Corte di Cassazione Civile sez. II 15/12/2009 n. 26216; Pres. Schettino O.

Redazione 15/12/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 1-12 marzo 1997, V.E. e M.M.L. convenivano, dinnanzi al Tribunale di Taranto, P.C. e B.D., B.M.G. e B.R., esponendo che con scrittura privata senza data P.C. e B.D., quest’ultimo nella qualità di procuratore di R.M.M., si erano obbligati ad alienare in favore di essi attori la casa sita in (omissis), per il prezzo di L. 55.000.000; che con successiva scrittura privata del (omissis), la P. e il B., sempre nella indicata qualità, avevano alienato o promesso di alienare ad essi attori la casetta sita nel medesimo Comune alla (omissis); che a fronte delle obbligazioni assunte, pari a L. 81.000.000, essi attori avevano corrisposto la somma di L. 83.500.000, somma, questa, comprensiva degli interessi per il rinnovo di alcuni titoli cambiari; che, nonostante le reiterate sollecitazioni a comparire dinnanzi al notaio per la stipula dei contratti definitivi, da essi attori fatte a P.C. e agli eredi di R.M.M., nelle more deceduta, B.D., in proprio e nella qualità di procuratore della sorella B.M.G., si era dichiarato disposto ad eseguire le formalità dietro pagamento del saldo, senza determinarne l’importo, e B.R., altro erede della R., aveva invece preteso il rilascio degli immobili, in quanto a suo dire detenuti senza titolo; che con lettere raccomandate in data 30 luglio 1996 indirizzate alla P. e ai germani B., essi attori avevano rappresentato la legittimità del possesso degli immobili e l’avvenuto pagamento del prezzo, diffidando altresì i destina tari, ex art. 1454 cod. civ., a comparire dinnanzi al notaio per la stipula dei definitivi.

Tanto premesso, gli attori chiedevano che l’adito Tribunale dichiarasse i contratti preliminari (ovvero quello preliminare e quello definitivo) risolti di diritto ex art. 1454 cod. civ., o in subordine per grave inadempimento della parte venditrice; in ogni caso con condanna dei convenuti alla restituzione della somma loro versata, con interessi legali dalla data di ciascun versamento al saldo.

Si costituivano B.D. e B.M.G., precisando che avevano concesso più volte il rinnovo dei titoli agli attori e che, in data 13 marzo 1995, avevano determinato l’importo ancora dovuto a saldo, con la previsione, in caso di inadempimento, della risoluzione del contratto e della perdita di tutte le somme versate; precisavano altresì che gli acquirenti non avevano onorato due effetti cambiari, dell’importo di L. 5.000.000 ciascuno, con scadenza (omissis); contestavano poi che rispondesse al vero la circostanza dell’avvenuta convocazione dinnanzi al notaio. Chiedevano quindi il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale, che, accertato e apprezzato l’inadempimento degli attori, fossero risolti i contratti preliminari intercorsi tra le parti, con condanna degli attori al risarcimento dei danni nella misura indicata nella scrittura del (omissis).

Si costituiva altresì P.C., chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza depositata il 26 settembre 2000, il Tribunale di Taranto dichiarava l’inefficacia, nei confronti degli eredi di R.M.M., del compromesso relativo alla casa di (omissis); accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, dichiarava la risoluzione di entrambi i preliminari (il secondo anche nei confronti degli eredi di R.M.M.); poneva a carico degli attori l’obbligo di restituire il possesso degli immobili e condannava i convenuti alla restituzione della somma di L. 83.500.000, oltre interessi legali dalla domanda e al pagamento delle spese processuali.

Proponevano distinti, autonomi atti di appello P.C., chiedendo il rigetto delle domande, nonchè B.D. e B.M.G., chiedendo che venisse accertato l’inadempimento dei promittenti acquirenti, con condanna degli stessi, dichiarati risolti i preliminari, al risarcimento dei danni nella misura concordata.

Il V. e la M. resistevano chiedendo, nei confronti sia della P. che di D. e B.M.G., la condanna al pagamento degli interessi legali sulle somme versate dalla data di avvenuto pagamento dei singoli ratei e delle spese del primo grado di giudizio in misura conforme alle tariffe professionali; in via di appello incidentale, nei confronti dei soli B.D. e M.G., dichiararsi l’inefficacia della clausola penale stipulata nella scrittura del (omissis), ovvero che la stessa venisse drasticamente ridotta.

Rimaneva contumace B.R..

Con sentenza depositata il 24 marzo 2004, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, accoglieva gli appelli principali proposti da P.C., B.D. e B.M.G., dichiarava risolti i preliminari intercorsi tra le parti per inadempimento colpevole e rilevante dei promittenti acquirenti; disponeva, a carico dei venditori, la restituzione delle somme loro versate e riduceva la penale pattuita dalle parti nella scrittura del (omissis).

La Corte d’appello riteneva innanzitutto errata la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato l’inefficacia del primo preliminare nei confronti della dante causa dei B., per difetto di rappresentanza in capo a B.D., rilevando, da un lato, che sul punto specifico vi era un vizio di ultrapetizione, non avendo nessuna delle parti eccepito il difetto di rappresentanza e non essendo lo stesso rilevabile d’ufficio; dall’altro, che il Tribunale non aveva considerato la portata della procura successivamente rilasciata dalla R., e il fatto che la stessa aveva avuto efficacia di ratifica dell’operato del B., il quale aveva partecipato, nella qualità, anche all’atto del (omissis), che faceva riferimento ai compromessi intercorsi, e quindi anche al primo.

Quanto alla valutazione degli inadempimenti, che entrambe le parti si addebitavano, la Corte attribuiva rilievo decisivo alla scrittura del (omissis) e alle obbligazioni ivi assunte dai promittenti acquirenti. In tale atto, del quale furono parti il B., nella qualità di procuratore della R., e il V., si determinò il saldo residuo dovuto dagli acquirenti in L. 30.500.000; si definirono le modalità di pagamento e si convenne che, in caso di inadempimento, i promittenti venditori avrebbero trattenuto quanto versato. Osservava, quindi la Corte, che risultava provato l’inadempimento degli acquirenti, i quali non avevano pagato le due cambiali dell’importo di L. 5.000.000 cadauna alla scadenza del (omissis); e tale inadempienza si era protratta per tutto il tempo della controversia, non avendo gli acquirenti provveduto in corso di giudizio ad un adempimento, ancorchè tardivo. Nel contesto contrattuale, l’inadempimento degli acquirenti assumeva la valenza di gravità idonea a giustificare la risoluzione dei preliminari; per altro verso, essendo rimasta inadempiuta l’obbligazione degli acquirenti di pagare integralmente il prezzo prima della stipula dei contratti definitivi, non poteva ritenersi efficace la diffida ex art. 1454 cod. civ., comunicata dagli acquirenti stessi.

All’accertamento dell’inadempimento degli acquirenti conseguiva la risoluzione dei preliminari con pronuncia costitutiva, con correlativo obbligo delle restituzioni e dei danni con efficacia dalla data della domanda. Nel caso di specie, quindi, posto che gli originari attori avevano chiesto, in via subordinata, la restituzione di quanto dagli stessi versato per prezzo e interessi legali dalla data dei singoli versamenti, mentre gli eredi costituiti di R.M.M. e P.C. avevano reclamato la restituzione degli immobili e l’attribuzione della penale, nella misura stabilita nella scrittura del (omissis), gli acquirenti dovevano ritenersi tenuti a restituire gli immobili e a risarcire i danni, e i promittenti venditori tenuti alla restituzione di quanto percepito, detratti da quanto percepito a titolo di pagamento del prezzo l’importo di L. 10.000.000, non corrisposto dagli acquirenti, nonchè i danni, che peraltro la Corte riteneva di dover liquidare nella misura ridotta di L. 20.000.000 rispetto a quella prevista nella citata scrittura, in considerazione del fatto che gli acquirenti avevano adempiuto la gran parte dell’obbligazione su di loro gravante. In conclusione, i venditori dovevano restituire agli acquirenti la somma di L. 53.500.00, pari a Euro 27.630,40, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo.

La Corte Territoriale riteneva infine sussistenti giusti motivi per compensare per un terzo le spese dei due gradi di giudizio, ponendole per la restante parte, in favore di entrambe la parti appellanti, a carico del V. e della M..

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono V.E. e M.M.L. sulla base di otto motivi, illustrati da memoria; B.D. e B.M.G. hanno depositato procura per la partecipazione alla discussione in pubblica udienza; P.C. e B.R. non hanno svolto attività difensiva. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e omessa applicazione degli artt. 99, 112, 189 e 345 cod. proc. civ., nonchè vizio di omessa motivazione su un punto decisivo.

I ricorrenti sostengono che, nel giudizio di primo grado, B.D. e B.M.G., formularono le seguenti conclusioni: "Piaccia all’Ill.mo Tribunale di Taranto, contrariis reiectis, in tesi, nella denegata ipotesi in cui venissero accolte le domande attoree, dichiarare il convenuto B.R. quale unico responsabile dell’eventuale inadempimento e per l’effetto condannare lo stesso a tenere indenne i convenuti B.D. e B.M.G. dalle domande degli attori. Con vittoria di spese, onorari e funzioni del giudizio. In ipotesi, condannarlo comunque alla refusione delle spese a favore dei comparenti". Rilevano quindi che la domanda di risoluzione in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nella scrittura del (omissis), proposta in via riconvenzionale da B.D. e B.M.G., fu abbandonata dai convenuti, sicchè la domanda di risoluzione per inadempimento di essi ricorrenti, riproposta in sede di gravame, doveva ritenersi nuova e quindi inammissibile.

Il motivo è infondato.

Dalla lettura degli atti, consentita in questa sede in considerazione della natura delle censure proposte, emerge invero che i resistenti, all’atto della costituzione in giudizio, formularono le seguenti conclusioni: "Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di Taranto, contrariis rejectis, respingere le domande attrice perchè infondate e, in via riconvenzionale, accertato l’inadempimento di V.E. e M.M.L., dichiarare risolti i contratti di vendita intercorsi tra le parti e, per l’effetto, condannare gli stessi al risarcimento del danno nella misura che le parti stesse hanno concordato, cioè a dire, autorizzando i ************ e B.M.G. ad incamerare le somme già pagate, ingiungendo nel contempo ai Sigg.ri V.E. e M.M.L. la restituzione degli immobili di cui godono illegittimamente il possesso, con vittoria di spese funzioni ed onorari del giudizio".

Tali conclusioni non vennero modificate dai convenuti nella memoria ex artt. 183 e 184 cod. proc. civ.. In tale atto, invero, i convenuti, attori in riconvenzionale, ebbero a distinguere le proprie richieste nei confronti degli attori da quelle formulate nei confronti di B.R.. Quanto ai primi, invero, essi confermarono le conclusioni di cui alla comparsa di risposta; quanto al B.R., essi formularono le seguenti conclusioni: "Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di Taranto, contrariis rejectis, in tesi, nella denegata ipotesi in cui venissero accolte le domande attoree, dichiarare il convenuto B.R. quale unico responsabile dell’eventuale inadempimento e per l’effetto condannare lo stesso a tenere indenni i convenuti, B.D. e B.M.G., dalle domande degli attori. Con vittoria di spese, funzioni ed onorari del giudizio".

Dalla sentenza impugnata emerge che i convenuti formularono solo le conclusioni da ultimo riportate. Gli stessi ricorrenti, peraltro, danno atto che nell’udienza di precisazione delle conclusioni, i convenuti B.D. e B.M.G. ebbero a riportarsi alle conclusioni precisate nella memoria ex artt. 183 e 184 cod. proc. civ., nella quale, come visto, venivano confermate le conclusioni originariamente formulate, in via riconvenzionale, nei confronti degli attori.

Il Tribunale ha poi accolto la domanda degli attori.

Nel proporre appello, gli originari convenuti ebbero a riproporre sostanzialmente le medesime conclusioni già formulate nell’atto di citazione: "Piaccia all’Ecc.ma Corte d’appello adita, respinta ogni contraria istanza, ritenere fondati i motivi esposti con il presente gravame e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accertato l’inadempimento dei Sig.ri V.E. e M.M.L., dichiarare risolti i contratti di vendita intercorsi tra le parti e per l’effetto condannare gli stessi al risarcimento del danno nella misura che le parti stesse hanno concordato, cioè a dire, autorizzando i *********** e B.M.G., ad incamerare le somme già pagate, ingiungendo nel contempo ai Sig.ri V.E. e M.M.L., di restituire gli immobili di cui godono illegittimamente il possesso (…)".

In tale contesto, risulta evidente come la pretesa dei ricorrenti, i quali sostengono che la Corte d’appello non avrebbe potuto esaminare la domanda di risoluzione proposta dagli appellanti principali, perchè implicitamente abbandonata, non possa essere condivisa. E’ noto, infatti, che "affinchè una domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio possa ritenersi abbandonata non è sufficiente che essa non risulti riproposta al momento della precisazione delle conclusioni, ma è necessario che dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte possa desumersi l’inequivoca volontà di rinunciarvi" (Cass., n. 14104 del 2008; Cass., n. 4794 del 2006). Orbene, come rilevato, dagli atti di cui si è riportato il contenuto emerge che nessuna violazione delle norme indicate dai ricorrenti si è verificata, e ciò sia perchè al momento della precisazione delle conclusioni, i convenuti ebbero a richiamare anche le conclusioni formulate nella memoria, sia perchè il comportamento complessivo delle parti, stante la riproposizione in appello della medesima domanda, non autorizza in alcun modo a ritenere che dette domande siano state abbandonate.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione e omessa ovvero erronea applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in riferimento, rispettivamente, agli artt. 1453 e 1455 cod. proc. civ., e all’art. 1456 c.p.c., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

I ricorrenti rilevano che, nel costituirsi in giudizio, i convenuti B.D. e M.G. chiesero in via riconvenzionale la risoluzione dei contratti in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nella scrittura del (omissis). Essi abbandonarono poi questa domanda in sede di precisazione delle conclusioni e la riproposero in appello, chiedendo una pronuncia meramente dichiarativa della avvenuta risoluzione dei due contratti in virtù della citata clausola risolutiva. Orbene, nel dichiarare la risoluzione dei contratti per inadempimento, e quindi nell’adottare una pronuncia costitutiva, la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, avrebbe pronunciato su una domanda diversa da quella proposta, essendo consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso che trattasi di domande diverse per presupposti, caratteri e natura, tanto che non si può nel corso del giudizio mutare il titolo della domanda diretta alla risoluzione contrattuale. Difetterebbe poi una adeguata motivazione sulle ragioni per le quali, in presenza di una domanda dichiarativa di risoluzione per effetto della clausola risolutiva espressa, la Corte abbia invece ritenuto di adottare una sentenza costitutiva di risoluzione per inadempimento.

Anche il secondo motivo è infondato. Occorre premettere che "in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa; solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto" (Cass., n. 20373 del 2008).

Nel caso di specie, dalle conclusioni formulate dai convenuti all’atto della costituzione, prima riportate, emerge chiaramente che la domanda dagli stessi proposta in via riconvenzionale – domanda che, per quanto già rilevato, non può ritenersi sia stata abbandonata – aveva ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento degli attori alle obbligazioni dai medesimi assunte nella scrittura del (omissis). E’ ben vero che, nel contesto della memoria di costituzione, si fa riferimento alla clausola risolutiva espressa contenuta in detta scrittura; è tuttavia vero, però, che l’oggetto dell’accertamento richiesto al giudice del merito era l’inadempimento degli attori, espressamente qualificato come grave dai convenuti ("Rebus sic stantibus ed essendo l’inadempimento grave, i comparenti sono legittimati oggi a chiedere essi stessi la risoluzione dei contratti con il risarcimento del danno come individuato dalle parti nelle somme già pagate": memoria di costituzione, pag. 9). In questo contesto, risulta dunque evidente come la Corte d’appello, nell’accertare l’avvenuto inadempimento dei promissari acquirenti e nel valutarlo grave al punto da giustificare la risoluzione dei contratti preliminari, non sia incorsa nel vizio denunciato, avendo invece interpretato la domanda riconvenzionale di risoluzione come domanda ex art. 1453 cod. civ., ritenendola fondata.

Ed è noto che "l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa" (Cass., n. 14571 del 2006; Cass., n. 8107 del 2006).

Con il terzo motivo, V.E. e M.M.L. deducono violazione ed erronea applicazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., nonchè vizio di motivazione.

La Corte d’appello ha ritenuto sussistente un grave inadempimento perchè essi ricorrenti non avevano pagato i due effetti cambiari, per complessive L. 10.000.000, con scadenza (omissis). Nel ritenere grave tale inadempimento, la Corte ha peraltro omesso di considerare che essi ricorrenti avevano versato a titolo di corrispettivo la somma di L. 85.300.000 e non già la minor somma di L. 73.500.000 e comunque una somma superiore al dovuto, che era L. 81.000.000; che, nella lettera del (omissis), oltre a richiedere la disponibilità dei venditori a comparire dinnanzi al notaio, si erano offerti di adempiere in maniera compiuta e scrupolosa tutte le obbligazioni contratte; che B.R. non solo aveva contestato la legittimità dei preliminari, ma aveva dichiarato che sarebbe comparso dinnanzi al notaio non per prestare il proprio consenso al perfezionamento delle operazioni immobiliari, ma per chiedere che fosse chiarito in quale misura la sig.ra R.M.M. avesse assunto le obbligazioni nei confronti di essi ricorrenti; che gli altri venditori non avevano mai riscontrato la lettera del (omissis). Del tutto contraddittoriamente, poi, la Corte d’appello ha, da un lato, ritenuto la gravità dell’inadempimento e, dall’altra, in sede di riduzione della penale, affermato che la gran parte delle obbligazioni gravanti sugli acquirenti erano state adempiute.

Il motivo è infondato.

Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio secondo cui, "in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici" (Cass., n. 14974 del 2006; Cass., n. 7081 del 2006; Cass., n. 22415 del 2004).

La Corte d’appello ha, con motivazione immune dai denunciati vizi, da un lato, escluso la fondatezza della prospettazione dei promissari acquirenti, di avere adempiuto le obbligazioni su di loro gravanti, e, dall’altro, ha invece affermato che "per contro è decisiva, ai fini della risoluzione per inadempimento parziale dei promissari acquirenti con pronunzia costitutiva ex art. 1453 c.c., la comprovata circostanza che V.E. e M.M.L., dopo aver ottenuto in ossequio ai patti intervenuti il rinnovo di diversi titoli alla scadenza ed essersi alla fine indotti il (omissis) a regolare il loro rapporto con l’altra parte contraente mediante il rilascio di cambiali per la parte di prezzo ancora dovuta e la previsione di una penale in funzione di rafforzamento del rapporto obbligatorio, si sono poi astenuti dall’onorare i titoli venuti in scadenza a fine (omissis) per il rilevante importo di L. dieci milioni, così incorrendo nella colpevole violazione dell’obbligo contrattuale assunto in via principale e fondando la pronunzia di risoluzione per inadempimento ad essi imputabile".

Orbene, le circostanze che i ricorrenti ritengono non siano state adeguatamente valutate dalla Corte d’appello afferiscono, in prevalenza, alla questione della valutazione della condotta dei promittenti venditori, e cioè ad una questione che è stata esaminata dalla Corte d’appello laddove ha disatteso la prospettazione dei ricorrenti in ordine alla loro domanda di risoluzione per effetto della diffida ad adempiere dagli stessi intimata in assenza del presupposto dell’integrale pagamento del prezzo. Per altro verso, i ricorrenti non considerano la ritenuta rilevanza dell’inadempimento con riferimento alle pattuizioni assunte, in via definitiva, nella scrittura del (omissis), nella quale le parti avevano ridefinito i loro rapporti, con l’affermazione di un residuo credito dei promittenti venditori di L. 30.500.000, assistito da una clausola penale pari all’importo delle somme già versate ove tale obbligo fosse rimasto inadempiuto. E’ dunque in questo contesto che la Corte d’appello ha valutato il comportamento delle parti e ha apprezzato non irragionevolmente la gravità del mancato pagamento della somma di L. 10.000.000, come idoneo a determinare la risoluzione dei contratti intercorsi tra le parti. Ove poi si consideri che, come emerge dalla ricostruzione delle posizioni delle parti contenuta nella sentenza impugnata, gli attuali ricorrenti, nell’introdurre il giudizio, avevano precisato di avere integralmente adempiuto quanto per contratto dovuto, manifestando la propria "disponibilità a corrispondere altre somme a titolo di interessi compensativi se ed in quanto dovuti", la valutazione della Corte d’appello risulta immune dalle proposte censure di violazione di legge e di vizio di motivazione insufficiente.

Deve poi escludersi la denunciata contraddittorietà della motivazione con riferimento al riconoscimento, contenuto nella sentenza impugnata, della "avvenuta esecuzione della obbligazione contratta dai promissari acquirenti nella sua gran parte", giacchè tale valutazione è stata dalla Corte d’appello effettuata al solo fine della riduzione della penale convenzionalmente stabilita nella citata scrittura del (omissis). La diversità degli oggetti dell’accertamento del giudice del merito non consente di far rifluire il secondo accertamento, che postula l’accertamento dell’inadempimento delle obbligazioni pattuite, sulla valutazione della rilevanza di tale inadempimento ai fini della determinazione in ordine alla sussistenza della gravità che giustifica la risoluzione del contratto.

Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono violazione ed omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 1372 cod. civ., in relazione agli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonchè vizio di omessa motivazione.

I ricorrenti rilevano che mentre i preliminari erano stati sottoscritti, quali promittenti venditori, da P.C. e da B.D., nella qualità di procuratore di R.M.M., la scrittura del (omissis) venne invece sottoscritta solo dal V. per gli acquirenti e solo dal B., nella qualità, per i venditori. Da tale constatazione, secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre la conclusione che la P. non avrebbe potuto giovarsi nè della clausola risolutiva espressa contenuta nella scrittura da lei non sottoscritta, nè della clausola penale. Del resto, la P. mai aveva invocato detta clausola e mai aveva chiesto la condanna dei promittenti acquirenti al risarcimento del danno.

Il motivo è inammissibile, per carenza di interesse.

I ricorrenti non tengono conto del fatto che la P. è stata parte di entrambi i contratti preliminari. Dalla accertata risoluzione di entrambi i preliminari per inadempimento dei promissari acquirenti la Corte ha fatto discendere la risoluzione dei contratti in relazione a tutte le parti degli stessi. A tale pronuncia, peraltro, non potevano non conseguire le ulteriori statuizioni adottate dalla Corte, la quale ha, da un lato, pronunciato la risoluzione dei contratti preliminari per inadempimento dei promissari acquirenti e, dall’altro, condannato i medesimi a restituire ai promittenti venditori gli immobili compromessi e i promittenti venditori a restituire le somme percepite in esecuzione dei preliminari, detratti gli importi corrispondenti agli effetti cambiari non onorati e alla penale, come ridotta dalla Corte d’appello. Nel far ciò, la Corte d’appello ha considerato unitariamente la posizione dei promittenti venditori, nel senso che ha determinato l’importo da restituire sommando tutti gli importi percepiti dai promittenti venditori, a prescindere da chi quegli importi avesse poi effettivamente percepito, e ha detratto la penale. In tal modo, peraltro, la Corte d’appello non ha attribuito alla P. il risarcimento del danno in misura corrispondente alla penale come determinata in sentenza, nel senso che l’obbligazione restitutoria andrà poi ripartita tra i promittenti venditori in ragione delle somme da ciascuno degli stessi percepite. Rispetto alla posizione dei ricorrenti, peraltro, risulta del tutto irrilevante che la penale, determinata dalla Corte d’appello nel corrispondente in euro dell’importo di L. 20.000.000 e detratta dalla somma che i promittenti venditori dovranno restituire, fosse dovuta esclusivamente nei confronti dei B. e non anche nei confronti della P., giacchè l’aver considerato anche la P. come destinataria dell’obbligo di restituzione non ha determinato un incremento della riduzione delle somme da restituire ai promissari acquirenti, idoneo a pregiudicare la posizione degli stessi; l’unico effetto della unitaria valutazione della vicenda contrattuale e degli obblighi conseguenti alla risoluzione per inadempimento di entrambi i contratti può individuarsi nei rapporti tra i B., da un lato, e la P. dall’altro, nel senso che potrebbe al più ravvisarsi un interesse dei primi a dolersi del fatto che della facoltà di trattenimento della penale, stabilita nella scrittura del (omissis), riferibile solo ai B., potrebbe beneficiare anche la P.. Ma ciò certamente non incide in senso riduttivo sul diritto dei ricorrenti alla restituzione delle somme loro spettanti detratto l’importo di L. 10.000.000, non corrisposto, e detratta la penale.

Difetta, dunque, l’interesse dei ricorrenti a far valere la mancata partecipazione della P. alle pattuizioni del (omissis), con le conseguenze in termini di applicazione della penale ivi prevista, ancorchè rideterminata dalla Corte d’appello.

Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano, sotto altro profilo, violazione ed omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 1372 cod. civ., nonchè vizio di omessa motivazione.

Per le medesime ragioni esposte nel motivo precedente, la scrittura del (omissis) non avrebbe potuto essere ritenuta vincolante per M.M.L., posto che detta scrittura era stata sottoscritta solo dal V..

Il motivo è infondato.

Nella scrittura del (omissis), quale riportata nella sentenza impugnata, si legge che "il *********, a nome anche della moglie, si impegna a soddisfare la presente obbligazione, diversamente incorrerà nella recisione dei compromessi delle case dianzi citate e nella perdita delle somme versate". Risulta quindi smentita la tesi dei ricorrenti secondo cui la scrittura in questione sarebbe stata vincolante solo per il V. e non anche per la moglie M.M.L.. Senza dire che la questione della estraneità della M. alla scrittura citata non risulta essere stata prospettata dalla stessa nei precedenti gradi di giudizio.

Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano violazione ed erronea applicazione dell’art. 1382 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Richiamato il contenuto della scrittura (omissis), i ricorrenti rilevano che con essa il V. si era obbligato a corrispondere la somma di L. 30.500.000, secondo le scadenze concordate, prevedendo altresì che il mancato adempimento di dette obbligazioni avrebbe comportato l’applicazione della clausola penale. Detto impegno, peraltro, era stato osservato da essi ricorrenti, giacchè il V. ebbe a pagare 20.500.000. In sostanza, quindi, doveva escludersi l’inadempimento della intera obbligazione al quale era subordinata l’applicazione della penale.

Il sesto motivo è infondato.

La lettura coordinata degli artt. 1382 e 1384 cod. civ., rende evidente la infondatezza del sesto motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti, sostanzialmente, deducono che la applicazione della penale potrebbe operare solo in caso di totale inadempimento della obbligazione in relazione alla quale la penale è pattuita. Al contrario, nel mentre l’art. 1382 c.c., comma 1, stabilisce che "la clausola, con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore", l’art. 1384 c.c., dispone che "la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento". Ne consegue che la penale trova applicazione non solo nel caso di totale inadempimento delle obbligazioni principali (nella specie, quella di pagare la somma di L. 30.500.000), ma anche nel caso in cui detta obbligazione sia stata adempiuta solo in parte, come, appunto, avvenuto nel caso di specie, nel quale è incontestato il mancato pagamento di due effetti cambiari di importo complessivo pari a L. 10.000.000.

Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono violazione ed erronea applicazione dell’art. 1384 cod. civ., nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

I ricorrenti rilevano che, a seguito dell’adempimento della loro obbligazione di pagare il prezzo, l’interesse dei venditori era ormai limitato ai soli 10.000.000 non ancora corrisposti. La Corte d’appello ha tenuto conto dell’adempimento, da parte di essi ricorrenti, della gran parte della loro obbligazione, e tuttavia ha determinato la penale nella misura di L. 20.000.000, senza tenere conto dell’effettivo interesse del creditore all’adempimento.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha innanzitutto rilevato che gli appellanti incidentali solo in grado di appello hanno proposto l’eccezione ex art. 1384 cod. civ., chiedendo la riduzione della pattuita penale, adducendone la eccessività. Ha quindi ritenuto nuova l’eccezione, non essendo stata ventilata, nel giudizio di primo grado, un’analoga richiesta.

Ciò non di meno la Corte d’appello, ha disposto d’ufficio la riduzione della penale.

Orbene, la prima statuizione della Corte sulla inammissibilità della eccezione, perchè nuova, non ha formato oggetto di specifico motivo di censura da parte dei ricorrenti.

Si deve quindi discutere solo della statuizione della Corte d’appello adottata d’ufficio, e in relazione a tale statuizione appare evidente come non sussista un interesse dei ricorrenti, in quanto di detta valutazione avrebbero potuto dolersi unicamente soggetti in favore dei quali la detta clausola era stata pattuita.

Peraltro, è noto l’insegnamento di questa Corte secondo cui "l’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonchè sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 cod. civ., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito" (Cass., n. 6380 del 2001; Cass., n. 7528 del 2002; Cass., n. 6158 del 2007).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto eccessiva la penale, convenzionalmente ragguagliata alla somma tutta versata in acconto sul prezzo pattuito, "in relazione all’avvenuta esecuzione della obbligazione contratta dai promissari acquirenti nella sua gran parte e all’interesse dei promittenti venditori alla risoluzione dei contratti e al recupero degli immobili promessi in vendita". Si tratta di apprezzamento di fatto, adeguatamente motivato, in relazione al quale la censura dei ricorrenti si appalesa comunque come una inammissibile richiesta di nuova valutazione delle circostanza di fatto, già adeguatamente valutate dal giudice del merito.

Con l’ottavo motivo, i ricorrenti denunciano violazione ed erronea applicazione degli artt. 1244, 1453 e 1458 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Gli interessi legali sulle somme dovute in restituzione avrebbero dovuto essere liquidati a far data dalla momento del pagamento dei singoli importi e non anche dal momento della domanda.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che "la sentenza di risoluzione per inadempimento con riguardo alle prestazioni da eseguire produce un effetto liberatorio ex nunc e rispetto alle prestazioni già eseguite un effetto recuperatorio ex tunc, ad eccezione dei contratti ad esecuzione continuata e periodica. Pertanto, in caso di risoluzione di un contratto di vendita per inadempimento del venditore questi è tenuto a restituire le somme ricevute con gli interessi legali a decorrere dal giorno in cui le stesse somme gli furono consegnate dall’acquirente (Cass., n. 4604 del 2008; Cass., n. 11511 del 1992).

All’evidenza, la Corte d’appello non si è attenuta a tale principio, avendo disposto che gli interessi legali sulle somme da restituire decorrano dalla data della domanda al saldo effettivo.

In relazione a tale motivo, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata. Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la cassazione può essere disposta senza rinvio, potendosi per tale profilo decidere la causa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., statuendo l’obbligo di P.C., B.D. e B.M.G. di corrispondere a V.E. e M.M.L. gli interessi legali sulle somme da restituire dalla data dei singoli pagamenti al saldo.

In considerazione della complessità della vicenda processuale, della limitata attività difensiva svolta dai resistenti B.D. e M.G., e dell’esito della lite, nel corso della quale si sono avute decisioni di merito contrastanti, nonchè del fatto che è stata in questa sede accolta una sola – e certamente quella non più rilevante – delle censure proposte dai ricorrenti, il Collego ritiene che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna i resistenti e gli intimati al pagamento degli interessi legali sulle somme da restituire dalla data dei singoli versamenti al saldo; compensa le spese dell’intero giudizio.

Redazione