa di costituzione e risposta (omissis), in quanto infondata in fatto e in diritto. Con rifusione di spese, diritti e onorari di lite, oltre I.V.A. e C.P.A. In via istruttoria, si richiama integralmente il contenuto, da intendersi qui di seguito trascritto, della memoria istruttoria (omissis)".

Pronunciando su tali domande, il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva n. 13635 del 2000, ha dichiarato il diritto di Sicura s.r.l. ad ottenere il saldo delle sovraprovvigioni per gli anni (omissis), e ha dichiarato illegittimo il recesso dal rapporto di agenzia comunicato dalla s.p.a. Winterthur Assicurazioni e dalla s.p.a. Winterthur Vita con la raccomandata (omissis), e ha rimesso le parti in istruttoria per la quantificazione delle somme richieste dalle parti. In motivazione, il Tribunale, dopo aver accertato l’illegittimità del recesso comunicato dalle convenute, ha disposto la prosecuzione della causa per "l’esame dei mezzi istruttori chiesti dalle parti".

Tale pronuncia, come riferito in precedenza, è stata impugnata esclusivamente da Winterthur Assicurazioni e da Winterthur Vita s.p.a. e la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1298 del 2003, ha riformato il capo relativo al diritto alle sovraprovvigioni, escludendolo per quanto riguardava il (omissis), e confermando per il resto la sentenza di primo grado.

Il giudizio di quantificazione è stato introdotto da Sicura s.r.l. e C., i quali, in sede di precisazione delle conclusioni, "premesso che con sentenza parziale 13635/00 il Tribunale di Milano ha accolto le domande di parte attrice, dichiarando il diritto di Sicura s.r.l. di ottenere il saldo delle sovraprovvigioni per gli anni (omissis) e l’illegittimità del recesso per giusta causa dal rapporto agenziale posto in essere dalle convenute Winterthur Assicurazioni e Winterthur Vita s.p.a.", hanno riproposto le domande già formulate nel giudizio nel quale sono intervenute le sentenze non definitive. Gli attori hanno altresì chiesto, in via istruttoria: "- che il Tribunale voglia disporre CTU contabile sull’ammontare delle provvigioni per i titoli sopra indicati, indennità di risoluzione del rapporto, indennità di preavviso, somma aggiuntiva e differenze provvisionali; – inoltre che il Giudice voglia ordinare ai sensi dell’art. 210 c.p.c., alle società convenute l’esibizione in giudizio di tutte le polizze relative ai Rami Preferiti in carico a Sicura s.r.l. negli esercizi (omissis) e comunque ogni documentazione idonea a dimostrare l’avvenuto raggiungimento degli incassi R.P., così come previsto nelle appendici (omissis) al mandato agenziale (omissis), nonchè dall’accordo (omissis), nonchè ogni altra documentazione utile alla quantificazione degli importi sopra indicati".

Nel contraddittorio con le convenute, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 12624 del 2003, ha condannato Winterthur Assicurazioni e Winterthur Vita s.p.a. "a pagare a Sicura s.r.l. e a C.B. in proprio gli importi di Euro 8.623,23, a titolo di indennità monte premi, Euro 70.342,51, a titolo di indennità in base agli incassi, Euro 44.068,73, ed Euro 13.001,01, a titolo di indennità ex artt. 27 e 28 A.N.A., Euro 26.436,28, per indennità sostitutiva del preavviso, Euro 5.897,84, a titolo di sovraprovvigioni, Euro 2.207,37, a titolo provvigioni arretrate".

Il Tribunale, in motivazione, ha affermato che "la sentenza non definitiva in atti ha affrontato in realtà interamente l’an delle domande attoree, come emerge con chiarezza dal tenore della statuizione di rimessione in istruttoria, disposta esclusivamente e rigorosamente per la quantificazione", traendo da ciò la conseguenza che "non può residuare in questa sede – dovendosi rimettere esclusivamente al Giudice di appello il riesame sulle statuizioni sull’an poste nella sentenza non definitiva – appunto alcun ulteriore motivo litigioso sull’an, tenendo conto che nessuna prova è stata sul punto discussa e ovviamente ammessa".

Il gravame proposto avverso questa decisione da Sicura s.r.l. e C.B. è stato, per la parte che qui rileva – decisione sulle domande conseguenti all’accertamento della illegittimità del recesso delle preponenti -, rigettato dalla Corte d’appello di Milano con la sentenza n. 1862 del 2007.

La Corte precisava che "la sentenza non definitiva, contrariamente all’assunto degli appellanti, ha ritenuto di decidere interamente l’an della vertenza, rimettendo all’ulteriore corso del giudizio l’esame dei mezzi istruttori già articolati relativi al quantum delle pretese attoree". In particolare, la Corte d’appello rilevava che le doglianze degli appellanti concernenti a) la richiesta risarcitoria relativa alla mancata liberalizzazione del portafoglio dell’agenzia Sicura s.r.l. e b) la domanda di pagamento della somma di L. 141.570.000, a titolo di ulteriore somma prevista dall’accordo (omissis), trovavano "il loro fondamento in titoli diversi perchè derivanti dall’eventuale recesso per giustificato motivo, che, a dire degli appellanti, sarebbe stata la modalità corretta di scioglimento del rapporto di agenzia. Titoli quindi estranei alla decisione di merito sull’an della vertenza (sentenza ********) e che, non oggetto di impugnazione incidentale da parte degli agenti, non può essere esaminata da questo giudice".

Per la medesima ragione, la Corte riteneva di non poter esaminare le ulteriori doglianze degli appellanti relative al riconoscimento del danno all’immagine e al decoro professionale, derivato agli appellanti dalla intimata giusta causa di recesso, ritenuta illegittima dal giudice, e al mancato pagamento delle differenze provvisionali dal (omissis) sino alla cessazione del rapporto.

Le somme dovute a tale ultimo titolo, peraltro, venivano comunque riconosciute agli appellanti dalla Corte d’appello in quanto non contestate dalle società appellate.

Così chiarita la portata e i rapporti tra la sentenza non definitiva e quella definitiva, ritiene il Collegio che il ricorso proposto avverso quest’ultima sia fondato.

Dall’esame delle sentenze non definitive del Tribunale e della Corte d’appello emerge, infatti, in modo evidente che nè il Tribunale nè la Corte d’appello, accogliendo la domanda di dichiarazione di illegittimità del recesso delle preponenti per giusta causa abbiano in realtà esaminato anche le domande risarcitorie conseguenti all’accertamento della illegittimità del recesso. Non vi è nelle citate sentenze alcun elemento dal quale possa trarsi una simile conseguenza, e la motivazione addotta in proposito nella sentenza definitiva qui impugnata – l’avere cioè il Tribunale, con la sentenza non definitiva, affrontato interamente l’an delle domande attoree – appare apodittica. Essa, inoltre, contrasta con la circostanza che la stessa sentenza non definitiva, dopo aver accertato la illegittimità del recesso, ha statuito che "la causa deve proseguire con l’esame dei mezzi istruttori chiesti dalle parti". E’ vero che nel dispositivo della sentenza si dispone la rimessione della causa in istruttoria per la "quantificazione" delle somme richieste dalle parti, ma è altrettanto vero che la medesima sentenza ha ritenuto che si dovesse dare corso ai mezzi istruttori chiesti dalle parti, senza limitazione alla sola quantificazione. E che la quantificazione cui si riferisce la sentenza non definitiva presupponesse il mancato accoglimento della domanda risarcitoria, così come affermato nelle sentenze definitive che hanno sostenuto la necessità della proposizione, da parte degli originari attori, di un appello incidentale sul punto, può senz’altro escludersi sulla base del rilievo che, nella formulazione delle domande risarcitorie, gli attori hanno, in via principale, chiesto proprio la "quantificazione" del danno per la mancata liberalizzazione del portafoglio, in una determinata somma e hanno subordinatamente chiesto somme determinate per gli altri titoli, il cui accertamento presupponeva la dichiarazione di illegittimità del recesso per giusta causa.

In altri termini, in presenza di una pluralità di domande, le quali si pongono in rapporto di pregiudizialità logica (quali, nella specie, la domanda di accertamento della illegittimità del recesso e quelle, variamente articolate, di risarcimento dei danni conseguenti al recesso illegittimo), e in presenza di una sentenza non definitiva che accolga quella logicamente pregiudiziale senza nulla affermare in ordine alle domande consequenziali, limitandosi a disporre la prosecuzione del giudizio per la quantificazione delle somme richieste e per l’esame dei mezzi istruttori chiesti dalle parti, deve escludersi che possa ritenersi che la sentenza non definitiva contenga in sè una statuizione implicita di rigetto della domanda consequenziale; che, anzi, proprio in considerazione del silenzio e della ritenuta necessità di esame dei mezzi istruttori, è logico desumere la conclusione opposta, e cioè che la questione della sussistenza o meno dei danni e la loro quantificazione fosse rimessa al giudizio definitivo.

Invero, solo ove il Tribunale avesse accertato la legittimità del recesso per giusta causa, certamente le domande che erano state formulate dagli attori per il caso in cui l’illegittimità del recesso fosse stata accertata e quale conseguenza di tale accertamento ("accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o l’illegittimità del recesso per giusta causa dal rapporto agenziale (…) e per l’effetto condannare)", non avrebbero richiesto una specifica pronuncia da parte del Tribunale, discendendone il rigetto dal rigetto della domanda logicamente presupposta di illegittimità del recesso. Ma dall’accertamento della illegittimità del recesso, con contestuale disposizione nel senso della prosecuzione del giudizio per l’esame dei mezzi istruttori chiesti dalle parti, in assenza di una specifica statuizione di rigetto delle domande che sulla illegittimità del recesso si fondavano, non poteva desumersi il rigetto di quelle domande consequenziali all’accertamento della illegittimità e la necessità della proposizione di un appello incidentale.

Del resto, che le sentenze non definitive non contenessero alcuna decisione sulle ulteriori domande proposte dagli originari attori in conseguenza dell’accertamento della illegittimità del recesso, è stato riconosciuto dalle stesse società convenute, le quali, nel precisare le conclusioni nel giudizio di quantificazione, hanno chiesto espressamente il rigetto nel merito delle domande risarcitorie formulate dagli attori.

Si può quindi affermare che il Tribunale di Milano, nel pronunciare non definitivamente, ha preso in esame le sole questioni sulle quali riteneva di poter decidere a prescindere dall’espletamento dei mezzi istruttori. Ha cioè adottato una pronuncia ai sensi dell’art. 277 c.p.c., comma 2, in base al quale il giudice può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un’ulteriore istruzione. Solo in tal modo, del resto, è possibile spiegare l’esplicita indicazione, contenuta nella motivazione della sentenza non definitiva, di prosecuzione della causa con l’esame dei mezzi istruttori chiesti dalle parti. Ne consegue che la Corte d’appello, nel rigettare il gravame e nel confermare la sentenza di primo grado sul punto, è pertanto incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge, dovendosi escludere che gli agenti dovessero proporre appello incidentale per la riforma di una, in realtà inesistente, pronuncia implicita di rigetto delle domande risarcitorie.

Il ricorso deve quindi essere accolto con l’affermazione del seguente principio di diritto: "Nel caso in cui vengano proposte domande che si pongono in rapporto di pregiudizialità logica tra loro (quali, nella specie, la domanda di accertamento della illegittimità del recesso per giusta causa del preponente dal rapporto di agenzia e quelle, variamente articolate, di risarcimento dei danni conseguenti al recesso illegittimo), e nel caso in cui il Giudice ritenga di decidere con sentenza non definitiva la domanda logicamente pregiudiziale, accogliendola, senza nulla dire in ordine alla domanda logicamente consequenziale, ma dando le opportune prescrizioni per la quantificazione delle somme dovute all’attore, nel successivo giudizio per la quantificazione non è precluso l’accertamento della fondatezza o meno delle domande consequenziali (nella specie, domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’accertata illegittimità del recesso)".

La sentenza definitiva impugnata (n. 1862/07) deve conseguentemente essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale procederà all’esame delle domande risarcitorie proposte dagli attori e provvedere altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Si deve invece provvedere sulle spese relative al giudizio avente ad oggetto la sentenza non definitiva, le quali, liquidate come da dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico delle Compagnie di assicurazione ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi; rigetta i ricorsi proposti avverso la sentenza non definitiva; accoglie il ricorso proposto da La Sicura s.r.l. e C.B.; cassa la sentenza n. 1862/07 della Corte d’appello di Milano e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa sezione della Corte d’appello di Milano. Condanna Aurora Assicurazioni al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00, per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Redazione