Corte di Cassazione Civile sez. II 14/10/2008 n. 25136; Pres. Vella A.

Redazione 14/10/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) Nel gennaio 1994 la srl Immofin concludeva con la srl ************ un contratto preliminare con cui prometteva di acquistare un terreno e sovrastanti fabbricati ad uso industriale posti in Grosseto, per il prezzo di L. unmiliardoquattrocentomilioni, sotto condizione sospensiva che la promittente venditrice riuscisse a concludere una transazione con la Curatela del fallimento *********** srl, a seguito della quale detti immobili dovevano pervenire alla ******. Il 13 giugno 1994 Immofin agiva in giudizio, davanti al tribunale di Grosseto, avverso la promittente venditrice e la Curatela per chiedere che, previo trasferimento dei beni alla ******, fosse disposto l’adempimento del preliminare ex art. 2932 c.c.. Contumaci le convenute, il tribunale accoglieva le domande.

Su gravame della ************, contumace la curatela, la Corte d’appello di Firenze pronunciava sentenza 18 febbraio 2003 con la quale dichiarava che l’appellante e il Fallimento Olivieri dovevano addivenire al trasferimento dei beni alla ************ e che di seguito doveva aver luogo il passaggio a parte attrice.

Immofin srl il 27 marzo 2004 ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di due motivi. La Curatela fallimentare V. Olivieri srl ha notificato ricorso il 29/30 marzo 2004, articolando quattro censure. ************ ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale esponendo cinque motivi. ******* ha notificato controricorso. Sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) Questioni preliminari;

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza. Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e, perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo, anche se proposto con atto a sè stante, si converte in ricorso incidentale (Cass. 7325/02; 20136/05); ciò è avvenuto per il ricorso della curatela, notificato subito dopo quello principale e quindi nel rispetto del termine di cui all’art. 370 c.p.c..

Tempestivo è il controricorso ******, notificato il 6 aprile 2004 e quindi nei venti giorni dal termine stabilito per il deposito del primo ricorso. Ammissibile è anche il controricorso Immofin, inoltrato il 7 maggio 2004, cioè entro quaranta giorni dalla data (29 marzo) in cui era stato per la prima volta notificato, pervenendo ad Immofin, il ricorso proposto dalla Curatela. Detto controricorso non contiene alcun motivo di ricorso incidentale, ma solo mere difese rispetto ai due ricorsi incidentali degli iniziali intimati, su cui la ricorrente principale era legittimata a controbattere nei limiti della confutazione dei motivi avversari. Sono quindi da disattendere le e eccezioni di inammissibilità sollevate in memoria dalla difesa della Curatela.

3) I due motivi di ricorso sulla violazione della *******., art. 108.

Pregiudiziale all’esame del ricorso principale è lo scrutinio dei ricorsi incidentali, contenenti motivi che potrebbero rendere superfluo l’esame delle doglianze della ricorrente. In particolare dal punto di vista logico è preliminare la questione posta nel quarto mezzo del ricorso della Curatela e nel quinto del ricorso incidentale ************.

Nel primo di essi il fallimento ******** lamenta violazione della *******., art. 108, artt. 570 e 576 c.p.c., nonchè dell’art. 1965 c.c. e segg., e contraddittorietà della motivazione sotto due profili: si duole che i giudici di secondo grado abbiano consentito il trasferimento dei beni adducendo che non si tratterebbe di vendita, ma di transazione autorizzata dagli organi fallimentari e non contestata, benchè sul punto ****** avesse proposto appello, l’autorizzazione fosse stata sottoposta a condizioni non onorate e lo stesso atto di transazione non facesse riferimento a una vera, e propria controversia sulla proprietà degli immobili in causa. Questo primo profilo solleva questioni nuove, che la Curatela, non costituitasi nei precedenti gradi di giudizio, non è abilitata a n, proporre. Peraltro fa riferimento ad atti e documenti (transazione stipulata tra le parti, autorizzazione del tribunale) non riportati in ricorso e che non possono essere esaminati dalla Corte di cassazione, che non ha accesso agli atti quanto alla denuncia di vizi in iudicando.

Il secondo profilo richiama la violazione della *******., art. 108, sostenendo che la cessione di un complesso aziendale comprendente beni immobili poteva avvenire soltanto con la vendita con incanto o senza incanto, disciplinata dall’art. 570 c.p.c. e ss..

Analoghi argomenti svolge ************ nel secondo profilo del quinto motivo.

La censura è infondata. Questa Corte ha più volte affermato che la L. Fall., art. 108, non consente la vendita di un bene immobile a trattativa privata, ma solo l’alienazione nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, che si concludono col decreto di trasferimento del bene, onde è nulla, per contrasto con una norma imperativa, la vendita a trattativa privata ed è illegittimo il provvedimento del giudice delegato che autorizzi una vendita non pienamente corrispondente ad uno dei due tipi, con o senza incanto, espressamente previsti e disciplinati dalla succitata norma (Cass. 3624/04; n. 5751/93, ma v. anche Cass. 4584/99). Nel caso di specie tuttavia non si è in presenza di una vendita, ma di una transazione autorizzata dal giudice delegato. Sul punto la giurisprudenza della Corte è avara di precedenti. Non può ritenersi tale Cass. 2510/94, che ha confermato la nullità di una compravendita per violazione della norma imperativa di cui all’art. 108 partendo dal presupposto che il contratto stipulato non era "affatto una transazione, bensì una mera compravendita". Costituisce invece preciso riferimento Cass. 26 nov. 1971 n. 3444 (in Giust. Civ., 1972, 1, 529), la quale ha avuto modo di affermare che la transazione non incontra limitazione alcuna "nell’ambito della procedura fallimentare, nel quale anzi la sua applicabilità risulta confermata dall’art. 35", che nella sua ampia dizione ha assorbito l’art. 797 dell’abrogato codice di commercio, il quale considerava esplicitamente transigibili i diritti immobiliari. Va inoltre raccolto un altro spunto di questo arresto, laddove pare sottolineare che un trasferimento di proprietà in una situazione di complesse pretese contrapposte può aver luogo mediante la "composizione transattiva della contestazione", qualora gli organi fallimentari ritengano "tale via più spedita ed agevole e maggiormente vantaggiosa per la massa dei creditori". Ed invero la transazione involge un oggetto negoziale più ampio della vendita, in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, ed è destinata quale strumento negoziale di prevenzione o definizione di una lite -, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile.

Può sovente rientrare nell’interesse della curatela fallimentare e dei creditori che si addivenga a una transazione complessa, comprendente un trasferimento immobiliare, senza dar luogo alla vendita secondo le norme di cui all’art. 570 c.p.c. e ss., che lascerebbe aperta una controversia, possibile fonte di maggior pregiudizio. Nè si può trascurare che nella valutazione di convenienza possono confluire previsioni fondate sul maggior interesse del transigente ad assicurarsi quel determinato immobile, che lo inducono pertanto a offrire una contropartita più consistente anche quanto al solo diritto immobiliare oggetto di acquisizione. Trattasi di considerazione che trova riscontro nel non infrequente uso della transazione nella gestione delle procedure fallimentari da parte dei giudici di merito e nella riforma della legge fallimentare che, nella sezione dedicata alla vendita dei beni, si è ispirata al principio di libertà di forme, abbandonando il rigore di cui all’art. 108, e consentendo l’uso di strumenti privatistici.

4) Il ricorso del Fallimento ***********.

Anche gli altri mezzi di censura esposti dal Fallimento Olivieri non colgono nel segno. Con il primo, per contestare che sia stato provato l’avvenuto pagamento del prezzo da parte della O.T. e far valere un "vizio di fondo della sentenza", deduce (lamentando violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., nonchè degli artt. 228 e 229 c.p.c.) che la sentenza impugnata si è fondata soltanto sulle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio da parte dal Curatore del fallimento, benchè non si trattasse di confessione giudiziale. Il rilievo, inammissibile nella parte in cui solleva questioni nuove, è infondato. La sentenza, pur rifacendosi alla forza probatoria della deposizione resa in sede di interrogatorio libero del curatore, ha valutato questo elemento collegandolo inscindibilmente con la vicenda transattiva e con l’avvenuto pagamento dei creditori interessati, emergente anche dal passo della sentenza di primo grado riportato dai giudice d’appello. Nè la Curatela si è curata di riproporre in ricorso il testo integrale della risultanza (deposizione del curatore) di cui vorrebbe inficiare il valore; si è limitata a criticare l’asserita unicità dell’elemento probatorio, che risulta invece complessivamente incastonato nella lettura di tutti gli elementi della vicenda controversa.

Con il secondo motivo è criticata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 2702 c.c. e ss., e della *******. artt. 25, 31 e 35, al fine di togliere valore all’atto di transazione, che sarebbe non autenticato, non registrato, inefficace.

Con il terzo motivo è dedotta la violazione delle medesime norme e l’illogicità della motivazione "sotto altro profilo", al fine di far constare che non risulterebbe in atti la prova che ******* avrebbe effettuato il pagamento, non adeguatamente dimostrato.

I motivi risultano nuovi e inammissibili: con essi non vengono sollevate questioni rilevabili d’ufficio, non bisognose di accertamenti in fatto (Cass. 2140/06; 5836/07; 13958/07); sono al contrario svolte questioni di merito precluse alla parte che sia rimasta contumace nei precedenti gradi di giudizio. Il soccombente rimasto contumace nel giudizio di merito può infatti proporre ricorso per cassazione nei confronti della sentenza al fine di far valere gli eventuali errori del giudice a quo, senza necessità di proporre istanza di rimessione in termini ex art. 294 c.p.c., ma la novità delle questioni sollevate con i motivi di ricorso comporta l’inammissibilità di questi ultimi (v. Cass. 1063/05).

5) Il ricorso incidentale ************.

Il primo motivo del incorso incidentale O.T. censura la motivazione della sentenza in ordine al capo relativo al diritto della società Immofin ad ottenere dalla promittente venditrice il trasferimento degli immobili oggetto di causa.

Deduce che la sentenza d’appello ha "smontato" il collegamento funzionale tra i due negozi oggetto di causa e in tal modo avrebbe escluso che il pagamento ricevuto dal fallimento integri il pagamento del prezzo dovuto da Immofin a ****** per la promessa di vendita. Contesta inoltre che sia stato accertato il pagamento del prezzo e che si potesse dichiarare il trasferimento del bene senza subordinarlo al pagamento.

Il motivo non ha pregio, perchè ricostruisce strumentalmente il senso della sentenza impugnata: nel limitarsi a una pronuncia di carattere dichiarativo, la Corte territoriale ha comunque confermato la linea difensiva espressa da parte Immofin e ha respinto le critiche di O.T. in ordine al mancato pagamento, confermando invece che l’esborso vi era stato. Non a caso infatti uno dei motivi di ricorso della curatela, prima esaminato, criticava la sufficienza della prova in ordine a tale punto della sentenza, che la lettura del testo non può che confermare. Le espressioni usate dalla sentenza in ordine alla definitività o obbligatorietà della prima pattuizione non implicano pertanto che sia stato negato il collegamento tra i due negozi.

Il secondo motivo critica l’operato dei giudici di merito con riguardo al medesimo capo di pronuncia, quanto al mancato uso delle presunzioni e alla mancata ammissione di prova testimoniale al fine di affermare la nullità del preliminare ******* – O.T. che avrebbe celato un patto commissorio o comunque un contratto in frode alla legge. La Corte territoriale avrebbe escluso che le clausole indicate come sospette (relative alla contestualità delle operazioni e all’identità del corrispettivo in esse previsto) avessero rilevanza in tal senso, ma non avrebbe esaminato la terza clausola, con cui era stato pattuito il pagamento del prezzo con detrazione di quanto già corrisposto alla banca per sostenere la garanzia. Il rilievo è infondato: la sentenza impugnata ha congruamente spiegato che il fatto che la Immofin abbia prestato garanzia per il pagamento che O.T. doveva fare alla curatela non era indicativo di un patto commissorio, poichè tale pagamento era il mezzo per fare acquisire alla società la proprietà del bene che la Immofin intendeva acquistare. E’ insita in questa affermazione la irrilevanza della detrazione dell’importo anticipato da ******* (detraibile dal prezzo finale), che era palesemente una delle forme per facilitare la prestazione della garanzia.

Quanto alla mancata ammissione di prova testimoniale relativa alla natura di patto commissorio del contratto preliminare, la sentenza ha giudicato inammissibile il capo di prova, rinviando all’ordinanza 20 febbraio 2001, solo parzialmente riportata in ricorso, con la quale era stato rilevato che il capitolo era "formulato in maniera tale da richiedere giudizi e valutazioni".

Anche questa parziale motivazione è sufficiente a dar conto della congruità e adeguatezza della statuizione, posto che il capo di prova mirava a far dichiarare al teste che il contratto preliminare "dissimula una garanzia reale per il mutuo di 1.400.000.000 concesso dalla Immofin alla O.T. tramite la Cassa di Prato, nel senso che….".

In tal modo si delegava al teste, cui poi si sottoponeva una lettura ancor più tendenziosa dei fatti, la valutazione giuridica sul contenuto e il senso degli accordi presi.

Infine, per negare la imputabilità della mancata stipula dell’atto notarile di trasferimento degli immobili dalla Curatela alla ************, detta ricorrente incidentale lamenta con il terzo motivo, (esponendo violazione dell’art. 112 c.p.c.) che la sentenza le avrebbe addebitato tale inadempienza senza che vi fosse domanda sul punto. Con il quarto che sarebbero stati violati i canoni di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c.) perchè, a fronte della previsione che i beni sarebbero stati trasferiti liberi da ipoteche e altre iscrizioni pregiudizievoli, aveva dato seguito alla dichiarazione del curatore di voler provvedere al riguardo al momento del rogito, mentre la clausola imponeva la liberazione prima del trasferimento e non contestualmente allo stesso.

Entrambi i motivi sono da respingere. Il primo è intuitivamente infondato: poichè parte ******* ha agito contro O.T. svolgendo azione ex art. 2932 c.c., ha posto inequivocabilmente alla base della pretesa l’inadempimento di questa all’obbligo di concludere il contratto. L’accertamento dell’inadempienza era quindi presupposto inevitabile dei ragionamenti svolti dai giudici di merito nell’accogliere le domande di *******. Quanto all’altro motivo, di cui non si comprende se sia stato posto a suo tempo al giudice d’appello, va comunque rilevato il difetto di autosufficienza. Non è stata infatti riportata per intero e testualmente (cfr. Cass. 11886/06; 8960/06; 7610/06) la clausola, con la parte di contratto ad essa connessa, che avrebbe dovuto essere interpretata diversamente da quel che ha ritenuto il giudice d’appello. Non è quindi possibile valutare nè se vi sia stata violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, nè se la motivazione sul punto sia viziata.

Il primo profilo del quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), e/o nullità della sentenza per inosservanza delle medesime disposizioni (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte d’appello dato credito a quanto dichiarato dal curatore fallimentare circa la inadempienza della ******. Quest’ultima assume che i fatti oggetto delle dichiarazioni non potevano essere considerati pacifici, non sussistendo i presupposti della non contestazione.

Il motivo è inammissibile e infondato. E’inammissibile perchè denuncia violazione di legge o del procedimento, ma sembra prospettare un vizio della motivazione della sentenza, perchè la erroneità nella valutazione dei mezzi di prova, che è disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., ridonda quale vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass. 2707/04).

E’ comunque infondato, perchè la Corte d’appello non ha considerato le circostanze riferite dal curatore, circa l’inadempienza di ****** e il suo rifiuto alla stipula, quali fatti pacifici perchè ammessi da detta società, ma sulla scorta della credibilità del curatore e dell’analisi della vicenda condotta in sentenza. Le censure risultano quindi non puntuali nè congruamente articolate.

6) Il ricorso Immofin. La sentenza della Corte d’appello, "in riforma dell’impugnata sentenza" ha dichiarato che "in esecuzione della transazione tra loro intervenuta la ************ srl e la curatela del fallimento *********** debbono addivenire al trasferimento dei beni per cui è causa dalla seconda alla prima, ai sensi di cui in parte motiva"; ha poi dichiarato "che in seguito a tale trasferimento l’appellata società ******* ha diritto ad ottenere il trasferimento dei beni stessi, in esecuzione del preliminare intercorso con la medesima soc. ************".

Con il primo motivo di ricorso la srl Immofin lamenta violazione del disposto di cui all’art. 2932 c.c., in relazione all’art. 2900 c.c.. Deduce che la Corte d’appello nel respingere la domanda non si era avveduta che parte attrice aveva svolto domanda anche ex art. 2900 c.c.;

che essa aveva depositato dichiarazione del notaio, attestante la mancata comparizione della ****** alla stipula e che in appello il curatore fallimentare aveva confermato che la mancata stipula del primo trasferimento era imputabile alla promissaria acquirente ******. Aveva insistito quindi in una corretta applicazione dell’art. 2932 c.c., che avrebbe dovuto portare non a una sentenza meramente dichiarativa, ma al trasferimento coattivo dei beni (domandato in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.) da ******** ad ****** e da questa ad *******. Con il secondo motivo la ricorrente principale si duole dell’omessa pronuncia sulla domanda di trasferimento proposta ex art. 2900 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, (in memoria ex art. 378 rettifica, indicando l’art. 360 c.p.c., n. 5).

Ricorda che aveva chiesto sin dal principio della lite che la curatela fosse condannata al trasferimento dei beni alla O.T., senza che la Corte d’appello avesse deciso sul punto. Osserva che la Corte, ove non avesse accolto la domanda di trasferimento ex art. 2932 c.c., riproposta nel primo motivo, avrebbe dovuto esaminare la seconda, accogliendo la domanda di trasferimento dalla Curatela ad O.T. ex art. 2900 c.c., e quindi la domanda relativa al secondo passaggio ex art. 2932 c.c..

Il primo motivo è fondato. Dalla sentenza d’appello e dai ricorsi della parti si apprende che il tribunale di Grosseto aveva ritenuto che la transazione stipulata dalla Curatela con la ****** avesse valore contrattuale di vendita definitiva e non di preliminare e che mediante essa era già avvenuto il trasferimento della proprietà alla ************, attesa l’ininfluenza della mancata stipula del rogito e della conseguente mancata trascrizione dell’acquisto nei registri immobiliari. Su questa premessa e in considerazione dell’avvenuto versamento del prezzo, aveva affermato che il contratto preliminare tra ****** e ******* poteva essere attuato ex art. 2932 c.c., con sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso. La Corte d’appello ha ritenuto fondate le doglianze della ****** circa la natura del primo contratto. Ha ritenuto che le parti non erano addivenute alla vendita definitiva dei beni, perchè nell’atto di transazione era previsto che il trasferimento doveva avvenire al saldo del prezzo. Di qui il rigetto della domanda e la doppia pronuncia dichiarativa circa l’obbligo delle parti di addivenire ai due consecutivi trasferimenti.

La Corte d’appello ha così respinto la domanda di trasferimento coattivo, che sulla base delle premesse poste meritava invece accoglimento, essendo possibile l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di cui all’art. 2932 c.c., da parte del creditore di cosa specifica, ove siano parti in giudizio sia il promittente venditore inadempiente che il dante causa di quest’ultimo (art. 2900 cpv. c.c.).

In materia la giurisprudenza di legittimità e di merito ha avuto modo di pronunciarsi episodicamente in senso favorevole, tanto con riferimento alla promessa di vendita di beni immobili (cfr. Cass. 8 gennaio 1996 n. 51, che ha dato luogo a vivo dibattito dottrinale e che ha ritenuto che la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c., contro il promettente venditore, che a sua volta sia destinatario di altra promessa di vendita da parte di un terzo, contiene implicitamente la domanda in via surrogatoria di trasferimento coattivo del bene dal terzo al promettente venditore, e Cass. 14 maggio 1965 n. 917), quanto con riguardo alla surrogazione per realizzare l’obbligo di consegnare i documenti necessari alla circolazione di un motoveicolo (Cass. 21 dicembre 1983 n. 7535).

La dottrina che ha indagato l’argomento è divisa circa la possibilità di servirsi dell’art. 2900 c.c., nel caso di preliminari a catena. Il rilievo secondo cui l’azione ex art. 2932 c.c., nei confronti del terzo non sarebbe esercitabile da parte del promissorio – creditore perchè il terzo non è inadempiente, se non si è opposto alla stipulazione del definitivo, non è paralizzante. L’inerzia del promittente venditore espone il terzo (a sua volta promittente e, in quanto tale, parte di un contratto non eseguito), che non abbia assunto iniziative per la risoluzione del primo contratto e non abbia comunque adempiuto all’obbligazione, alle iniziative volte al superamento della situazione di stallo contrattuale mediante la pronuncia di sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Ciò è senz’altro innegabile almeno nel caso, come quello di specie, in cui il terzo abbia già conseguito la controprestazione e sia quindi debitore della propria prestazione.

Si è osservato, da una parte della dottrina, che a questo scopo non è necessario agitare l’art. 2932 c.c., nei confronti del terzo, perchè il creditore potrebbe limitarsi (è l’oggetto del secondo motivo di ricorso nonchè, la soluzione abbracciata, forse inconsapevolmente, dal primo giudice) a esercitare congiuntamente l’azione surrogatoria contro il terzo e quella "diretta al coatto adempimento dell’obbligato", consentita proprio dal primo trasferimento ottenuto ex art. 2900 c.c., nei riguardi del promittente inadempiente. La tesi, che sembra offrire al promissario acquirente una sorta di tutela reale, non convince, perchè il creditore, per assicurare che siano soddisfatte le sue ragioni, deve esercitare un’azione che, in relazione a un contratto preliminare inadempiuto, corrisponde a quella che mira alla costituzione del suo diritto mediante una sentenza che produca gli effetti del (primo) contratto non concluso, cui ricollegare il secondo trasferimento coattivo. Nel caso in esame l’esclusione dell’ipotesi di vendita definitiva, stabilita dalla Corte d’appello, sembra imporre che l’effetto richiesto sia raggiunto con l’azione tipica prevista dal codice, esercitata beneficiando della facoltà di surrogazione. Si staglia qui il tema della funzione dell’azione surrogatoria, che non può essere meramente conservativa, come da tempo reputa la dottrina preferibile. Il testo dell’art. 2900 c.c., attento alla soddisfazione delle ragioni del creditore e la visione della dottrina di matrice processualistica, intesa a far conseguire all’attore proprio il bene della vita cui ha diritto, inducono a favorire le manifestazioni più incisive di essa e a confermare le aperture giurisprudenziali sulla funzione satisfattiva dell’azione, superando le remore legate alla collocazione sistematica dell’istituto tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. La dottrina ha esplorato con scrupolo questa prospettiva, soffermandosi anche sull’ipotesi di due rapporti obbligatori strutturalmente abbinati per identità dell’oggetto.

Tutti i limiti da essa intravisti sono nella specie superabili, in considerazione anche degli accertamenti svolti dal giudice di merito circa la identità del corrispettivo promesso alla ************ e di quello da quest’ultima promesso al terzo e dell’indifferenza per il mutamento del creditore dimostrata dal terzo stesso, che ha accettato il pagamento dal creditore *******. Che il creditore possa manifestare la volontà negoziale del contraente verso di lui inadempiente, agendo in via surrogatoria, appare consentito dalla attitudine dello strumento giurisdizionale, necessario nell’azione ex art. 2932 c.c., a consentire, tramite il contraddittorio integrato ai sensi dell’art. 2900 c.c., quel "controllo delle sopravvenienze" al quale è preordinato il contratto preliminare. Per questa via resta svuotato di senso anche il possibile dubbio sulla natura dell’azione ex art. 2932 c.c., quale diritto che può essere esercitato solo dal titolare. Posto che l’azione surrogatoria deve porre riparo all’inerzia frapposta dal debitore inadempiente e che l’art. 2932 c.c., consente a quest’ultimo di far valere nei confronti sia del terzo che del creditore – promissario eventuali ostacoli alla stipula del definitivo, l’assenza di detti ostacoli impone il superamento della situazione di inadempimento con l’attività surrogatoria più adatta alla specie. I limiti procedurali e di fatto che sono stati considerati rendono più difficile ma non precludono il ricorso all’istituto surrogatorio: ne consentono una più duttile applicazione a fronte di un’inerzia del debitore, che è particolarmente lesiva allorquando si sia già registrato il versamento diretto al terzo della prestazione dovuta dal creditore, atto che, come detto, pone quest’ultimo in una singolare condizione equiparabile a quella di un contraente inadempiente. Nè il terzo o il debitore possono opporre che verrebbe così imposto al terzo stesso un contraente non voluto, in violazione dell’art. 1372 c.c., comma 2. E’ questo un effetto che trova nella legge e cioè proprio nel meccanismo combinato dell’azione surrogatoria e di quella ex art. 2932 c.c., la sua giustificazione.

Restano così superati gli scogli frapposti da chi dubita della possibile efficacia satisfattiva dell’azione surrogatoria nel caso di contratti preliminari concatenati, ditalchè il meccanismo normativo invocato da parte Immofin, che sin dal primo grado di giudizio ha fatto congiuntamente riferimento all’art. 2900 c.c., e al trasferimento coattivo, doveva trovare piena applicazione da parte del giudice d’appello.

La cassazione sul punto della sentenza impugnata non comporta necessità di rinvio al giudice di merito, perchè l’accertamento in ordine all’avvenuto pagamento del prezzo e all’assenza di altri ostacoli ritualmente opposti consente,come richiesto dalla ricorrente nelle conclusioni assunte "in tesi", di dar corso a decisione nel merito con il trasferimento alla ricorrente principale dei beni immobili identificati nelle conclusioni stesse e meglio desumibili dall’epigrafe della sentenza del tribunale di Grosseto. E’ questo l’effetto di una sentenza che tiene luogo di entrambi i contratti non conclusi, con l’avvertenza che il promissario, come gli è consentito (cfr. Cass. 5228/99), ha agito senza chiedere al giudice di assicurare l’acquisto del bene libero da vincoli, ditalchè nulla va disposto in proposito in questa sede.

E’ già implicito in questa soluzione il rigetto del secondo motivo di ricorso, relativo all’omessa pronuncia sulla domanda svolta ex art. 2900 c.c., per ottenere il primo trasferimento. In realtà la Corte d’appello aveva implicitamente disatteso questa domanda nell’emettere la sentenza dichiarativa, cosicchè erroneamente era denunciata l’omessa pronuncia sul capo non accolto.

La complessità e la novità delle questioni esaminate f giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta i ricorsi incidentali. Accoglie il primo motivo del ricorso principale Immofin. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito trasferisce alla Immofin i beni immobili indicati in epigrafe nella sentenza del tribunale di Grosseto. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Redazione